Reincantare l’universo

Intervista a Gražina Subelytė, curatrice associata Collezione Peggy Guggenheim
di Federico Jonathan Cusin
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Peggy Guggenheim alla fine degli anni Trenta del Novecento è considerata una delle collezioniste più vivaci del Surrealismo. È in quegli anni che la mecenate acquisisce familiarità con il movimento divenendo presto intima amica di Ernst e Breton.

Dal 9 aprile fino al 26 settembre a Palazzo Venier dei Leoni oltre venti artisti e circa sessanta opere formano il corpus della mostra Surrealismo e magia. La modernità incantata, il cui cuore pulsante è costituito dal superbo patrimonio di opere surrealiste della Collezione Peggy Guggenheim: dalla pittura metafisica di Giorgio de Chirico, datata intorno al 1915, a dipinti iconici come La vestizione della sposa (1940) di Max Ernst e Gli amanti (1947) di Victor Brauner, al simbolismo occulto delle ultime opere di Leonora Carrington e Remedios Varo. A curare la mostra e a guidarci alla scoperta delle suggestioni alchemiche, magiche e occulte dei surrealisti, tema parallelamente indagato anche da Cecilia Alemani nel suo Il latte dei sogni per Biennale Arte 2022, è Gražina Subelytė. Di origine lituana, ha studiato in Germania conseguendo la laurea in Storia dell’arte moderna e contemporanea, oltre che in Scienze politiche. Dopo un master a Londra arriva alla Collezione Peggy Guggenheim per uno stage di due mesi nell’autunno del 2007. Da quel momento si dedica allo studio della Collezione, divenendo prima assistente del curatore e ora curatore associato.

Con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale torna negli Stati Uniti, aiutando il fondatore del movimento surrealista, André Breton, a fuggire dall’Europa con la famiglia, e così farà anche con Max Ernst

Peggy Guggenheim fu tra i primi collezionisti e promotori dell’arte surrealista. Dal punto di vista storico-artistico come nasce e come si sviluppa questa peculiare predilezione di Peggy e come si concilia con il parallelo interesse per l’arte astratta?
L’interesse di Peggy per il Surrealismo ha origine dal suo arrivo a Parigi all’inizio degli anni Venti del Novecento. Grazie al primo marito, l’artista dada Laurence Vail, conosce molti scrittori e pittori appartenenti a questo movimento, tra cui Marcel Duchamp. Lo stesso Duchamp la guida alla scoperta dell’arte moderna e le insegna la differenza tra quest’ultima e l’arte astratta. Sono due mondi che si compenetrano e dialogano tra loro; all’interno dell’arte surrealista possiamo trovare sfumature di astrattismo. Nel 1938 Peggy apre la galleria londinese Guggenheim Jeune e la sua prima mostra di arte surrealista è dedicata all’artista danese Rita Kernn-Larsen. Con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale torna negli Stati Uniti, aiutando il fondatore del movimento surrealista, André Breton, a fuggire dall’Europa con la famiglia, e così farà anche con Max Ernst. Come afferma nella sua autobiografia, quando era ancora in Europa all’inizio della guerra acquista praticamente un quadro al giorno, dando così un grande contributo al Surrealismo e ai suoi interpreti di poter sopravvivere durante il conflitto mondiale.

Nell’ottobre del 1942 Peggy apre la galleria-museo Art of This Century a New York. Qui espone la sua collezione permanente e organizza mostre temporanee dedicate a numerosi artisti, tra cui Wolfgang Paalen, di cui troviamo un’opera in mostra. È interessante notare che se la guerra aveva prodotto un tremendo senso di separazione, la galleria di Peggy, progettata dall’architetto Frederick Kiesler, creava un’unità sinestetica: nella sala surrealista in particolare la luce si accendeva e spegneva a intermittenza e a ciò si aggiungeva il suono dei treni che passavano; le opere erano inoltre esposte senza cornici. Un allestimento assolutamente magico. L’arrivo di Peggy a Venezia coincide con l’esposizione della sua Collezione in occasione della Biennale del 1948 e l’interesse per l’arte astratta e surrealista ritorna nella mostra all’interno del Padiglione greco. L’imparzialità verso queste due tendenze ha segnato la sua vita come collezionista e, ancora oggi, nelle sale del museo si mantiene viva.

