Lucia Ronchetti conclude il proprio mandato con una Biennale Musica a tappe irrinunciabili: ecco le 10 sezioni in cui si articola il viaggio sonoro in programma in città dal 26 settembre all’11 ottobre.
Quando si parla di musica assoluta, sciolta cioè da ogni legame con ogni altro elemento – voce, teatro, tecnologie multi-mediali – che ne possa limitare il potere di coinvolgere gli animi e di parlare ai cuori, è chiaro che, anche a distanza di secoli, continuiamo a parlare di musica sinfonica, ovvero dell’orchestra da una parte e di musica da camera dall’altra, in cui il ruolo del singolo strumento è sempre individuale. Musiche cioè che, prima di essere connotate dalla maggiore o minore abbondanza degli strumenti, lo erano soprattutto per il luogo in cui venivano eseguite. La camera, ad intendere le sale delle corti dei principi ove la musica si sviluppò fino agli inizi del 1600, e il teatro, che ne raccolse l’eredità. Ed a questi due luoghi dobbiamo aggiungere la chiesa per tutta la musica sacra. E qui giova ricordare una cosa ampiamente risaputa: il primo teatro pubblico al mondo fu costruito a Venezia nel 1637, il teatro di San Cassiano. Certo, era un teatro d’opera, genere allora imperante, ma va detto che a quei tempi il termine sinfonia era ai suoi primi utilizzi, molto diversi tra loro, e ci sarebbero voluti altri 50 anni per la codificazione del concerto grosso di Arcangelo Corelli, che della sinfonia è il progenitore. La sezione Polyphonies esplora cosa è diventata la musica sinfonica dal dopoguerra ad oggi: ci troviamo di fronte a composizioni che, pur avendo perso ogni legame storico con la struttura quadripartita della sinfonia classica, mantengono tuttavia una scrittura complessa e una sofisticazione della tecnica compositiva che non si discostano dai modi compositivi delle sinfonie di Beethoven e di Brahms. Ascoltiamo per esempio il Concerto per violino ed orchestra di Beat Furrer, pubblicato nel 2020: ritroviamo ancora quei dialoghi serrati tra strumento solista ed orchestra tipici della sinfonia dell’Ottocento, anche se ora l’orchestra è diventata uno sciame di suoni violenti e tutto è confuso rispetto alla ripartizione dei ruoli di un tempo. Ecco allora che, se ci possiamo permettere una sintesi un po’ grossier, quel rapporto che nel periodo classico era finalizzato al raggiungimento di un fine condiviso adesso è diventato conflitto, inesausta guerriglia.
Questa sezione esplora ciò che è diventata la musica per strumento solo in questi due decenni del terzo millennio. E il pianoforte non può che farla da padrone, proprio come dall’Ottocento in poi. George Benjamin, Alberto Posadas e Unsuk Chin sono tre musicisti nati intorno agli anni ’60 che hanno della musica e del pianoforte concezioni diverse tra loro. Benjamin è noto che fosse un grande pianista già nei suoi anni giovanili; quando scrisse Shadowlines aveva 19 anni ma egualmente era già arrivato a quella che sarebbe stata la sua matura cifra musicale: intrecciare tradizione ed avanguardia, rigore intellettuale ed emozioni espressive in una musica di fascino assoluto nel creare paesaggi sonori. Con Erinnerungsspuren (2018) Posadas, musicista spagnolo di grande spessore intellettuale e speculativo, tenta una rilettura del repertorio per piano solo in sei tracce che partono da Couperin, passano per Debussy, Schumann, Scelsi, per finire con Bernd Alois Zimmermann e Karlheinz Stockhausen. Unsuk Chin nei suoi Six Piano Etudes, composti tra il 1995 e il 2003, dimostra una straordinaria conoscenza del patrimonio pianistico del primo Novecento, un gusto sviluppato attraverso il controllo delle dissonanze ed un grande virtuosismo.
