La curatrice Chiara Bertola incontra da studentessa per la prima volta l’arte di Bacci con sguardo puro e incondizionato; oggi lo incontra ancora rileggendolo con attenzione, esperienza e sensibilità nuove. Il risultato è la mostra alla Collezione Guggenehim, Edmondo Bacci. L’energia della luce.
… [Bacci] è semplice vivo e intenso. Per lui il colore è un conflitto di potenze e la materia vive di questa tensione, sensibile e luminosa
Peggy Guggenheim
Una mostra appena inaugurata alla Collezione Peggy Guggenheim e un catalogo da poco pubblicato da Marsilio Arte restituiscono a Edmondo Bacci (Venezia, 1913 – 1978) la posizione di rilievo che merita nel panorama dell’arte moderna italiana e internazionale. Ma forse c’è qualcosa di più sorprendente: viene restituita al pubblico la purezza della sua arte, perchè nella riscoperta le sue opere rinascono di nuova luce ed energia creativa, libere dalle maglie strette del passato e aperte al futuro, traghettate direttamente su una dimensione contemporanea, dove non cedono il passo, anzi, sembrano “avvenimenti” del presente. Fautrice di questo nuovo rinascimento del grande artista veneziano è Chiara Bertola, responsabile del programma di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia, “prestata” qui alla Collezione Peggy Guggenheim che con questa mostra conclude il percorso di revisione critica della pittura veneziana della seconda metà del Novecento, dopo le mostre monografiche su Vedova, Santomaso, Tancredi. Quando Chiara Bertola ha proposto la mostra di Bacci, Carol Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim, ha accolto subito con grandissimo entusiasmo il progetto, perché questo artista in qualche modo appartiene a quella casa, a quel luogo dove Peggy Guggenheim aveva saputo riconoscere la qualità della sua pittura e lo aveva sostenuto. Edmondo Bacci. L’energia della luce è senz’altro la prima e la più esaustiva personale mai presentata di questo straordinario artista sin troppo nell’ombra da anni e anni; un progetto che intende approfondire la parte più lirica del suo lungo percorso espressivo, dipanatasi nella fase più internazionale della sua carriera. Chiara Bertola incontra da studentessa per la prima volta l’arte di Bacci con sguardo puro e incondizionato; oggi lo incontra ancora rileggendolo con attenzione, esperienza e sensibilità nuove, arricchite da uno studio profondo e appassionato.
Come nasce l’idea di questa importante retrospettiva che raccoglie più di ottanta opere tra dipinti e disegni? Quale il suo speciale e personale legame con questo artista?
Mi sono laureata in Arte con Giuseppe Mazzariol. È stato questo straordinario docente, sicuro che per me sarebbe stata un’esperienza conoscitiva piena e intensa, a consigliarmi di occuparmi di Edmondo Bacci, un artista di grandissima qualità, tuttavia sprofondato troppo presto nell’oblio. Finché rimangono in vita Peggy Guggenheim e Carlo Cardazzo, Bacci ha dei sostenitori, delle persone che riescono a far breccia nella sua timidezza aprendolo al mondo. Senza queste figure di mecenati, amici, promotori, collezionisti e galleristi insieme, Bacci non avrebbe avuto il carattere per farsi valere da solo nel mondo dell’arte. Era timido, chiuso nel suo silenzio e nella sua magnifica opera, come se mettesse tutta la sua energia nella pittura, senza preoccuparsi di avere relazioni con altri, come del resto accade a tantissimi artisti. La mia tesi è stata il primo catalogo generale dell’opera di Edmondo Bacci; nessuno prima aveva ancora studiato e ordinato seriamente il suo lavoro. Capii che il mio sforzo non si sarebbe esaurito con questa tesi quando varcai per la prima volta la soglia dello studio a San Vio, dove erano stati radunati tutti i suoi materiali e le sue opere. Guidata dal fratello Giorgio e dalla moglie Denise, che mi hanno accolto in casa come una figlia, ho trascorso moltissimo tempo in quello stanzino a riordinare i materiali che avevo trovato così com’erano stati lasciati l’ultima volta del loro utilizzo, e ho continuato a studiare quel materiale per diversi anni. È stato un reale lavoro di riordino: ho dovuto improvvisarmi archivista e a volte anche detective, catalogando foto, ordinando opere e disegni, schedando la corrispondenza, cercando di rintracciare attraverso i suoi quadernini colmi di annotazioni dove si trovassero le opere, molte di queste perdute chissà dove negli Stati Uniti, dopo il grandissimo lavoro di Peggy Guggenheim e Alfred Barr per divulgare la sua opera oltreoceano. Di diversi lavori avevo foto in bianco e nero, da cui risultavano titoli, dimensioni, tecnica, però non sapevo dove fossero; tantissime opere erano disperse. Sono riuscita, grazie al prezioso supporto di Mazzariol e del Dipartimento di Storia dell’Arte, a inviare una miriade di richieste di informazioni ai collezionisti americani dei quali avevo rintracciato l’indirizzo nelle