Propagazioni

WAVES, la danza di movimenti, suoni e dati di Cheng Tsung-lung
di Marisa Santin

Sul palco vedremo dodici danzatori e i loro avatar in una performance creata dal coreografo Cheng Tsung-lung e dall’artista digitale Daito Manabe per i 50 anni di Cloud Gate, una “fusion company” taiwanese rinomata in tutto il mondo per unire pratiche orientali e danza occidentale. Lo incontriamo in occasione della sua prima europea alla 18. Biennale Danza.

La fusione operata nel nuovo spettacolo di Cheng, che dal 2020 è anche direttore artistico di Cloud Gate, non riguarda questa volta solo Oriente e Occidente, ma anche danza e tecnologia. In WAVES i movimenti dei corpi incontrano le onde generate dai suoni di Manabe, mentre l’attività muscolare e respiratoria dei danzatori si trasforma in dati processati da un programma di intelligenza artificiale. La tecnologia cambierà la danza? «Ogni forma di linguaggio – dice Cheng Tsung-lung – ha una sua necessità». Ma avverte: mai dimenticare il grande e insostituibile potere della danza, «una delle forme creative più pure e connesse col nostro intimo, un movimento che coinvolge corpo e mente».

WAVES è una performance creata per celebrare i 50 anni di Cloud Gate. Ci parli della sua esperienza come direttore artistico di una delle più prestigiose compagnie di danza al mondo.
Dal 2020, il mondo ha combattuto la pandemia, affrontando grandi difficoltà e la perdita di molte vite, il che è deprimente e triste. La vecchia generazione in Oriente crede nel destino e nel Feng Shui. Ci sono stati momenti in cui mi chiedevo se la fortuna mi avesse voltato le spalle: avevo appena cominciato a lavorare come direttore artistico e il mondo si era fermato. Eppure in seguito ho capito che era un dono per me. Negli ultimi tre anni i ballerini di Cloud Gate ed io abbiamo continuato a lavorare nella produzione di tre nuovi lavori: Sounding Light, Send in a Cloud e WAVES. Senza interrompere mai la nostra ricerca, abbiamo mantenuto la nostra energia e il nostro spirito attraverso sessioni online e molte conversazioni a due, esplorando il mondo interiore l’uno dell’altro, dato che la possibilità di incontrarci era in quel momento limitata. Il mondo è cambiato immensamente, ma Cloud Gate, che ha cinquant’anni, ci ha dato qualcosa di stabile nel mezzo della tempesta. Questo mi ha guidato nella creazione di WAVES.

WAVES, Cloud Gate, ph. Lee Chia-yeh, courtesy La Biennale di Venezia

Come descriverebbe il linguaggio attraverso il quale WAVES si esprime? E come il lavoro di Daito Manabe, artista digitale, compositore, dj e programmatore, si intreccia con la sua coreografia?
Questa coreografia è molto diversa da quanto ho realizzato in precedenza. Daito Manabe e la sua squadra hanno usato diversi strumenti, come sensori per l’elettromiografia e telecamere, per registrare l’attività muscolare e respiratoria dei danzatori. L’intelligenza artificiale ha poi processato questi dati trasformandoli in colori, suoni ed altre energie percepibili. In WAVES, “l’intuizione e l’intenzione” dei danzatori ha creato nuovi paesaggi sul palco. Io vedo i loro corpi come elettrificati, una rivoluzione simile a quella che ebbe, in pittura, l’introduzione dei colori a olio. Gli schermi LED sono come tele, e i dati sono la pittura in mano ai danzatori. Abbiamo condotto diversi esperimenti assieme a Daito Manabe. Era come essere attraversati da una corrente elettrica, da più correnti, una turbolenza tra Manabe, i danzatori e me. Invece di rifiutare del tutto o adottare acriticamente la tecnologia, io scelgo di avvicinarmi in modo aperto e imparare una lingua nuova. I movimenti dei danzatori possono avere origine dalla danza contemporanea e derivare da rituali tradizionali o dal Tai Chi Dao Yin, una forma di Qi Gong; tuttavia, è davvero possibile ottenere qualcosa di nuovo dalle immagini e dalla musica generate dall’intelligenza artificiale? Questo è ciò che WAVES vuole esplorare: attraverso forme distinte di energia vedremo diversi potenziali dinamici e cinetici in cui tutto sembra entrare in comunicazione e connessione.

Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole. Il mio linguaggio freme di desiderio

Nei suoi lavori, Oriente e Occidente non solo trovano un punto di incontro ma anche una fusione. In Dorian Gray (2014), ad esempio, l’opera di una delle più grandi figure letterarie occidentali viene messa in dialogo con movimenti del corpo ispirati ad antichi rituali taiwanesi. In quali elementi di WAVES troviamo riflessi questi due mondi, entrambi così presenti nella sua produzione?
I confini tra Oriente e Occidente non sono così definiti nella mia vita di tutti i giorni. Taiwan è un crogiolo di culture diverse, dove si può vedere un tempio orientale accanto a una chiesa occidentale nella stessa strada, oppure un negozio di bubble tea fianco a fianco ad un bar che serve caffè espresso all’italiana. Quando creo non penso al fatto di creare qualcosa di orientale o di occidentale. Du Lian Kui è la versione taiwanese del Ritratto di Dorian Gray. L’autore, Wang Da-hong, sostiene che la natura umana non si divide in antica o moderna, orientale o occidentale, e che l’essenza dell’opera di Wilde proviene dalla natura umana. Wang ha cambiato l’ambientazione – dalla Londra ottocentesca agli anni ‘70 di Taipei –, i luoghi e i personaggi, ma nonostante queste differenze la storia è del tutto accettabile.
Questo tipo di intrecci mi affascina molto. Ad esempio, la mia opera 13 Tongues ritrae vari aspetti della mia città natale, il distretto di Banga, comprese scene di strada, lingue, colori, negozi, templi, e nonostante questo, quando porto lo spettacolo in giro, molti spettatori mi trasmettono la loro commozione nello scorgere in essa dei valori umani e universali. Come dico spesso, spero di essere, attraverso il mio lavoro, una specie di cartina di tornasole, capace di restituire l’immagine dell’epoca e della società. L’arte deve evocare valori universali e non limitarsi ad essere un riflesso di due mondi o una fusione di tecnologia, ma piuttosto dialogo spirituale.

WAVES, Cloud Gate, ph. Lee Chia-yeh, courtesy La Biennale di Venezia

In 13 Tongues (2016) lei ha esplorato le possibilità di comprendere ed esprimere la realtà attraverso diversi linguaggi. Ora, con l’intelligenza artificiale, questa ricerca sembra tendere all’infinito, verso un linguaggio tanto universale ed elegante quanto può esserlo il sistema binario dei computer, uno e zero, “essere o non essere”… Come pensa che la tecnologia influenzerà il mondo della danza nei prossimi anni?
Credo che l’IA e i futuri progressi tecnologici siano forme di linguaggio. Anche il corpo stesso è un linguaggio. L’addestramento fisico che facciamo a Cloud Gate io e gli altri danzatori e il nostro modo di muoverci sono ben impressi in noi. Tuttavia, nel creare WAVES, mi sono chiesto se ci fosse un modo di liberarsi di quegli schemi. In fisica, quando due onde di diverse frequenze interferiscono, nascono nuove forme, un po’ come i vari linguaggi che usiamo. Ogni forma di linguaggio ha una sua necessità, inclusi il linguaggio del corpo e quello della tecnologia. Ciò che mi preoccupa è che l’accelerazione caotica del mondo della tecnologia possa farci gradatamente perdere l’uso della danza e del corpo. Eppure, la danza rimane una delle forme creative più pure e connesse col nostro intimo, un movimento che coinvolge corpo e mente. Spero proprio che non dimenticheremo di avere questo potere.

Immagine in evidenza: WAVES, Cloud Gate, ph. Lee Chia-yeh, courtesy La Biennale di Venezia

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