Andando e venendo

Intervista a Anna Maria Maiolino, Leone d'Oro nella Biennale di Adriano Pedrosa
di Francesco Santaniello
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Emigrata dall’Italia al Sud America, prima in Venezuela e poi in Brasile, dove oggi vive, Maiolino incarna in molti modi lo spirito di Stranieri Ovunque -Foreigners Everywhere di Adraino Pedrosa. All’Arsenale (Corderie e Giardino delle Vergini), una sua nuova opera di grandi dimensioni, “Andando e venendo”,  che prosegue e sviluppa la serie delle sue sculture e installazioni in argilla.

Ci vuole una rivoluzione guidata dall’amore e dalla condivisione con gli altri. Ero molto felice del titolo della mia mostra al PAC di Milano, O amor se faz revolucionário, perché l’amore è rivoluzionario. Non c’è bisogno delle armi se rispetti e presti attenzione agli altri.

Stranieri Ovunque, ma ciò vuol dire anche che possiamo sentirci a casa ovunque? Identità dislocata e/o sdoppiata? Penso anche a una frase di Marguerite Yourcenar che nelle Memorie di Adriano fa dire all’imperatore: «Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi».
Certamente dobbiamo avere uno sguardo su noi stessi per comprenderci durante la nostra vita. La risposta a questa domanda è difficile perché l’identità è sempre mutevole, condizionata in gran parte dalla cultura in cui ci si trova a vivere e dall’età che si ha. Per una pre-adolescente di 12 anni – avevo quell’età quando lasciai l’Italia – è difficile elaborare tutto ciò che succede, considerare le situazioni, i passaggi e le diverse storie che accadono in una vita. E ora che ho 82 anni so che è necessario che passi del tempo, che si arrivi alla maturità per essere realmente consapevoli di se stessi. Forse è questo ciò che intende dire Adriano nelle Memorie riguardo al luogo natio. Questo è ciò che può accadere se si giunge da adulti in un luogo che non sia la terra natale. Poi magari posso dire che il mio continente è la mia arte; è qui che ho trovato rifugio ed è in essa che mi identifico.

I temi della memoria, delle radici e delle origini nei suoi lavori servono per sottolineare ciò che ci accomuna come esseri umani.  Come questi temi si sono evoluti nel corso del tempo e quali sono le sue principali fonti di ispirazione?
Mi sono lasciata guidare dai miei sentimenti e dalla ricchezza della mia memoria. La bellezza del mio passato a Scalea, i ricordi della mia terra, della mia infanzia, gli odori e i sapori: questi sentimenti e queste memorie sono all’origine delle mie opere, sono le basi e le motivazioni da cui parto. I miei lavori sono un connubio di soggettività e di intelletto. La memoria nei suoi differenti aspetti ha alimentato il mio lavoro e, come dicevo, l’arte è stata la mia casa, la mia patria, il mio continente.

