Dopo Perec, London e Melville, la compagnia romana guarda a Čechov portando in scena per Biennale Teatro 2024 la rivisitazione di una delle opere più note del drammaturgo russo.
Crediamo sia importante lavorare per dare vita e possibilità di esistenza a tutti quei teatri e a quelle forme di teatro che si occupino veramente del presente, un presente critico, complesso e straordinariamente problematico
Muta Imago è una compagnia teatrale nata a Roma nel 2006 grazie a Claudia Sorace, regista, e Riccardo Fazi, dramaturg e sound artist, ma programmaticamente «composta da tutte le persone che sono state, sono e saranno coinvolte nella realizzazione dei lavori». Tre sorelle (2023), tratto dall’omonima opera di Čechov, si inserisce, dopo Ashes (2022) e Sonora Desert (2021), in un più ampio progetto di indagine tramite racconto teatrale del rapporto tra tempo, memoria e identità. In scena troviamo le tre sorelle in una “danza della memoria e del desiderio”, impegnate a ricercare il senso del proprio passato e del presente e ancora non rassegnate al futuro che le attende, una predestinazione scandita implacabilmente dalla musica dal vivo di Lorenzo Tomio (The writer with no hands del 2017 sino al recente Mur del 2023). Sofisticate le luci di Maria Elena Fusacchia, con tonalità talvolta molto ricche e talvolta seppiate, sbiadite come la memoria; luci attive protagoniste che continuamente si spengono e accendono, seguendo, un poco come il coro dell’antica tragedia greca, e sottolineando quanto avviene in scena. Sagomatori e luci di taglio delimitano e avvolgono le bravissime performer Federica Dordei, Monica Piseddu, Arianna Pozzoli, che riescono a far danzare anche le mani, non solo i corpi. Approfondiamo.
Čechov è il maestro del teatro delle emozioni, dove ogni personaggio risulta imprigionato nella sfera delle proprie pulsioni. Nel vostro spettacolo invece portate in scena eventi solo apparentemente senza senso, che però alla fine lasciano intravedere una trama. Potete approfondire il significato del ricordare nel vostro testo?
Il nostro spettacolo porta in scena gli eventi del dramma di Čechov per come questi vengono riattraversati, reincarnati e rivissuti dalle tre protagoniste, Olga, Masa e Irina. La nostra memoria non funziona in maniera lineare: il nostro presente è costantemente infestato da ciò che ricordiamo e da ciò che desideriamo; i nostri corpi, le nostre menti si spostano in continuazione nel tempo malgrado noi, malgrado il controllo che pensiamo di avere su noi stesse/i. Spesso questo movimento accade al di fuori di qualsiasi nesso logico o casuale. Siamo particelle che vibrano e continuano a vibrare in relazione a ciò che è accaduto e che accadrà, guidate da una misteriosa sincronicità che a volte, come scriveva Virginia Woolf nella sua autobiografia, si manifesta improvvisa. E per un istante, per un frammento di tempo infinitesimale, ci sembra di cogliere un senso.
Nella storia della Compagnia incontriamo Georges Perec, Jack London, Hermann Melville e il suo scrivano Bartleby, che… stops to be adherent, to adapt himself to the request of the society. Come si inserisce Tre sorelle nel percorso di ricerca di Muta Imago?
Il primo compito di un regista credo sia quello di leggere: immergersi in storie, racconti, drammi immaginati da altre/i prima di lui. Farsi attraversare da mondi lontani finché non se ne incontra uno che fa venir voglia di compiere un viaggio. Spesso, in passato, abbiamo lavorato su testi di narrativa: romanzi, racconti brevi, perfino saggi. Da qualche anno abbiamo avviato un processo di ricerca dedicato alle drammaturgie scritte appositamente per il teatro. Le Tre sorelle di Čechov rappresenta un primo gesto di scoperta di questo percorso, pur inserendosi all’interno di un cammino di indagine sul rapporto tra tempo, memoria e identità che la compagnia porta avanti da anni.
In uno dei suoi ultimi racconti, Nella bassura (o nella conca), ad una donna che ha perso il proprio bambino Čechov sembra voler insegnare che anche ad un uccello sono date solo due ali e non quattro, eppure anche solo con queste può volare. Così anche all’uomo non è necessario sapere tutto. Il vostro messaggio sembra invece essere un invito ad ampliare la propria visione con sensibilità, per giungere ad una maggiore comprensione degli altri e della realtà. Come avete operato per restituire al meglio questa vostra disposizione nella pièce teatrale?
Si tratta di immaginare delle possibilità di incontro, delle chiavi di accesso a possibilità altre di percezione. Ogni nostro spettacolo, ogni nostro progetto aspira a trovare lo spazio e il tempo perché un incontro vero, reale, possa accadere. Un incontro con sé stessi, prima ancora che con gli altri e la realtà. Ci piace lavorare su tutto ciò che nella nostra contemporaneità viene taciuto, dimenticato, soppresso, magari perché non ritenuto funzionale, utile, positivo. Si tratta di sentimenti sotterranei, nascosti, spettri dimenticati per troppo tempo o volutamente sopiti; modalità di incontro del reale che troppo a lungo nella quotidianità tendiamo a dimenticare e che invece ci caratterizzano in quanto esseri umani. Lo stupore, la disperazione, emozioni come l’amore e la nostalgia ne fanno parte.
In questa opera sembrano avere un ruolo fondamentale la luce e le ombre, effetti riservati ad un teatro frontale, che porta ad un temporaneo abbandono del discorso programmatico degli spazi liberi, come in Racconti Americani / Fare un fuoco. Oggi, 2024, quale la visione di Muta Imago per il teatro del futuro?
In questo momento crediamo sia importante lavorare per dare vita e possibilità di esistenza a tutti quei teatri e a quelle forme di teatro che si occupino veramente del presente, un presente critico, complesso e straordinariamente problematico, che merita di essere attraversato con pienezza al fine di poter anche soltanto immaginare un futuro.