Il coraggio del futuro

L’orto della speranza di Sergey Kishchenko
di Fabio Marzari

Fino al 14 ottobre ai Magazzini del Sale, la personale dell’artista russo Sergey Kishchenko, Hortus Conclusus. Memoria, biodiversità, migrazione.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, oltre alle dirette conseguenze perniciosissime legate alla morte di civili e soldati e alla distruzione di un Paese, che ogni guerra porta con sé, ha scatenato una diaspora di intellettuali scappati dalla Federazione Russa in totale disaccordo con le politiche espansive putiniane. Tra loro centinaia di artisti, in ogni ambito espressivo: architettura, musica, cinema e arti visive. Questo esodo è stato attentamente monitorato da mesi dal Centro Studi sull’Arte Russa di Ca’ Foscari che in collaborazione con CYLAND e l’Accademia di Belle Arti di Venezia ha avviato il progetto scientifico internazionale Mapping Diaspora: arte russa in esilio con l’obiettivo di disegnare e aggiornare costantemente la mappa di ciò che questi artisti hanno creato o stanno elaborando.
La direzione scientifica del progetto, cui hanno aderito i maggiori specialisti di arte russa in Europa e negli USA, è di Silvia Burini e Olga Shishko. Spin-off di Mapping Diaspora, la personale dell’artista russo Sergey Kishchenko, Hortus Conclusus. Memoria, biodiversità, migrazione curata da Silvia Burini e Giuseppe Barbieri e visitabile fino al 14 ottobre ai Magazzini del Sale.
L’artista, che ha deciso di abbandonare il suo Paese e ha ricevuto dal Governo italiano lo status di rifugiato politico, porta in mostra una sequenza di lavori che appartengono alle sue ricerche avviate nell’ultimo decennio.


L’Hortus Conclusus è da secoli uno spazio definito in cui uomo e Natura trovano una sintesi dialogica che favorisce un’adesione panica al ritmo primario, oggi verrebbe definito una “comfort zone” al riparo dagli affanni che la quotidianità impone in un mondo divenuto globale e sempre più volto al disprezzo verso le varietà che la natura offre nel regno animale e vegetale. Guerre, cambiamenti climatici, carestie impongono migrazioni forzate da parte di schiere sempre più numerose di individui. Questo mondo costretto in spazi sempre meno ampi è indice di una progressiva fragilità umana. ha dimostrato la capacità di declinare queste dinamiche generali del nostro tempo anche su un registro personale, intimo.
Egli fonde con raffinate strategie di conservazione della memoria, grandi e piccole storie, oggetti come lenzuola e materassi utilizzati dai rifugiati, che assumono la drammaticità di un’accoglienza precaria e di un dolore causato dall’abbandono della propria terra, con anche tutto il carico di speranze verso epiloghi migliori, a pagine di storia scientifica che meritano grande conoscenza, per il loro incredibile valore.
Molte sue opere nascono a seguito di una riflessione colta e originalissima che parte dalle vicende umane e scientifiche dell’agronomo, botanico e genetista vegetale russo, Nikolaj Ivanovic Vavilov (1887–1943), cui recentemente Peter Pringle ha dedicato un libro di successo, Il genio dei semi. Nikolaj Vavilov, pioniere della biodiversità (Donzelli Editore).
Lo scienziato, pioniere degli studi sulla biodiversità impiegò la sua intera esistenza cercando di trovare una soluzione al problema della fame in Russia e nel resto del mondo, secondo criteri di giustizia, uguaglianza e futuro, ma il destino gli riservò di morire per denutrizione nel carcere di Saratov, perché inviso al regime staliniano.
Come ha notato Riccardo Caldura, Kishchenko «ripercorre le vicende dello scienziato, generando un affascinante, quanto rigoroso, percorso espositivo fra immagini, videoproiezioni, installazioni, richiamando non solo gli aspetti tragici della vicenda di Vavilov, da scienziato di livello assoluto a nemico del regime, ma accennando anche alla più complessa tematica delle migrazioni provocate dalla penuria alimentare e dalle guerre. Nei nostri giorni, qui in terra, è la stessa esistenza dell’Hortus Conclusus, immagine del paradiso, ad essere minacciata»

Memoria, Biodiversità, Migrazione