Inni sacri

Juraj Valčuha dirige la Nona di Beethoven
di Fabio Marzari

Dopo i Carmina Burana dello scorso anno, appuntamento in Piazza San Marco con il capolavoro di Beethoven diretto dal maestro slovacco.

Piazza San Marco diventa ancora una volta un ineguagliabile teatro all’aperto in occasione dell’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven diretta dal maestro slovacco Juraj Valčuha, alla testa dell’Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, con la partecipazione del soprano Federica Lombardi, del tenore Michael Schade, del mezzosoprano Veronica Simeoni e del basso Mark S. Doss, il Coro è affidato alla direzione di Alfonso Caiani. La Sinfonia in programma è una pagina musicale assai conosciuta e dall’alto valore simbolico che va oltre il semplice ascolto. Rispecchia la complessa personalità di Beethoven, che seppe trovare la sua espressione più compiuta e più alta nella musica sinfonica: le sue 9 Sinfonie, che lo impegnarono negli anni compresi tra il 1800 e il 1832 esprimono la forza esplosiva ed innovativa della sua energia musicale e dischiudono un universo di suoni in cui il mondo interiore di Beethoven si dispiega in tutta la propria complessità. La Nona ed ultima Sinfonia, concepita nella commovente tonalità del re minore, è da considerarsi come un capolavoro assoluto, sintesi suprema di valori etici e di sentimenti profondissimi.

L’innovatività di Beethoven è palese nel superamento dei confini tra i generi musicali: mai nessuno prima di lui aveva osato introdurre in una composizione sinfonica quattro voci soliste e un coro di uomini e donne. Con un’operazione oltremodo audace affidò ai solisti e al coro il compito di chiudere questo possente lavoro sinfonico, nel quale inserì alcune strofe dell’Inno alla Gioia di Schiller, che tanto sentiva vicino per la complessità del suo mondo spirituale. Una scelta che va spiegata attraverso motivazioni non esclusivamente stilistiche e musicali; integrare la sinfonia con le parole di un componimento di Schiller significava inserire dei contenuti ideologici che, attraverso un testo scritto, mostravano chiaramente gli ideali morali che animavano Beethoven: l’aspirazione alla fratellanza universale tra gli uomini in nome del comune dolore, il superamento della sofferenza in una superiore Armonia del Cosmo e il fondamento della Gioia sull’amore per un Padre Celeste che non ha nome. Emerge qui, tanto nella Sinfonia di Beethoven quanto nei versi di Schiller, un profondo anelito all’Assoluto e il desiderio di conquistare valori immortali di Grandezza e di Fede che lo avvicinino a Dio. Si tratta di un elemento rivelatore, che ha dato adito nel passato alla convinzione di una possibile lettura massonica dell’opera, quantomeno nel ritenere che Beethoven fosse, come Schiller, un convinto fiancheggiatore dell’ideale massonico. La Nona Sinfonia venne eseguita la prima volta a Vienna il 7 maggio 1824, al Theater am Kärntnertor, con il contralto Caroline Unger e il tenore Anton Haizinger. Si narra che il pubblico la accolse con grande entusiasmo, tributando a un Beethoven ormai completamente sordo, invece degli applausi, un festoso sventolare di fazzoletti. L’Inno alla Gioia è stato adottato dal Consiglio d’Europa come sua ode nel 1972. Nel 1985, è diventato l’inno ufficiale della Comunità Europea e, in seguito, dell’Unione Europea.

 

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