lettere. Attraverso questo capillare lavoro di indagine in parte sono riuscita a ricostruire fortunatamente il percorso organico della sua produzione artistica. La mia tesi è così diventata il primo volume del Catalogo generale dell’opera di Edmondo Bacci, pubblicata dalle Edizioni del Cavallino. Sono passati molti anni da allora e nel tempo sono diventata una curatrice che lavora per lo più con artisti viventi. Tuttavia con l’altro mio sguardo ho sempre continuato a occuparmi di Bacci e ho sempre mantenuto verso di lui una certa attenzione, collaborando nel tempo con il nipote Gregorio, che nel frattempo aveva preso le redini dell’archivio dello zio. Insieme a Gregorio abbiamo cercato di custodire e proteggere le parti più delicate, come lettere o documenti o altri materiali deperibili e di avere la massima cura possibile per valorizzarlo e conservarlo con attenzione.
Quindi, l’embrione dell’Archivio Bacci, che anche ora, in mostra, è un elemento fondamentale, è stato messo insieme da lei?
Si, di fatto avevo iniziato a costruirlo senza averne coscienza in occasione della tesi. Poi con Gregorio Bacci lo abbiamo realizzato compiutamente, facendolo infine riconoscere “Archivio di valore” dalla Regione Veneto. Oggi la Fondazione Querini Stampalia – grazie all’archiviazione professionale di Isabella Collavizza – ha offerto il supporto digitale all’archivio delle sue opere partendo proprio da quel mio iniziale catalogo di tesi, al quale naturalmente sono stati apportati aggiornamenti, recependo per esempio i cambi di proprietà di alcune opere. L’obiettivo finale è mettere online l’intero catalogo riordinato, divenendo così consultabile da tutti.
È stato un pittore prolifico?
Bacci è stato un pittore relativamente prolifico, perché la sua tecnica era abbastanza complessa e i tempi di lavorazione non erano così istantanei. L’intero corpo di opere conta più o meno 500 Avvenimenti.
Una mostra e un bellissimo nuovo catalogo. Quale revisione critica emerge dell’arte di Bacci da questi due nuovi contributi?
Per quanto riguarda gli autori che ho invitato a scrivere nel catalogo, edito da Marsilio, l’intento era di offrire l’opera di Bacci, ancora vivissima e per nulla morta o polverosa, allo sguardo di giovani e raffinati intellettuali e critici contemporanei. Abbiamo deciso di riservare spazio al testo denso e filosofico di Toni Toniato, poeta, storico e critico d’arte che per primo ha interpretato e creduto, in Bacci e nella sua opera, sostenendolo fino alla fine. Parimenti abbiamo invitato uno dei più importanti critici americani che si occupano di pittura contemporanea, Barry Schwabsky, ad accostarsi con la sua personale visione al lavoro di Bacci. Trovavo interessante capire come un critico così specifico e aggiornato sul colore e la pittura potesse in qualche modo accogliere, osservare e confrontarsi con il linguaggio e l’opera di Bacci, che nasce in una dimensione artistica precisa – l’informale, lo Spazialismo, Venezia e Milano – in un preciso momento della storia dell’arte europea, quello del Dopoguerra. Schwabsky non conosceva veramente le opere di Bacci; aveva visto il dipinto conservato al MoMA e alcune altre altre opere presenti in America, ma quando l’abbiamo invitato a Venezia ho avuto modo di intrattenere con lui delle bellissime conversazioni e di introdurlo in una dimensione “bacciana” a lui totalmente inedita. Ha restituito un testo magnifico che offre certamente una nuova vita, un nuovo sguardo e una nuova linfa alla pittura di Edmondo Bacci. L’altra figura che ho invitato a contribuire al catalogo è Riccardo Venturi, un intellettuale e un critico raffinatissimo, capace di mettere in relazione mondi diversi, letteratura, cinema, arte contemporanea, oltre ad essere di per sé un bravissimo scrittore. Venturi ha voluto dipanare un filo che attraversa il suo percorso artistico partendo dalle Fabbriche, dallo sguardo critico e stupefatto di Bacci su quel paesaggio industriale e di attenzione dell’arte al mondo operaio e di impegno politico tipico di quegli anni del Dopoguerra, riallacciandolo, attraverso una rilettura green ed ecologista, alla questione della sostenibilità del paesaggio. È interessante che quella pittura, quella figurazione di Bacci del 1947/50, venga ora riaggiornata, vista in modo diverso rispetto a quella radice storica, politica e sociale da cui era nata, rendendola servibile per intercettare un conflitto, un tema sociale ed ecologico importante che ci tocca oggi. Questa credo sia veramente una rilettura critica convincente attraverso la quale rendere vivo un artista del recente passato nella contemporaneità. È esattamente quello che sto cercando di fare da anni alla Fondazione Querini Stampalia, ovvero tenere in vita e rivitalizzare con nuovi sguardi percorsi che sembrano apparentemente morti, ma che invece sono solo assopiti o coperti da un cono d’ombra che va spostato verso la luce.
