La vita segreta degli artisti

Julie Mehretu si presenta accompagnata a Palazzo Grassi
di Irene Machetti
julie mehretu

Mostra attesissima, finalmente riapre il 17 marzo Palazzo Grassi con un grande progetto espositivo dedicato all’artista Julie Mehretu, che per l’occasione presta anche il suo contributo da curatrice, insieme a Caroline Bourgeois.

Oltre ai dipinti e le incisioni di Mehretu – un corpus di oltre sessanta opere provenienti dalla Pinault Collection, importanti musei e collezioni private –, la mostra include lavori realizzati dalla cerchia ristretta di amici dell’artista o da personalità che l’hanno influenzata. Da Tacita Dean a Robin Coste Lewis, la pittura entra in dialogo con la poesia, la scultura, il cinema, la voce e la musica. La pratica di Mehretu stessa è caratterizzata dalla sovrapposizione, sia fisica che metaforica, di più discipline e pensieri, spesso arricchita da varie forme di collaborazione e conversazione sostenuta con altri artisti. Mettendo in primo piano la relazione tra affinità intellettuali ed emotive e la produzione artistica, la mostra disegna un ritratto collettivo di una comunità artistica in costante contatto.
Nata ad Addis Abeba nel 1970, e scappata insieme ai genitori nel Michigan a soli sette anni, Mehretu è nota maggiormente per i suoi paesaggi, prevalentemente astratti e caoticamente geometrici. Prende un’immagine dalle notizie di cronaca, privilegiando scene di ingiustizia e violenza (dagli scontri tra la polizia e i separatisti in Catalogna agli incendi distruttivi e incontrastati) e le manipola, prima digitalmente e poi sulla tela, fino a distorcerle, complicando in continuazione la superficie con segni e macchie di colore, cancellature, ripensamenti, fantasmi fratturati e presenze imponenti. Le sue composizioni, sensuali ed emotive, sono intrise di tracce e segni immaginativi che emergono in superficie da una densità di idee complesse e stratificate che hanno origine nel suo impegno di lunga data con le tradizioni e le tracce della storia e della fotografia.

Courtesy od the artist and Marian Goodman Gallery Photo Tom Powel © Julie Mehretu, Pinault Collection

I riferimenti sono di vasta portata: storia dell’arte, sociopolitica, geografia, attualità e vita privata – una sovrapposizione, ancora,che aiuta la costruzione per livelli dell’opera. Indipendentemente dal medium utilizzato, Mehretu crea sempre un intreccio di significati, facendo coincidere più livelli semantici e costruendo così un’elaborazione tanto visiva quanto culturale. Tali sovrapposizioni, infatti, rappresentano sul piano concettuale la stratificazione oppressiva delle condizioni di vita diffuse. Mehretu lavora sull’astrazione, vero, ma è quell’astrazione che non fa solo parte del binomio tra ciò che è o non è figurativo, ma che è anche un’astrazione di pensiero, un portare un’idea all’osso, potarla fino a che non ne rimane che un segno, un groviglio di segni. Mehretu strappa le scene crude del vivere quotidiano e le incastra nella sua ragnatela di segni, linee veloci, tratti vivaci e figure senza colore, andando a esacerbare il contrasto tra la finzione del segno astratto e la realtà. È impossibile, soprattutto nelle opere degli ultimi anni, separare i livelli che compongono l’opera, ostinarsi a leggerli singolarmente: sono tutti complici della realtà di conflitto che raccontano.
È proprio l’insistenza dell’artista sul linguaggio dell’astrazione ad averle offerto uno spazio unico di emancipazione per la sperimentazione e l’espressione. L’astrazione, infatti, si apre alla contemplazione innocente della violenza: ti accoglie prima nelle sue linee e chiazze di colore, ti ingloba in un mondo di segni distaccati che poco hanno a che fare con l’asprezza del vissuto. Solo poi, e solo a chi decide di guardare nei dettagli distorti, colpisce. Quella di Mehretu è un’arte tanto grafica quanto violenta, fatta di segni rapidissimi che allo stesso tempo feriscono la superficie e nascondono le immagini crudeli che giacciono sul fondo, di sovrapposizioni che complicano la lettura dell’opera, di immagini del reale portate all’estremo della loro figuratività.

immagine in evidenza: © Josefina Santos

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