Artificial Napoleon

Il Kolossal irriverente di Scott regala a Napoleone una nuova vita
di Riccardo Triolo

Non una ricostruzione storica  ma un ritratto d’autore, con il binomio Phoenix-Scott a ricomporsi dopo Il Gladiatore.

Non un ritratto storicamente attendibile. Non un biopic deferente ed equanime. Dal regista che con Il gladiatore ha riabilitato il genere peplum in quanto dispositivo simbolico libero dal vincolo della veridicità, non potevamo che aspettarci un film spettacolare, audace e irriverente. Inglese fino all’osso, Scott si conferma un manipolatore di immagini, un affabulatore. La sua estetica volutamente, insistentemente artificiosa, in Napoleon si colora di un’inedita intenzione iconoclasta: il mito di Napoleone viene decostruito in un’opera che sa tenersi in miracoloso equilibrio tra farsa e tragedia, tra narrazione e iconicità. Sul piano strettamente narrativo, le scelte dello sceneggiatore David Scarpa pesano decisamente: lo si nota dal registro linguistico dissacrante, irridente, a tratti umoristico con cui è tratteggiata l’epopea napoleonica tra omissioni, tagli e deliberate invenzioni, tutte però coerenti con l’intenzione sottilmente iconoclasta che dà l’impronta al film.

La potenza iconografica invece, indubbia e straordinaria, senz’altro intenzionale nella sua spregiudicatezza, è il marchio di fabbrica di Ridley Scott: dal design del personaggio principale, tutto costruito sulla fisicità ambigua, fragile e inquieta di Joaquin Phoenix, alla consueta e mai banale ricerca di una spettacolarità di taglio pittorico, cui è affidata la narrazione degli aspetti più tragici e simbolici dell’epopea napoleonica. Le battaglie, in questo senso, sono opere a sé stanti, quasi autonome nella loro potenza visiva. Scott non è Luchino Visconti. In lui non riecheggia la teoria del rispecchiamento storico di Lukàcs, l’arte non è di per sé veritativa, conoscitiva. E non è Kubrick, maniacale e documentato in Barry Lyndon, nella dichiarata intenzione di far credere allo spettatore che quanto scorre sullo schermo è almeno attendibile, se non vero. E non è nemmeno Aleksandr Sokurov, che ha realizzato numerose opere autenticamente libere e dissacranti sul potere (da Moloch fino all’ultimo Fairytale), svincolate dall’imperativo dell’intrattenimento e percorse da grande tensione etica.

Ridley Scott è Ridley Scott, quindi forse vale la pena di cercare, in questo suo ultimo lavoro, non il biopic più o meno riuscito, ma appunto la visione di Ridley Scott. Non il naturalismo, non l’intenzione didascalica e nemmeno una postura morale granitica. Piuttosto il gioco con l’artificiosità come prodotto dell’immaginario che si fa più vera del vero, fino a sostituirlo, pur restando in costante relazione con esso. Già con Duellanti, del resto, film napoleonico per ambientazione, i riferimenti pittorici erano evidenti e forti: l’artificiosità dell’immagine di Scott, figlia della pittura di David e Vermeer, era in grado di costruire una nuova realtà sostitutiva, tanto credibile quanto elaborata e artificiosa. Il simbolismo, altro tratto fortemente scottiano, evidente a partire da Alien, è un’altra costante estetica da ricercare in questo Napoleon. Così come il tema della macchina che imita la Natura, concetto romantico che vive ancora in Scott e diventa il tema di Blade Runner, trova il suo corrispettivo diretto ne Il gladiatore, metafora perfetta dell’artificiosità manipolatoria della macchina politica e propagandistica che si scontra con la fisicità e la corporeità del lottatore. Napoleon sta qui, sta tutto nella ricerca estetica di Ridley Scott, inutile cercarlo altrove. Inattendibile per scelta deliberata, incoerente per vicenda artistica, il regista inglese filma con Napoleon un altro kolossal d’intrattenimento capace però di accendersi di quel furore simbolico e mitopoietico che è forse la cifra artistica più autentica di Ridley Scott, a partire dai suoi esordi pubblicitari, quando con il suo celebre spot per il lancio del personal computer Apple Macintosh osava fare il verso a 1984 di Orwell, prevedendo un futuro utopistico grazie all’avvento dei dispositivi individuali. Sarà poi successo? La Storia, alla fine, non dà ragione a nessuno.

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