Quale il ruolo di Bacci nella Venezia del Novecento?
Bacci era un artista interessante perché aveva le ‘antenne’ sempre accese. Avvertiva l’urgenza di trasformare il suo linguaggio pittorico in qualcosa che parlasse la lingua viva della contemporaneità. Quando Fontana e il gruppo degli Spazialisti gli aprono la possibilità di inserirsi in un dibattito sintonizzato su temi che gli sono assolutamente congeniali, la prima cosa che Bacci fa, non essendo uno che parla o che scrive, è reagire con il proprio linguaggio pittorico, di fatto perfettamente in sintonia con quello che gli altri artisti e teorici dello Spazialismo stanno affermando e teorizzando. Tuttavia quello di Bacci è anche un linguaggio che evolve in continuazione, che insegue la sperimentazione. Oggi un giovane artista contemporaneo potrebbe essere interessato alle soluzioni sintetiche e geniali di immaginare lo spazio, che Bacci realizzava con materiali presi dalla quotidianità negli anni Settanta. Sono gli anni delle tante sperimentazioni dell’Arte Cinetica, che in quel momento è terreno comune per vari gruppi soprattutto attivi nel Nord Italia tra Milano e Padova e che per Bacci rappresenta una nuova sollecitazione, un nuovo impulso creativo. Bacci se prima creava delle esperienze spaziali con la pittura, poi restituisce dei paesaggi lunari o la vastità delle costellazioni con altri pochi elementi. Lo fa solo con dei fili colorati e sperimenta altri materiali prelevati dalla realtà come del polistirolo, palline da ping-pong, le capocchie di varie dimensioni dei chiodi. In questo modo i valori tattili della pittura, soprattutto quelli spaziali, sono mantenuti e riproposti attraverso altre soluzioni. Si rinnova e si adegua anziché ripetersi e irrigidirsi, che è ciò che invece rischiava di fare poco prima, negli anni Sessanta, quando alcuni suoi quadri esauriscono la modalità pittorica spaziale iniziale, assolutamente lirica, espansiva e propulsiva del colore, chiudendola nella geometria di forme precise. Alle sue opere sperimentali della fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta ho voluto dedicare in mostra uno spazio importante, perché rappresentano un nuovo slancio all’interno del percorso di questo artista, che svela una visione fresca e propositiva di quei valori spaziali che aveva indagato all’inizio. Bacci è insomma connesso fortemente con la propria contemporaneità e continua a perseguirla, cambiando, innovandosi, adeguandosi alle nuove istanze del tempo in cui vive. Non si richiude mai nel mestiere o in un mestiere consolidato; gli piace occupare il centro dinamico della vita in divenire. Questo secondo me è tra tutti il tratto che lo rende un artista di grandissimo interesse.
Il suo dipingere, la forza generativa del colore, la rottura dei piani spaziali e il ritmo circolare della pennellata. Quale il preminente segno stilistico che lo connota e attraverso quale evoluzione espressiva arriva a questi esiti lirici?
