È stata riaperta la casa-museo di Mariano Fortuny y Madrazo e della moglie Henriette Nigrin, musa ispiratrice e abile imprenditrice, che assieme al marito diede un’impronta indelebile a quel mondo fortuniano fatto di incantevoli tessuti stampati, abiti in plissé su seta e impalpabili scialli portati come sari indiani dalle più seducenti femmes fatales della Belle Epoque, facendole diventare icone di stile.
Figlio d’arte – il padre è Mariano Fortuny y Marsal, morto prematuramente –, è tra i giganti della pittura spagnola del secondo Ottocento, segue le orme paterne ma amplia gli orizzonti sperimentando in diverse direzioni, dall’incisone alla fotografia, dal teatro alla luminotecnica, dal design alla moda. Diciottenne, da Parigi sbarca a Venezia con un ricco bagaglio di raffinate letture e frequentazioni à la page. Con la madre e la sorella vive a Palazzo Martinengo sul Canal Grande, ma qualche anno dopo (1899) con la compagna Henriette preferirà spostarsi nel gotico Palazzo Pesaro degli Orfei, trasformandolo in un laboratorio di creatività oltre che in una dimora incantata.
Donato alla città dalla vedova nel 1956, dopo alterne e travagliate vicende, ultima la chiusura a seguito dell’Acqua Granda del 2019, il Palazzo viene riaperto al pubblico dopo alcuni lavori di manutenzione e con un rinnovato allestimento che porta la firma del maestro scenografo Pier Luigi Pizzi, entrando a far parte dell’offerta museale della Fondazione Musei Civici Veneziani.
Dal suggestivo fascino del Portego del primo piano nobile, rievocazione ‘quasi’ fedele dell’originale, il percorso si snoda in un’infilata di ambienti più intimi che approfondiscono temi pregnanti dell’identità fortuniana: dalla ricostruzione dell’atelier di pittura alla sala wagneriana, dalla pratica della copia degli antichi maestri al collezionismo, fino al coup de théatre della sala con Delphos e Peplos, tra le creazioni più esclusive della coppia che gli procurò fama internazionale di eccellenti couturier, ancora oggi imitatissimi.
Di grande suggestione è il “Giardino d’inverno” con un apparato pittorico che prende ispirazione dal mondo della pittura veneta della grande tradizione decorativa, contaminato da forti accenti simbolisti, realizzato con “Tempera Fortuny”, 46 tubetti di colore commercializzati e usati da molti artisti dell’epoca.
Il percorso continuerà da giugno anche al piano superiore con modalità di visita limitata a piccoli gruppi per apprezzare e approfondire gli aspetti più scientifici e sperimentali dell’arte: si potrà entrare nella biblioteca, lo scrigno dell’ispirazione di Mariano, o visionare nei grandi tavoli le tecniche della stampa su stoffa, dell’incisione, della fotografia, fino agli innovativi sistemi di illuminotecnica per il teatro con modellini e maquette che ripercorrono la storia del “Sistema Fortuny”, quell’illuminazione diffusa ma indiretta creata da una cupola riflettente dove venivano proiettati seducenti cieli in continua trasformazione atmosferica. Dunque, moltissimi materiali originali che per la prima volta vengono esposti, alcuni molto fragili, destando qualche timore e perplessità sulla loro prolungata esposizione.