Da qualche tempo, nei pressi del Teatro Goldoni si aggira un banditore a cavallo. Indossa un cappello a tricorno, ha le guance incipriate e il suo destriero poggia su due gambe sole. Di sera, lo si vede trottare verso i mari di gente che affollano le calli e, accanto ai passanti affranti dal caldo, pare quasi un miraggio mentre esclama a gran voce: «Entrate signori, allo spettacolo della città di Venezia!».
Così, nel viavai quotidiano, ha inizio il sogno di Titizè, opera con cui la compagnia Finzi Pasca rende omaggio alla città anadiomene (di dannunziana memoria) in occasione del lancio internazionale del Teatro Goldoni, il più antico tra i teatri moderni tutt’ora in attività, che dopo il recente restauro ha aperto i battenti a un’inedita stagione estiva.
Scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca in collaborazione con la Fondazione del Teatro Stabile del Veneto, lo spettacolo intende riflettere l’ondivaga e ineffabile natura della Laguna ricorrendo a un linguaggio universale, quello dei corpi in movimento di clown, ballerini e acrobati che, affrancati dal peso della parola, si librano sul palcoscenico dipingendo visioni di una Venezia sospesa tra incanto e realtà.
Accolto l’invito del bizzarro banditore, entriamo dunque in sala. Sul teatro aleggia una nebbia densa, rivoli d’acqua volteggiano dietro le quinte e suoni di onde e cicale riportano alla mente l’atmosfera delle placide notti lagunari. Al buio, quasi non si nota la piccola folla a cavallo che pian piano inonda la platea galoppando in direzione del palco, dove nel frattempo ha fatto capolino una chiassosa banda di Pulcinella. In mezzo al trambusto, un ragazzo in jeans si leva improvvisamente dal pubblico, corre verso il gruppo e si tuffa contro la struttura in metallo al centro della scena, esibendosi in mirabolanti acrobazie capaci di mozzare il fiato al teatro intero. Poi calano nuovamente le luci e un corteo di dame imparruccate fa il suo ingresso sulle stridenti note del violino, inscenando un valzer aereo che pare strappato dai soffitti del Tiepolo.
Da qui, sul palco si alternano personaggi grotteschi e creature fantastiche, sirene e marinai, fate e giocolieri, che vagando liberamente nello spazio e nel tempo accompagnano lo spettatore dai fumosi boudoir settecenteschi all’euforia del Carnevale fin sulle spiagge di Morte a Venezia, quando il Lido si chiamava ancora Isola d’Oro. Nessuna trama, nessuna struttura narrativa se non quella data dalle immagini delicate e oniriche costruite per libera associazione, arricchite dalle musiche emozionali composte da Maria Bonzanigo e dalle spettacolari scenografie marine di Hugo Gargiulo.
Nei panni di un moderno Morfeo, Finzi Pasca costruisce così un festante carosello, in cui quadri pittoreschi vorticano senza soluzione di continuità offrendo al pubblico locale e internazionale l’occasione di immergersi in prima persona nell’essenza di Venezia. D’altronde, proprio sul concetto di partecipazione fa leva il titolo Titizè, in veneziano, “tu sei”, che – citando l’autore – con la sua evocativa sonorità richiama l’attenzione sul potere del verbo essere, sottolineando l’universalità di un’esperienza immaginata per coinvolgere intimamente un pubblico eterogeneo e di ogni età.
Titizè non è dunque solo un omaggio alla Laguna, ma un promemoria di come l’arte possa trasformare il quotidiano in straordinario, ricordandoci che ogni luogo, come ogni vita, ha il suo momento di poesia da svelare. E proprio in una città afflitta dal fenomeno dell’overtourism, dove l’incanto rischia di svanire sotto il peso della folla incessante, questo spettacolo diviene un invito a riscoprire Venezia con uno sguardo più intimo e sensibile: non semplice sfondo di una foto, ma spazio vivo, da preservare nella sua essenza più autentica.