La mostra segue l’evoluzione del suo percorso proprio per sottolineare le composite sfaccettature del suo lavoro, dagli inizi con le Fabbriche in bianco e nero a quelle colorate, alle Albe fino ad arrivare agli Avvenimenti più lirici. Ho focalizzato l’attenzione sugli anni Cinquanta, quegli anni in cui lo conoscevano anche Peggy Guggenheim e Carlo Cardazzo, e ho scelto delle opere importanti, poche ma molto significative. Volevo che la mostra avesse un ritmo all’interno di cambi luminosi, di atmosfere cromatiche per portare il visitatore a respirare e toccare con gli occhi quell’aria, ogni volta diversa, che Bacci riesce a dipingere sulla tela. In mezzo alla mostra c’è la rottura degli anni Settanta, dove ho voluto dare spazio al suo momento sperimentale per mostrare quanto lui sia stato in grado di progredire e di evolvere il proprio linguaggio espressivo. Vicino c’è un’altra sala che ho voluto dedicare interamente a un gruppo di disegni mai esposti prima e che appartengono alla mia storia. Li avevo scovati dentro a una valigia quando per la tesi stavo riordinando il suo studio; li avevo ordinati e catalogati già in quell’occasione, poi sono stati custoditi nell’Archivio Bacci e ora per la prima volta vengono mostrati al pubblico. Si tratta di disegni realizzati dal 1949 al ‘72, abbracciando quindi praticamente tutta la carriera dell’artista. Ho voluto creare una stanza quasi laterale nel percorso della mostra dove poter godere di questa gioiosa nuvola di disegni esposti tutti insieme come un paradigma linguistico. I disegni sono esposti vicino ai collages delle “carte bruciate”, di nuovo un Bacci sperimentatore di materiali particolari e alternativi, utilizzati per costruire ancora spazio e costellazioni inedite, nello specifico qui attraverso un materiale che sta scomparendo: frammenti di carta bruciata. Chiude il percorso espositivo una sorpresa: ho cercato di collegare l’attitudine verso lo spazio pittorico degli artisti spaziali veneziani. In loro infatti troviamo un background che affonda le radici nel colorismo e nella stagione della grande pittura veneziana del Settecento. Lo stesso Bacci racconta che quando da bambino andava a messa la domenica ammirava e osservava i grandi affreschi nelle chiese di Venezia. Quella lezione è rimasta tatuata nella sua memoria e ritorna vivida nella sua costruzione dello spazio. Se guardiamo l’architettura spaziale entro cui Bacci fa muovere e ruotare le sue masse cromatiche, le forme dell’aria o del fuoco in certe sue Esplosioni e Avvenimenti, seguendo i salti magnifici che la storia dell’arte permette, quell’architettura spaziale la ritroviamo esattamente nelle opere di grandi maestri come Tiepolo o Veronese, nei loro immensi affreschi sulle volte delle chiese veneziane. Alla fine ho cercato di organizzare una mostra in grado di restituire una visione nuova e viva di Bacci e credo che ne emerga un profilo inaspettato. In realtà è un artista che nessuno conosce nel profondo…
La mostra in questa straordinaria casa-collezione-museo non può che enfatizzare il legame di Bacci con Peggy Guggenheim. Quale effettiva influenza ha esercitato la mecenate americana sull’artista?
Dico sempre che sono felicissima di aver riportato Bacci “a casa” dopo tanti anni, perché è proprio da questa casa e dalla spinta decisiva della sua proprietaria che è iniziata la sua fortuna, da cui deriva il suo riconoscimento. Bacci è stato un artista che in vita ha avuto un buon riconoscimento, se solo pensiamo che nel 1958 gli riservano addirittura una sala personale alla Biennale di Venezia presentato da Peggy Guggenheim stessa. Di fatto ha avuto grandissimo successo: le sue tele prendono il cammino per andare oltreoceano, entrano nei più prestigiosi musei americani, a partire dal MoMA, diviene uno degli artisti più venduti negli Stati Uniti. È una specie di “star” che viene lanciata da una protagonista fondamentale dell’arte contemporanea del Novecento quale era Peggy Guggenheim e da un gallerista potente come Carlo Cardazzo – insieme erano straordinari –; le due gallerie di Cardazzo tra Venezia e Milano, Il Cavallino e Il Naviglio, hanno dato un impulso decisivo all’affermazione del gruppo degli artisti spazialisti. L’azione quindi di queste due cruciali figure dell’arte moderna, risulterà a dir poco decisiva per lo sviluppo, il riconoscimento e la carriera di Bacci. Una