La carne e la corona

A teatro la lezione di Elisabetta I
di Livia Sartori di Borgoricco

Si conclude la stagione del Teatro Goldoni con I corpi di Elizabeth, portato in scena dall’Elfo-Puccini con la regia di Cristina Crippa e Elio De Capitani: un potente studio sulla donna, il potere, il patriarcato.

Se pensate di andare a vedere un dramma in costume, ricredetevi subito. È la stessa autrice del testo originale, Ella Hickson, una delle drammaturghe inglesi più importanti del panorama teatrale contemporaneo, a segnalarlo con una nota al testo, invitando chi lo metterà in scena a trattarlo come una pièce contemporanea.
Anche il titolo è un chiaro indizio del fatto che siamo lontani dalla rievocazione storica: se la traduzione italiana I corpi di Elisabetta prende ispirazione dall’omonimo libro di Clara Mucci (sottotitolo: Sessualità, potere e poetica della cultura al tempo di Shakespeare, Pacini Editore), l’originale Swive [Elizabeth] è esplicito nel richiamare l’atto sessuale. E infatti cuore del testo della Hickson è la carnalità di Elisabetta I, unica donna non sposata che abbia mai governato l’Inghilterra, in conflitto con la necessità assoluta di non sottomettersi mai al potere maschile. Un conflitto tra il corpo desiderante della donna e il corpo politico e simbolico della regina, che – in una società fortemente patriarcale – non può permettersi sentimenti che la rendano debole, assoggettandola a un amante o a un marito.

«Tu sei la mia debolezza – dice a un certo punto al suo favorito – La mia grande voglia. Il mio punto più debole. Evaporare, dissolvermi nel torrente che sei tu – ecco cosa desidera il mio corpo quasi ogni giorno, ma devo resisterti per continuare a esistere. Perché sono una Regina. [Piccola pausa] E quindi tu devi andartene».
Lo spettacolo, con la regia di Cristina Crippa e Elio De Capitani, è costruito sul lavoro di quattro (strepitosi) attori per più ruoli: Elena Russo Arman (Elisabetta regina, ma anche la tutrice Catherine Seymour e la sorellastra Maria la Cattolica), Maria Caggianelli Villani (Elisabetta principessa, la cugina Catherine Grey e una lavandaia) Enzo Curcurù (il tutore Thomas Seymour e il duca Dudley, favorito della regina) e Cristian Giammarini (il nobile consigliere Cecil).

Il corpo della regina, maschile per il suo potere e femminile per nascita, rappresenta un singolare paradosso

La scena, pensata da Carlo Sala, è avvolgente, dalle tinte calde e intense, illuminata dalle candele e costruita da velari neri ricamati con il cardo dorato dei Tudor; una scena di cui spesso la lunga chioma rossa delle due Elisabette diventa il centro attrattivo.
Un ritmo serrato e incalzante, a tratti cinematografico, come ormai l’Elfo ci ha abituato, accompagna questo tormentato e rischioso viaggio verso il trono, in cui una donna sola al comando per poter sopravvivere in un mondo totalmente maschile deve sublimarsi nella condizione di Regina Vergine, imponendosi l’allontanamento da ogni cedimento, a partire da quello del corpo. I costumi, pazzeschi, sfarzosi, di Ferdinando Bruni, cristallizzano l’iconografia della regina in questa direzione, trasformandola in una sorta di papessa protestante.
Resistere per esistere. Un potente studio sulla donna, il potere, il patriarcato che parla al pubblico di oggi attraverso la lente di una vita unica nel suo genere.

Stagione Teatrale 2023-24

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