Labirinti kafkiani

Gassmann porta in scena l’universo inquieto dell’autore boemo nel centenario della morte
di Livia Sartori di Borgoricco

Arriva al Teatro Toniolo di Mestre Racconti disumani di Alessandro Gassmann, che porta in scena due lavori di Franz Kafka con uno straordinario Giorgio Pasotti.

Uno scimpanzé evoluto e un uomo-talpa. Il primo si rivolge al pubblico con voce roca e baritonale mentre con l’andatura animalesca tipica del primate si arrampica su e giù da un trespolo, epperò vestito con frac e gilet. Il secondo, con una parlantina veloce e sincopata dall’accento vagamente nordico, si muove schizofrenico dentro e fuori dai buchi di una scenografia che sembra un gigantesco sacco di Burri. In scena, solo dall’inizio alla fine, c’è Giorgio Pasotti. Alla regia, Alessandro Gassmann. Lo spettacolo è Racconti disumani, che Gassmann ha costruito scegliendo di mettere in scena due racconti di Franz Kafka, Una relazione accademica e La tana.
Il primo, pubblicato nel 1917, racconta di una scimmia che, nell’arco di cinque anni, si integra alla società umana per uscire dalla gabbia nella quale è stata rinchiusa, guadagnandosi una sorta di lasciapassare di libertà. «La prima cosa che ho imparato è stata la stretta di mano», così inizia il suo racconto, quando con un tono tra il divertito e il distaccato la scimmia ripercorre lo studio delle abitudini degli esseri umani, che con sorprendente facilità possono essere imitate. La tana è uno degli ultimi racconti di Kafka, scritto durante la permanenza a Berlino nel 1923 e pubblicato postumo nel 1931. Qui il protagonista, metà roditore e metà architetto, cerca disperatamente di costruirsi un’abitazione perfetta, un elaborato sistema di cunicoli e piazzette sotterranee che lo protegga da nemici invisibili, in una ossessiva ricerca di sicurezza che invece genera solo ansia e terrore. La messa in scena di queste due umanità “dis-umanizzate” – una che mette a nudo la superficialità di un modo di essere attraverso comportamenti stereotipati, l’altra che racconta il bisogno di costruirsi il riparo perfetto che ci metta al sicuro da ogni interferenza esterna – filtrata dalla visione di Gassmann si traduce in un unico spettacolo dal ritmo sostenuto, mai noioso né verboso, che è vero intrattenimento di alto livello, sorretto dalla maestria attoriale di Giorgio Pasotti. Era tempo che i due attori, entrambi direttori di Stabili, cercavano qualcosa a cui collaborare, e questa coproduzione tra Teatro Stabile d’Abruzzo e Stefano Francioni Produzioni è stata l’occasione perfetta.

Racconti Disumani, Giorgio Pasotti

Scegliendo Una relazione accademica, oltretutto, Gassmann riporta alla ribalta un cavallo di battaglia del padre Vittorio, che in un certo senso portò il Kafka teatrale in Italia: un (potenziale) scoglio, superato dall’interpretazione di Pasotti dove la gestualità bestiale rimane – forte di un formidabile controllo del corpo figlio di un passato nelle arti marziali – laddove il Mattatore era un’ex-scimmia dalle movenze eleganti e di classe. A condurre con perizia tutti gli elementi della scena c’è il gruppo di lavoro che Alessandro Gassmann ci ha abituato a vedere nei suoi spettacoli, già quando più di dieci anni fa era alla guida dello Stabile del Veneto ed era arrivato a Venezia e Padova con spettacoli come Roman e il suo cucciolo e Riccardo III: Pivio e Aldo De Scalzi per le musiche, Mariano Tufano per i costumi, Marco Palmieri per il lavoro di light design, e Marco Schiavoni per le realizzazioni video.
Due racconti che narrano di quanto sia importante la libertà, di come inseguirla, conquistarla e tutelarla, per non dimenticarla – un tema particolarmente significativo e contemporaneo per uno spettacolo che ha debuttato due anni fa, in un momento in cui l’argomento era particolarmente sentito. «Penso sia il momento giusto per ridare la parola a questo gigante del teatro e della letteratura – commentava infatti Alessandro Gassmann alla prima di Racconti disumani ancora segnata dagli strascichi della pandemia –, proprio oggi, quando molte delle paure da lui raccontate, trovano posto nella realtà che viviamo». «Franz Kafka, – proseguiva – […] sorprende, lavora sulla parte profonda di noi stessi, sempre con una visione personale, riconoscibile, inimitabile».

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