volta esauritasi quella fase felice, l’opera di Bacci non ha più avuto la stessa cura e attenzione, né lui stesso la forza di promuoversi e andare avanti: è così che poco a poco intorno alla sua opera si allarga una sorta di deserto. Peggy Guggenheim è una figura straordinaria e coraggiosa, perché ama e sente l’arte, sostiene gli artisti credendoci profondamente e li divulga. Dove trovi oggi un mecenate così libero, così autonomo, che vede un artista assolutamente sconosciuto, lo ama, lo sostiene e lo porta in un museo come il MoMA? Alfred Barr, primo direttore del MoMA, viene condotto da Peggy nello studio di Bacci. Peggy fa tutto ciò con una libertà e una generosità che noi possiamo solo sognare per come si è stravolto il sistema arte oggi. Come lei, anche Carlo Cardazzo è una figura di straordinaria apertura mentale. È un uomo e un intellettuale raffinato e coraggioso; con le sue edizioni del Cavallino crea una congiunzione importante per l’Italia rispetto a quello che si sta producendo in Europa, traduce per esempio nel Dopoguerra il primo Manifesto del Surrealismo e autori come Joyce. È un gallerista al quale la comunità dell’arte italiana deve moltissimo, perché apre le porte internazionali del contemporaneo a un gruppo di artisti che forse avrebbero corso il rischio di rimanere attivi nel recinto stretto del nostro Paese. Sono figure praticamente irripetibili oggi. Pensiamo a Peggy, una collezionista certo con grandi disponibilità, con risorse importanti a cui attingere, capace però di impiegarle in maniera lucida, coraggiosa e visionaria. Una donna che era avanti e capace di costruire una propria collezione, presentata per la prima volta alla Biennale del 1948 nel Padiglione Greco, di opere di artisti oggi considerati dei giganti, ma che allora erano davvero sconosciuti. Quando scommette su Pollock e lo presenta in quella Biennale del Dopoguerra, per gli artisti italiani, Bacci incluso, l’impatto è sconvolgente. Peggy è stata una figura davvero potentissima, nel senso proprio deflagrante del termine. Ha aperto mondi di fatto inediti.
Quante opere di Bacci ci sono nella Collezione Guggenheim?
In Collezione ci sono due opere che lei aveva comprato e che provengono dalla sua casa, un’altra proviene dal Solomon Guggenheim, ma ora è qui a Venezia e un’altra opera donata dall’Archivio Bacci anni fa che è ora esposta nella sala dedicata agli artisti Spazialisti, appena allestita nel percorso della Collezione. Peggy Guggenheim amava tantissimo le opere di Bacci; non solo aveva la casa piena di suoi quadri, ma si faceva sempre fotografare davanti ad essi. Lei stessa scrive che Bacci è un mistero, un uomo tanto timido ed educato che quasi non conosce nonostante lo incontri e saluti quasi tutti i giorni; ma intuisce e riconosce subito l’energia della sua pittura e la forza della sua opera. Edmondo Bacci non riesce ad esprimere a parole quello che banalmente esprime con il linguaggio dell’arte. Gli artisti sono quasi tutti così e del resto non vogliamo nemmeno che siano diversi. Per quell’epoca il caso di Bacci non era affatto atipico, tutt’altro.
Com’era l’uomo Bacci?
Al tempo non esisteva il “personaggio artista”. Bacci era un uomo normale, mite, educato, appassionato, ma misurato, che proveniva da una famiglia semplice, dal mondo operaio di Marghera. È interessante perché tutti i valori che troviamo nella sua opera sono prossimi a quelli che informano i lavori di artisti come Vedova, Pizzinato e di tutti gli altri che partecipano al Fronte Nuovo delle Arti. Bacci riesce a portare tutte le cose che impara, che sente e che assorbe dalla cultura di quell’epoca nella sua pittura, che è la forma espressiva che gli dà la parola. Quando gli viene chiesto perché ha scelto di aderire al gruppo degli Spazialisti, Bacci risponde senza dilungarsi concettualmente sul tema dello spazio, che stava sviluppando ed elaborando attraverso le sue opere, afferma semplicemente di aver seguito questo gruppo di artisti poiché sostenevano cose che a lui sembravano interessanti. Era tutto molto chiaro per lui, quasi consequenziale: faccio questo perché questo è quello che sento di fare. Non vi erano delle strategie meditate nel suo agire, piuttosto vi erano delle priorità, delle urgenze da esprimere.
Immagine in evidenza: Edmondo Bacci, Avvenimento #13R (Avvenimento plastico), 1953 – Museum of Modern Art, New York