Sulle scene italiane appena qualche mese fa con una rivisitazione de La Tempesta di Shakespeare, Peter Brook ne svelava livelli di lettura inediti attraverso un processo di sottrazione, per arrivare infine a ‘liberarla’ da interpretazioni ormai fossilizzate. Il mondo del teatro contemporaneo si è unito in un saluto corale alla notizia della sua scomparsa, avvenuta all’età di 97 anni.
[Articolo “Enigma Shakespeare”, tratto da Venezia News 260/261, Febbraio-Marzo 2022]
Considerata una sorta di consapevole addio alle scene di Shakespeare, La tempesta racchiude in sé, in un magnifico turbinio evocato fin dal titolo, tutto il mondo del genio di Stratford: la magia, l’amore, la colpa e l’espiazione, la lealtà e il tradimento, le forze contrastanti del bene e del male, le pulsioni umane e le loro dirompenti conseguenze nelle vite degli uomini, la potenza distruttiva e inarrestabile della natura e la condizione umana di tensione e impotenza di fronte a essa. Prospero, il legittimo Duca di Milano, e la figlia Miranda vivono da dodici anni esiliati su un’isola sperduta, abitata da Calibano e Ariel, che rappresentano due degli elementi primari della tradizione, la Terra e l’Aria. Aiutato dai due spiriti nativi, ridotti a servitori, Prospero userà i suoi poteri soprannaturali per scatenare una tempesta e far approdare sull’isola l’usurpatore Antonio e il giovane Ferdinando, figlio del re di Napoli. La vicenda si risolverà secondo l’ordine stabilito: il potere tornerà nelle mani del legittimo Duca e il giovane amore fra Miranda e Ferdinando placherà gli animi e i desideri di vendetta. Nonostante sia fra le opere più conosciute e maggiormente rappresentate del grande drammaturgo inglese, «La tempesta rimane un enigma». E se a dirlo è una persona che ‘frequenta’ Shakespeare da decenni, appare chiaro che questa sua nuova rivisitazione può svelare livelli di lettura inediti.
A 96 anni Peter Brook ritorna sulla storia del mago Prospero, alla quale aveva lavorato più volte in precedenza a partire dagli anni ‘50. Ad accompagnarlo nel progetto è la drammaturga e sceneggiatrice francese Marie-Hélène Estienne, sua collaboratrice storica. Oltre ad affiancarlo nelle attività dell’International Centre for Theatre Creation, fondato dallo stesso Brook nel 1970 negli spazi dello storico Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi, da oltre quarant’anni Estienne porta avanti con il regista inglese un’incessante analisi dei testi shakespeariani.
La nuova produzione, Tempest Project, introduce un lavoro di ‘riduzione’ con l’obiettivo dichiarato di sbrigliare la commedia (l’opera in realtà fa parte del gruppo delle storie d’amore, avventure e magia a lieto fine che la critica shakespeariana chiama romances) dai luoghi comuni, sottraendo lo spettatore dalla tentazione di relazionarsi a essa unicamente come a un’allegoria politica, a uno spettacolo sul colonialismo e sulla natura del potere e dell’autorità. Limitando il testo a una interpretazione univoca, dice Brook, «ci rifiutiamo di vedere che quello che porta all’ultima parola, free (libero), riguarda la libertà in tutte le sue dimensioni e in tutte le sue implicazioni». Per ‘liberare’ dunque La tempesta, il regista riduce la scenografia a pochi elementi (un drappo, delle panche, alcuni oggetti in legno), sottrae luce, aggiunge silenzio. Anche la scelta degli attori è funzionale allo scopo.
Prospero, figura centrale dell’opera, è interpretato da Ery Nzaramba, un attore formatosi nella tradizione del teatro inglese ma di origini africane. E questo perché, almeno secondo Brook, un attore occidentale avrebbe un approccio meno immediato al mondo nascosto e spirituale racchiuso nell’opera, rispetto a un attore nato in un ambiente dove le nozioni di invisibile, di magia e di stregoneria sono percepite in modo più reale e naturale. Tutti gli interpreti, inoltre, appartengono a nazionalità diverse e recitano in francese (lo spettacolo è sovratitolato). E proprio l’aver sostituito l’inglese, la cui musicalità in Shakespeare è di per sé espressione di significato, con una lingua così diversa e perciò, in questo contesto, fortemente estraniante, è forse l’innovazione più audace operata da Brook: una scelta che provoca una sorta di shock semantico, un azzeramento ricettivo che predispone lo spettatore ad accogliere nuovi significati.