Una Frankenstein al femminile per riflettere sulle regole imposte dalla società.
All’origine, c’era un racconto. Un bel racconto dal titolo Poor Things. Se potete, prendete l’edizione inglese di Bloomsbury Publishing. Solo così potrete gustare il black verse ad imitazione di Shakespeare e i numerosi giochi di parole. L’autore è uno scozzese, Alasdair Gray (1934-2019), ma il racconto viene presentato, seguendo una lunga tradizione che va da Manzoni a Scott, da Cervantes a Jan Potocki o a Umberto Eco, come un antico manoscritto ritrovato. L’autore si presenta come «[…] a fat, balding, asthmatic, married pedestrian who lives by writing and designing things» e infatti i suoi libri sono tutti riccamente illustrati. Vi sono due ragioni per leggerlo prima di vedere il film. Da una lettura di parole, più lenta e meditativa di una visione cinematografica, si colgono infatti dettagli che sfuggirebbero (perché il gioco a terra frammentato delle Isole Britanniche, se non si cogliesse la pacata, ma ferma passione dello scrittore per la sua terra di Scozia?); poi per percepire il senso originario della sensualità che si esprimere nel racconto in frasi come: «Cercavo di ricordare il colore degli occhi di Bella, ma stavo ripensando alle sue sillabe tentennanti come perle che cadono ad una ad una su un piatto». Non corpi, ma emozioni. La storia ormai è nota: uno scienziato dall’aspetto austero e spaventevole recupera una donna annegata, incinta, e trapianta nel corpo il cervello del feto, riuscendo a riportarla in vita. Donna incantevole, ma senza freni inibitori, avrà voglia di conoscere e di sperimentare tutto.
Entra in scena il regista Yorgos Lanthimos e ne fa un film che ha subito vinto senza concorrenti il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia ed è proiettato agli Oscar prossimi. Ricchezza scenografica, fotografia ed effetti di pigmentazione eccezionali, costumi e un cast di attori di tutto rispetto, dalla protagonista Emma Stone passando tra gli altri a Mark Ruffalo e Willem Dafoe. Del regista ricorderete The Lobster (2015) e La Favorita (2018), Gran Premio della giuria sempre a Venezia. Viene sempre più spesso avvicinato alla Greek Weird Wave per la frequente bizzarria di alcune sue scene, come i 17 conigli della regina inglese ne La Favorita, incarnazione dei suoi 17 figli morti. Il copione è tratto dal romanzo, ma a dominare sono la recitazione e l’esposizione dello stupendo corpo di Emma Stone con tutta la carica di sensualità che trasuda. Molti, trascinati ad afferrare la direzione del vento, hanno parlato di femminismo. Non lasciatevi ingannare. Vi è anzi un peccato nascosto: il fascino erotico appartiene anche a un immaginario in cui Bella, il personaggio interpretato dalla Stone, è bambina ed ha mosse da bambina. Certo, con la crescita Bella diventerà potente e potrà concedersi ogni rivincita sugli uomini, ma non riuscirà mai a conoscere l’amore, che solo si può riconoscere ed avere se lo si è ricevuto. Due ore quindi di incantata ed eccitante visione, ma con un poco di amaro in gola o, da maschio, ambigua voglia di donare.