Per tutta la durata del festival, dalle 12 alle 18, sarà aperto nella Sala d’armi E dell’Arsenale uno spazio installativo per l’ascolto individuale con la diffusione del suono curata dal compositore e sound engineer francese Thierry Coduys. In questo spazio, concepito dalla light designer tedesca Theresa Baumgartner, saranno presentate opere di musica elettronica digitale ed acusmatica (la musica creata per essere ascoltata tramite altoparlanti) che si ispirano al concetto di “musica assoluta”. Tra le opere che si potranno ascoltare in questo antro digitale spiccano due assoluti capolavori di musica elettroacustica. Uno è De natura sonorum di Bernard Parmigiani del 1975: in poche opere come in questa il suono, generato da strumenti acustici o digitali, diventa un’entità superiore proteiforme, che trasmette infinite suggestioni espressive. L’altro è Bohor di Iannis Xenakis del 1962, in pratica un’esperienza di ascolto della durata di oltre 20 minuti in cui sembra di stare dentro una campana che viene continuamente colpita. Ovviamente non si tratta di esperienze sonore che aspirino ad una qualche comfort zone, tutt’altro: ma davvero possono portare in uno spazio altro, non solo sonoro, ma proprio anche interiore, perché quello che sembra essere l’espressione di un caos totale assolutamente dilettantesco e velleitario man mano diviene l’esito di una precisa e lucida creazione. È un po’ come vedere le opere di Donald Judd e reagire con un «Le so fare anch’io». No, non è per niente così. Tra le opere che verranno diffuse nello spazio ricordiamo anche The Hermetic Organ di John Zorn: si tratta di una delle tante manifestazioni sonore del folletto americano, improvvisazioni su di un organo a canne che partono da un disco del 2012 e che videro Zorn suonare l’anno scorso in un memorabile concerto i due organi frontapposti del Conservatorio Marcello di Venezia.
Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus (Ora bisogna bere, ora bisogna battere la terra con il piede libero): questi versi di Orazio potrebbero risultare perfetti per restituire il mood di questa sezione, dedicata alle composizioni che esplorano la natura fisica del suono, la sua origine dionisiaca e percussiva, la sua stretta contiguità con stati immersivi di violenza acustica. Da segnalare le due serate in cui verranno proposti due capolavori della musica della seconda metà del Novecento: quel monumento alla primordiale violenza percussiva che è Tutuguri di Wolfgang Rihm (di cui sarà presentato Kreuze, il quarto ed ultimo movimento del poema) e Le noir de l’étoile di Gérard Grisey per sei percussionisti, tape ed electronics, opera composta nel 1990 ed ispirata alla scoperta, vent’anni prima, di segnali radio provenienti dallo spazio e che allora fecero credere all’esistenza di civiltà extraterrestri. Mentre invece erano segnali emessi ogni 1,3 secondi dalle pulsar, le stelle di neutroni dalla massa comparabile a quella del Sole ma compressa in un raggio di pochi chilometri. La sezione prevede anche, la sera del 28 settembre al Teatro Piccolo Arsenale, l’esecuzione di Skull, composizione per ensemble del 2023 di Rebecca Saunders, Leone d’Oro quest’anno, opera che davvero toglie il respiro per la compattezza tensiva che riesce ad esprimere lungo tutto l’arco della sua durata (oltre 30 minuti).
La capacità del jazz di rinnovarsi, di trovare continuamente una rigenerazione, una capacità di adattarsi ai tempi e di essere un fattore di interpretazione e di sintesi degli stessi, ha dell’incredibile. Da questo punto di vista, rivela una vivacità e una predisposizione al cambio di pelle molto più del rock, che invece sembra destinato alla sopravvivenza silenziosa dopo che la cometa Radiohead cominciò la sua parabola discendente. Certo, alcune di queste resurrezioni sembrano debitrici più ad un mimetismo che riproduce un po’ pedissequamente i fasti del passato: ho in mente la musica epica ma di evidente matrice post-coltraniana di Kamasi Washington. Mentre il jazz più innovativo degli ultimi due decenni è quello che cerca di smussare il più possibile la cesura, classica del jazz, tra composizione ed improvvisazione, lavorando sulle sopraffine qualità tecniche dei musicisti e soprattutto sulla loro capacità di ascolto reciproco. Artisti come Vijay Iyer, Tyshawn Sorey, Makaya McCraven, Mary Halvorson, Joel Ross sono tutti musicisti accomunati da una comune visione del mondo: una grande libertà nell’attraversamento di generi diversi, una formidabile abilità nel controllo dello strumento, che però non è al servizio dell’esibizionismo di facciata, un interplay perfetto. E soprattutto una visione della struttura del pezzo in cui esposizione del tema e improvvisazione non sono momenti separati, ma vivono di un’intima connessione, di una serie di rimandi e di richiami, in un rapporto non di alterità ma di sviluppo biologico. Proprio questo jazz, in cui prassi compositiva e ricerca improvvisativa si confondono, si mescolano, si ibridano, sarà presente con Georg Vogel, Tyshawn Sorey, Peter Evans a Biennale Musica 2024.