Lina Bo Bardi

 

Il suo interesse per il Surrealismo ha radici lontane. Oltre alle mostre, anche già la tesi di dottorato che svolge al Courtauld Institute esplora il legame del movimento con la magia e l’occulto, in particolare per quel che concerne la produzione di Kurt Seligmann. Come si relazionano artisticamente questi mondi tra loro?
Il mio interesse per Kurt Seligmann, un esperto della magia, è legato alla Collezione di Peggy Guggenheim. Come curatrice ho speso molto tempo anche nel nostro deposito, dove si trova un disegno di Seligmann. L’‘incontro’ mi ha fortemente motivato ad approfondirne lo studio di un’opera che era poco nota ai più. Sono poi andata negli Stati Uniti per un altro progetto; ero vicina a New York, dove l’artista aveva il suo studio: un segno? Chissà… Seligmann fu il primo artista europeo a emigrare negli USA allo scoppio della guerra, nel settembre 1939. Parlava inglese e aiutò i suoi colleghi surrealisti a ottenere i documenti per entrare negli Stati Uniti. L’artista si era interessato alla magia sin da piccolo, leggendo i libri del medico-alchimista svizzero Paracelso e poi i testi di Emile Grillot de Givry. Lo studio di Seligmann in materia culmina in una ampia ed erudita monografia, oggi un classico dell’occulto, Lo specchio della magia. Storia della magia nel mondo occidentale, pubblicata nel 1948. Il ruolo della magia per Seligmann, e in generale per tutti i surrealisti, divenne essenziale allo scoppio delle ostilità. Loro credevano che il razionalismo non avesse portato niente se non sterminio e dolore; il progresso con la sua logica per così dire meccanica si era rivelato a loro avviso fallimentare. Il concetto di libertà spirituale diventa quindi elemento fondamentale nell’universo surrealista, un mondo in cui il concetto di limite non è in alcun modo contemplato: l’idea tradizionale di famiglia, l’istituzione ecclesiastica, le scelte socio-politiche non possono frenare la mente umana.
Probabilmente questa ricerca di libertà è anche uno dei motivi principali per cui molte donne aderirono al Surrealismo. I surrealisti volevano reincantare l’universo. Il loro obiettivo era cambiare il mondo e creare un nuovo uomo attraverso nuovi canali di scoperta dell’universo e delle sue dinamiche occulte. Attraverso l’arte desideravano affrontare le paure primordiali dell’umanità e superarle; un processo catartico che si realizza in uno stato di “surrealtà”, come lo definiva Breton all’interno del Manifesto surrealista (1924), che è in grado di oltrepassare le numerose opposizioni concettuali presenti nella nostra vita. Come disse Arturo Schwarz, la volontà del Surrealismo è di conoscere se stessi per poter cambiare la realtà che ci circonda. È una via di guarigione. Si tratta di una riflessione che trovo estremamente attuale in un periodo di guerra, pandemia, crisi ambientale e sociale.

Le surréalisme c’est chic? Come spiega il ritorno di interesse verso questo movimento che ultimamente caratterizza in modo sensibile su scala internazionale, sia come filosofia che come estetica, il mondo dell’arte contemporanea?
Quando a Remedios Varo fu chiesto se il Surrealismo fosse in declino lei rispose: «non credo che possa mai andare in declino nella sua essenza dato che è inerente all’umanità». È un movimento senza tempo; ne è dimostrazione eloquente questa Biennale curata da Cecilia Alemani, dove è messo in relazione con i linguaggi più contemporanei. Lo stesso Arturo Schwarz, nella sua Biennale del 1986, aveva trattato il rapporto tra arte e alchimia. Credo che il Surrealismo sia always in fashion non solo nello stretto dettato artistico, ma anche nella moda in quanto tale proprio. Maison come Dior o Schiaparelli, per esempio, hanno creativamente affrontato questo tema.

Max Ernst (1891–1976), La vestizione della sposa (La Toilette de la mariée), 1940

