Nel ventennale della ricostruzione della Fenice, un classico tra i classici diretto da Diego Matheuz.
Un profondo, viscerale legame unisce La Fenice e La traviata, uno dei capolavori di Giuseppe Verdi che contiene alcune delle pagine più celebri della lirica italiana. Proprio a Venezia, infatti, l’opera debutta il 6 marzo 1853; la stessa partitura, filologicamente ricostruita (la versione a tutti più nota è invece un rimaneggiamento, elaborato in occasione della seconda rappresentazione, svoltasi l’anno successivo al teatro di San Beneto, sempre a Venezia) fu poi eseguita in apertura della Stagione 2004-2005, a inaugurare il teatro ricostruito dopo il terribile incendio del 1996 che l’aveva completamente devastato. Per l’occasione, la regia fu affidata a Robert Carsen, il quale propose una lettura decisamente ardita: seguire il proposito verdiano di realizzare un’opera che fosse “segno dei tempi”, adattandola però ai nostri tempi, ma soprattutto cancellando quell’aura di idealizzazione e romanticizzazione che i personaggi avevano subito nel corso del Novecento.
La traviata, musicata da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave e ispirata al romanzo La dama delle camelie di Alexandre Dumas figlio, rappresenta un quadro della società borghese dell’epoca, le cui consuetudini sociali costituiscono lo sfondo delle tormentate vicende d’amore del giovane Alfredo e dell’amante Violetta. Carsen restituisce ai personaggi le loro più ruvide caratterizzazioni, non mancando di sottolineare la vera natura di Violetta, sostanzialmente una prostituta, pur rispettando il clima borghese dell’opera ed evitando ogni manifestazione di volgarità. Accanto al sesso, l’altro motore dell’esistenza corrotta della società tratteggiata da Carsen è il denaro, forza distruttrice e immorale che compra i corpi e distrugge le anime. Così, tutti i passaggi centrali della tragedia sono caratterizzati dall’ostentata presenza di gran copia di banconote: passano tra le mani di tutti, cadono addirittura dall’alto come foglie morte a formare un prato nel quadro boschivo del secondo atto. Tale allestimento, nonostante qualche critica arrivata soprattutto dal mondo anglofono a causa di alcune forzature del libretto, riscosse uno straordinario successo di pubblico e di critica, quasi diametralmente opposto al fiasco che aveva caratterizzato la prima del 1853, ed è stato così più volte ripreso nel corso degli anni successivi, e non solo a Venezia. Nel ventennale di quella fortunata “prima”, torna ora a essere riproposto alla Fenice, con interpreti di alta levatura, a consolidare ancor più quell’indissolubile legame che il teatro veneziano coltiva con quella che è universalmente riconosciuta come una delle più grandi opere scritte da Verdi.