Petr Vaclav porta in sala la storia di uno dei compositori più celebrei del ‘700, protagonista de Il boemo, pellicola appena vista al Trieste Film Festival e in programma a Venezia il 22 febbraio al Cinema Giorgione.
Trieste Film Festival, trentaquattresima edizione. L’inaugurazione del Concorso Lungometraggi avviene con Il boemo, anteprima italiana che vedremo al Giorgione di Venezia il prossimo 22 febbraio, selezionato dalla Repubblica Ceca agli Oscar 2023 e che la critica ha elogiato al suo apparire al 70° San Sebastian International Film Festival. Diciamolo subito, finalmente un vero film. Il regista Petr Vaclav, ironico, sorridente e caustico, aperto alla battuta con il pubblico, mi guarda apparentemente disorientato quando gli chiedo quale delle scene abbia amato di più. Mi racconta di tutti gli anni di ricerca per la costruzione del film, animato dall’intenzione «di raccontare la storia di un uomo che sentiva l’esigenza di vivere la vita a modo suo, di diventare qualcuno e auto realizzarsi. Ho cercato di inserire nel film le sue migliori arie, mostrando vari aspetti delle sue doti come compositore». La storia raccontata è infatti quella di Josef Myslivecek, per due decenni compositore tra i più acclamati nelle corti italiane del 1700, ma poi da allora totalmente dimenticato. Musiche quindi tutte filologicamente da ricostruire ed eseguite per il film a piena orchestra dal Collegium 104 di Praga. Primo merito: la colonna sonora è una vera e propria restituzione culturale.
Delle sue numerose opere solo Il Tamerlano e L’Antigona in versione ridotta sono state riprese a Praga in tempi non lontanissimi. Di più, le arie al tempo erano cantate da castrati e di gran moda erano i soprani di coloratura, ovvero capaci di eseguire una serie di ornamenti virtuosistici su una parola o una sillaba. Quindi difficili oggi. Secondo merito: Vaclav ha messo all’opera le star più virtuose del panorama internazionale, da Philipe Jarrousky, Raffaella Milanesi, Emöke Barath, Juan Sancho e la grande Simona Saturova, specializzata nella arie mozartiane, che presta la voce alla storico soprano Caterina Gabrielli. Terzo merito: la ricchezza delle location, da Venezia, Genova, Thiene, Palermo, dei chiostri, palazzi arredati, dei costumi e della scenografia, e qui i produttori mi confermano dolenti gli ingenti investimenti necessari. Un fatto curioso mi ha colpito: alcuni usi e costumi, talvolta stereotipi, di quel secolo vengono infatti fortemente evidenziati. Chi legge le cronache del tempo ad esempio riporta i lamenti degli spettatori di teatro non nobili in platea, che vedevano cadere rifiuti dai palchi nobiliari, o la carenza dei servizi igienici nelle regge o ancora la dissolutezza in alcuni ambienti aristocratici veneziani (Casanova insegna, senza scomodare De Sade) piuttosto che l’uso di teschi contro il malocchio a Napoli. Anche questi luoghi comuni sono nel film, ma insieme ad una più raffinata ricerca sul vestiario, sui giochi, sulla vita quotidiana del tempo. Ottima interpretazione dell’attore protagonista Vojtech Dyk, scelta non convenzionale, data la sua origine di cantante in gruppi jazz rock, bravissime fra gli altri Barbara Ronchi, Elena Radonicich e Lana Vladi.