Questa sezione mette insieme compositori viventi e non (è il caso di George Crumb e di Galina Ustvolskaya), di cui verranno presentate opere caratterizzate da un forte ricorso al contrappunto, da una complessità strutturale, da una fascinazione straniante in grado di far perdere all’ascoltatore il contatto con la realtà. In questa sezione incontriamo alcuni grandi nomi della musica contemporanea, sulla scena da parecchi decenni, come l’americano David Lang e il francese Tristan Murail, oltre a compositori affermatisi a livello internazionale in tempi più recenti, come Clara Iannotta e lo sloveno Vito Žuraj.
Il Padiglione 30 di Forte Marghera è il luogo deputato per i tre concerti di questa sezione, dove si avvicenderanno alcuni dei protagonisti dell’elettronica sperimentale. La prima serata vede i dj-set di Sam Barker, Tim Hecker, Cecilia Tosh. La seconda serata vedrà la partecipazione di una musicista danese, Sos Gunver Ryberg, la cui musica liminale occupa uno spazio variegato e multidisciplinare: dj-set, musiche per film e per videogames, arte installativa, teatro danza, performance. La terza serata presenta un lavoro composto dall’ungherese Zsolt Sores: Mut Naq Fo Mus (Ic) per viola pentafonica ed elettronica.
Da Biennale Musica ci arriva un messaggio inequivocabile: c’è una terra ove ancora la voce è utilizzata in musica come strumento di preghiera, di totale dissociazione dalla dimensione corporea per acquistare una radicalità di estatica purezza, di rarefazione spirituale. Questa terra è il Baltico, con il suo padre spirituale, l’estone Arvo Pärt, e le sue seguaci, la lituana Juste Janulyte e la lettone Santa Ratniece. Delle due serate della sezione Pure Voices, quella del 30 settembre al Teatro alle Tese è appunto dedicata a tre opere di questi musicisti: la Missa Syllabica di Pärt, Saline per coro (2011) della Ratniece e Radiance per coro e live electronics della Janulytè. La seconda serata della sezione conclude questa edizione di Biennale Musica il 10 ottobre in un luogo d’eccezione: la Basilica di San Marco ospiterà infatti lo Stabat contemporaneo di Lisa Streich e i due Stabat Mater di Giovanni Croce e Palestrina, un gioco continuo di rifrazioni e di rimandi tra antico e contemporaneo che è la chiave segreta per arrivare al cuore musicale di questa edizione della Biennale Musica.
La musica reservata, detta anche secreta, era uno stile musicale in voga in Italia e nella Germania meridionale e che va inteso in una duplice accezione. Innanzitutto come prassi esecutiva contraddistinta dall’utilizzo di progressioni cromatiche e di ornamentazioni estemporanee e da una forte aderenza tra testo musicale e testo poetico. In secondo luogo, la raffinatezza e l’audacia stilistica propria di questo stile lo portavano ad essere patrimonio ristretto di piccoli gruppi di intenditori, appartenenti alle corti nobili della seconda metà del ‘500. In questa sezione verranno presentati lavori di ricerca ambiziosa per uno strumento solo o per piccolo ensemble.
È la sezione teorica, delle domande e delle risposte, delle tavole rotonde, dello scambio di conoscenza, dell’interpretazione dei segreti della musica. Anche della divulgazione. La biblioteca ASAC ospiterà conferenze di alcuni dei musicisti coinvolti (David Lang, Georg Vogel, Tristan Murail, Golfam Khayam), due incontri dello storico della musica Oreste Bossini rispettivamente con Marco Momi e Luca Francesconi, vale a dire due generazioni di musicisti italiani, ed una conversazione con Salvatore Sciarrino. Ci saranno inoltre quattro tavole rotonde con studiosi e ricercatori internazionali, di cui segnaliamo quella sul silenzio e sulla musica liminale il 3 ottobre. Mentre per la parte divulgativa, anche quest’anno il musicologo Giovanni Bietti presenterà un ciclo di quattro Lezioni di musica, segnatamente sulla musica speculativa di Messiaen, Stravinsky, Machaut e Bach. Dalle Sale Apollinee della Fenice il grande divulgatore e colto musicista Luca Mosca darà vita a due letture al piano dell’Estro armonico di Vivaldi e delle Sonate op. 2 di Marcello.