anna maria maiolino 2024
Ph. MarcoZorzanello, courtesy La Biennale di Venezia

Ho letto in una sua intervista che cercava di star lontano dall’Italia, anche quando doveva allestire una mostra in Europa. Poi c’è stata la monografica al PAC di Milano, le opere al MAXXI di Roma e ora la Biennale. Ha perdonato questa “madre” che l’ha lasciata andare via? E in che modo la sua storia personale e il suo background brasiliano-italiano hanno influenzato la sua pratica artistica?
Non ho mai dovuto perdonare la terra dove sono nata. La vita è stata generosa con me e guarda dove sono arrivata, a ricevere il Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia! Ma i disagi che io e la mia famiglia, come tanti italiani, abbiamo dovuto affrontare come conseguenze della Seconda Guerra mondiale non li ho mai dimenticati. Così pure il fatto che la mia famiglia è stata costretta a emigrare. Chi sta bene nella propria terra non se ne va. Confrontarsi con altre culture e altre lingue comporta anche molti disagi; smarriamo la prima identità, quella che si è modellata nel luogo in cui siamo nati. Sono dovuti passare molti anni prima che potessi tornare in Italia. Non era una questione di volontà, più che altro non avevo abbastanza soldi per viaggiare. Sono tornata in Italia solo quando il mio lavoro mi ha portato in Europa. Ho sentito la necessità di rivedere Bari e Milano, due città importanti per la mia biografia. E poi, naturalmente, ho rivisto anche il paese dove sono nata. Nel 1945, a guerra finita, io avevo solo tre anni. Pur essendo piccolissima, negli anni del dopoguerra percepivo i conflitti che affliggevano i grandi e le difficoltà economiche della famiglia. In una certa maniera queste difficoltà hanno determinato le mie scelte e il mio destino perché mi hanno portato a non rimanere ferma a Scalea. Non ero una di quelle adolescenti che poteva andarsene qui e là a conoscere le bellezze dell’Italia. Abbiamo vissuto anche a Bari – una Bari più ‘di periferia’ rispetto a com’è oggi – dove frequentavo una scuola elementare in campagna. Non ho mai potuto veramente partecipare della vita culturale italiana. Sono molti gli aspetti dell’essere umano determinanti per lo svolgimento un’attività artistica. La parte soggettiva è un grande bagaglio dell’inconscio e sono sicura che nel mio caso ha contribuito a determinare certi aspetti della mia sensibilità e del mio modo di esprimermi attraverso l’arte. Dico sempre che sono “un’italiana sbagliata”. Atavicamente reagisco come una calabrese e sono orgogliosa di essere meridionale, ma, sì, sono un’italiana sbagliata. Credo che tutti coloro che sono emigrati a partire dal 1870, come mio nonno Biagio, che andò via a tredici anni dalla Calabria, avvertano questa sensazione di essere italiani sbagliati, non adeguati al tempo che si vive. Siamo fuori dal tempo.

Dico sempre che sono “un’italiana sbagliata”. Atavicamente reagisco come una calabrese e sono orgogliosa di essere meridionale, ma, sì, sono un’italiana sbagliata.

Spesso ci si sente inadeguati anche nel proprio Paese. Per quanto riguarda l’arte, ad esempio, qui in Italia si è trascurato il discorso etico dell’impegno civile…
Ci vuole una rivoluzione guidata dall’amore e dalla condivisione con gli altri. Ero molto felice del titolo della mia mostra al PAC di Milano, O amor se faz revolucionário, perché l’amore è rivoluzionario. Non c’è bisogno delle armi se rispetti e presti attenzione agli altri. Con i miei nipoti passo il tempo a sollecitare la loro attenzione verso il mondo e verso gli altri, invece loro che fanno? Sempre con il telefonino in mano… Se ci penso mi viene quasi da piangere. E poi mi dico “ma no, Anna, sei tu l’inadeguata, quella fuori dal tempo”. Non so se sono felice di essere fuori dal tempo. Ma la vita è stata generosa con me e mi ha fatto arrivare a quasi 82 anni. Perciò forse va bene così.

Arte minore e cultura popolare hanno sempre fatto parte della sua ricerca artistica, offrendole un’estrema libertà espressiva. Disegni, xilografie, dipinti, sculture, fotografie, video e installazioni hanno di fatto costruito un vocabolario creativo composito e articolato che dalla materia è arrivato alla forma e viceversa. Quale ricerca formale, quale evoluzione ha guidato la sua mano d’artista? Come definirebbe in sintesi il suo linguaggio?    
Questa domanda esige risposte concrete. Lascio ai critici e agli storici la definizione della mia arte e del mio linguaggio. È abbastanza complicato sintetizzare in una breve risposta sessantaquattro anni di lavoro e definire tutti gli ambiti in cui la mia ricerca si è sviluppata in sei decenni. La mia mano d’artista è stata guidata da una grande curiosità e da un’inesauribile voglia di sperimentare.

anna maria maiolino arsenale biennale arte 2024
Ph. MarcoZorzanello, courtesy La Biennale di Venezia