Quanta cultura classica, medievale, rinascimentale e femminista alberga all’interno di questo movimento cruciale del Novecento?
L’arte medievale e rinascimentale è molto importante per i surrealisti. André Breton nel 1957 pubblica L’art magique, in cui traccia le origini magiche dell’arte dall’antichità ai suoi tempi. È un movimento, il Surrealismo, che si ispira molto anche al Romanticismo e al Simbolismo, sia in qualità di corrente artistica che letteraria. Le poesie di un Charles Baudelaire influenzano non poco idee ed espressività di questa avanguardia. Rispetto all’emancipazione femminile, quindi all’attenzione per le istanze protofemministe, è importante tenere a mente sempre Breton con Arcano 17 del 1944. Il titolo si riferisce alla diciassettesima carta dei tarocchi, La Stella, che porta ottimismo e rinnovamento ed è associata a un senso di speranza e rinascita. Dal libro di Breton si evince come i surrealisti rifiutassero un modello di comportamento maschilista: «è giunta l’ora di far valere le idee della donna a scapito delle idee dell’uomo, di cui vediamo consumarsi oggi il tumultuoso fallimento». La donna è intesa, dunque, non come mera musa ispiratrice, bensì nel ruolo attivo di depositaria della possibilità di cambiare un mondo dilaniato dalla guerra. A così avanzati e alti propositi seguirono fatti poi. Per esempio come non ricordare l’aiuto concreto, partecipato che Max Ernst diede a colleghe come Leonor Fini e Leonora Carrington nella costruzione dei loro importanti percorsi, nella loro carriera? In molte opere le artiste surrealiste cercavano di rivendicare la loro identità negata dalla società, che è uno dei temi principali che esploreremo in questa esposizione, un progetto animato da donne emancipate, amazzoni forti ed esoteriche.

La donna è intesa, dunque, non come mera musa ispiratrice, bensì nel ruolo attivo di depositaria della possibilità di cambiare un mondo dilaniato dalla guerra.

Entriamo ora in mostra. Quali linee-guida ha seguito nella costruzione del percorso espositivo e come i visitatori saranno posti in relazione con gli artisti coinvolti?
Abbiamo lavorato a questa mostra intensamente per quattro anni, riuscendo ad ottenere prestiti da tutto il mondo. Surrealismo e magia. La modernità incantata si dispiega nelle tredici sale adibite alle esposizioni temporanee della Collezione Guggenheim per poi essere presentata anche al Museo Barberini di Potsdam, sotto la curatela di Daniel Zamani. La mostra procede seguendo un fil-rouge cronologico e le opere sono organizzate tematicamente, con alcuni focus su specifici artisti. Dalle opere di de Chirico, con il suo importante quadro Il cervello del bambino, alle Jeu de Marseille, i tarocchi creati dagli stessi surrealisti, continuando con il Goethe di André Masson. Si procede poi con temi come l’androginia, l’alchimia e i suoi tratti totemici, unità cosmica e analogie infinite, per poi affrontare la donna come essere magico, a cui sono dedicate tre sale della mostra. Qui ho voluto creare un confronto visivo tra opere surrealiste realizzate da donne e da uomini, evidenziando come la percezione della femminilità cambi a seconda dell’artista che le realizza. I focus della mostra sono dedicati a Leonora Carrington, Leonor Fini, Remedios Varo, Max Ernst e Kurt Seligmann. L’ultima sala tratta delle caratteristiche cosmiche, di una quarta dimensione che alberga nelle opere di Yves Tanguy, Kay Sage, Oscar Dominguez, Salvador Dalí, Roberto Matta e Wolfgang Paalen.

Quale Maestro e opera funge da fulcro e manifesto della mostra stessa?
Peggy rappresenta la mia prima ispirazione per questo progetto curatoriale. Alla sua Collezione appartiene La vestizione della sposa di Max Ernst, il quale dipinge la donna amata, Leonora Carrington, come una specie di strega, un’entità molto intensa e misteriosa. Ernst ebbe un’intensa e travagliata storia d’amore con la Carrington, interrotta a causa della guerra; successivamente sposò Peggy Guggenheim, che era a conoscenza del forte legame rimasto tra i due. Per la prima volta in una mostra mettiamo a confronto quest’opera con il ritratto che Carrington fa di Ernst. I surrealisti, mentre attendevano di lasciare l’Europa alla volta degli Stati Uniti, rifugiatisi a Marsiglia, organizzavano delle aste domenicali nella Villa Air-Bel: i due dipinti sono stati fotografati lì assieme. Dopo essere stati separati per circa ottant’anni, si ritrovano nuovamente a dialogare qui, in questa nostra mostra.

Cosa intende quando definisce il Surrealismo “una vera filosofia di vita”?
Il Surrealismo è una specie di rivoluzione, un ribellarsi pacificamente. È una filosofia di vita che sceglie di approcciarsi al mondo positivamente per rinnovarlo a partire dalla conoscenza di sé stessi. Credo che ognuno di noi possa trarvi ispirazione rispetto all’attualità che stiamo vivendo. Il Surrealismo è un eterno ritorno; le opere possono essere complesse a primo impatto, ma ci educano a decodificare la realtà, i nostri sentimenti e le nostre paure, come quando ci risvegliamo da un sogno.