Corpo e mente, pensiero cerebrale e pensiero emozionale sono i punti attraverso cui sono passate la sua arte e la sua vita, punti che hanno trovato nella bocca e nell’atto del mangiare (antropofagia) gli strumenti per liberarsi dai propri demoni, per affrontarli, annientarli e ritrovare la propria libertà. Nel suo operato esiste la dicotomia vita-morte. Sembra evocare domande relative all’individuo e ai suoi limiti attraverso i materiali che usa. Quali sono i nuovi demoni del suo contemporaneo?
A quasi 82 anni mi trovo ad affrontare una profonda riflessione sul tempo. Vorrei davvero che la mia arte riuscisse a riflettere ciò che sono oggi. L’arte è stata la mia grande interlocutrice e in essa ho sempre trovato risposte sulla mia identità e sulle complesse questioni della vita, questioni che esigono delle risposte. Tuttavia, in questi tempi difficili e pieni di contraddizioni dubito che si possano trovare delle risposte a domande così individuali. Le guerre, la violenza, l’ascesa dell’estrema destra con la sua politica, la fame, le questioni legate all’immigrazione: eccoli i miei, i nostri demoni di oggi. Mi sono spesso ispirata al concetto antropofagico degli antichi indios brasiliani, che consiste nel vincere e nel mangiare il nemico. Da tempo assimilato dall’arte brasiliana, questo concetto ha anche influenzato alcuni dei miei lavori risalenti agli inizi degli anni ’70: poesie, scritti e performance che utilizzano paesaggi sonori e suoni preverbali. Per la mia installazione alla Biennale, Andando e venendo, ho preparato un testo in portoghese intitolato Uma estória. Non è una storia vera, ma piuttosto un racconto ispirato alle storie inventate che mio nonno mi raccontava. Di fronte alla casa del nonno a Scalea c’era la Torre Talao e sotto di essa le grotte dove gli ominidi vivevano circa 60.000 anni fa. Nonno Biagio inventava delle storie su questi antichi “parenti” (come li chiamava lui) e io ho inventato questa storia per riflettere sulle brutture del mondo. Tramite la poesia, l’arte offre una meravigliosa forma di resistenza alle tragedie.

Ho percepito che attraverso metafore potevo parlare del quotidiano e resistere all’imposizione egemonica della produzione maschile sostenuta dal mercato. Questa è stata un’Anna che credeva di doversi esprimere senza essere di parte, senza escludere l’altro.

Il suo lavoro non è esplicitamente femminile o femminista, ma la narrazione proviene chiaramente da una voce femminile. Affronta il quotidiano, il cibo, la memoria della matrice, del tattile, e la proliferazione della vita attraverso la ripetizione e la differenza. Sul supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore da qualche settimana si dà spazio ad alcuni artisti che esplorano tematiche quali il ruolo dell’artista oggi e l’impegno civile (che per molti non ha rappresentato una priorità). Personalmente, ritengo che le artiste abbiano sempre dimostrato maggiore coraggio dei loro colleghi nell’affrontare temi civili ed etici. Condivide questa riflessione?
Ho sempre lavorato da sola e le mie riflessioni riguardano ciò che mi circonda. Negli anni ‘60 il mio lavoro era legato al quotidiano femminile, perché percepivo una sorta di gerarchia maschile nella produzione. Non voglio ragionare per stereotipi, ma piuttosto paragono la mia esperienza a quella di un tassista napoletano che parla per metafore: in questo mi sento italiana, parlo metaforicamente. Ho percepito che attraverso metafore potevo parlare del quotidiano e resistere all’imposizione egemonica della produzione maschile sostenuta dal mercato. Questa è stata un’Anna che credeva di doversi esprimere senza essere di parte, senza escludere l’altro. È importante esprimere i sentimenti del proprio genere, che si connettono all’umanità perché i sentimenti sono uguali negli uomini e nelle donne, in tutti gli esseri umani in qualsiasi luogo. Per me è importante esprimermi come madre, come donna e anche come donna che svolge lavori quotidiani per la gestione della casa. Resistere alla pressione del mercato va oltre la mera vendita e riguarda le aspettative. Probabilmente il fatto che le donne siano state tenute lontane da qualsiasi impegno civile e trattate come minori nella storia (in Italia hanno avuto il diritto a votare solo nel 1946), le ha spinte a impegnarsi per ottenere il giusto riconoscimento e i meritati diritti. In Brasile ancora oggi sono loro a garantire il maggior sostegno alle famiglie. E bisogna avere molto coraggio per mettere al mondo una creatura. L’impegno civile delle donne è cresciuto con il lavoro fuori dalle mura domestiche. La società ha avuto bisogno del lavoro delle donne e così le donne si sono emancipate. Solo se esci dalle mura domestiche entri in contatto con questioni civili, problemi salariali e tutto il resto. Sì, è vero, le donne oggi stanno dimostrando grande coraggio nell’esprimersi, e questo è sempre più evidente.

 

Immagine in evidenza: Anna Maria Maiolino – Photo Maycon Lima

Anna Maria Maiolino premiata nella Biennale degli Stranieri Ovunque