Corpi collettivi

Jonathas De Andrade racconta il suo Brasile
di Mariachiara Marzari
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Le sue installazioni, fotografie e video esplorano gli effetti delle dinamiche di potere e dei conflitti sociali del suo Paese. A Venezia è protagonista al Padiglione Brasile ai Giardini e in Penumbra all’Ospedaletto CON/Temporaneo.

Jonathas De Andrade (1982, Maceió, stato di Alagoas, Brasile) vive e lavora a Recife in Brasile. Le sue installazioni, fotografie e video esplorano gli effetti delle dinamiche di potere e dei conflitti sociali del Brasile, l’evoluzione dell’umanità e l’etica con l’obiettivo di comunicare le conseguenze del colonialismo, della storia della schiavitù, della cultura modernista, fattori che hanno profondamente cambiato la società brasiliana a causa di nefaste decisioni politiche prese nel XX secolo. De Andrade è uno dei protagonisti indiscussi della Biennale Arte 2022, sia ai Giardini, come artista rappresentante del Padiglione Brasile – il suo progetto With the Heart Coming out of the Mouth, curato da Jacopo Crivelli Visconti, è un viaggio immersivo e simbolico nel corpo umano con metafore che oscillano tra nostalgia, erotismo e critica storico-politica –, che in città, nella mostra Penumbra al Complesso dell’Ospedaletto curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi e promossa da Fondazione In Between Art Film, con il video Boca Livre (Bocca libera, 2022), in cui l’artista si confronta con un gruppo di persone senza dimora riunite per un pranzo domenicale mentre si interrogano su quanto l’arte possa essere uno strumento politico di narrazione speculativa. Sorriso disarmante, simpatia contagiosa e grande consapevolezza, lo abbiamo incontrato e con grande generosità ci ha condotto per mano nel suo Brasile.

Parti anatomiche di un corpo a pezzi, parti ferite di un corpo brasiliano, letteralmente frammentato, ridotto al silenzio. Metafora di una Nazione lacerata quale appare il Brasile oggi, almeno per come viene raccontato dalla stampa internazionale. Come definirebbe lo stato di salute del suo Paese? Cos’è davvero oggi il Brasile?
Le parti di corpo umano che abbiamo usato nell’installazione al Padiglione Brasile ai Giardini rappresentano i frammenti del corpo collettivo che è stato oppresso – e compresso – dalla triste storia degli ultimi anni. Il Brasile ha affrontato sfide e minacce nel campo dei diritti umani: stiamo parlando di genocidio degli indigeni, di gravi mancanze nell’assistenza sanitaria, nell’educazione, nella cultura, nei diritti umani fondamentali, specialmente per quanto riguarda gli strati di popolazione più vulnerabili. Il progetto del Padiglione mostra quanto sia intraducibile esprimere quei sentimenti di imbarazzo e disperazione che descrivono il Brasile di oggi. La lingua è una potente metafora per mostrare come la collettività può essere lo strumento per creare nuove risposte, nuovi percorsi, narrative, politiche per reinventare la nostra storia.

La mia infanzia mi ha insegnato che l’artista che sarei diventato avrebbe combinato personaggi diversi per raccontare nuove storie…

L’orecchio riporta immediatamente all’idea dell’ascolto. Lei comunica con le sue opere il dissenso rispetto alla politica di Bolsonaro. Come l’arte oggi può favorire la critica alle politiche illiberali?
Sono successe molte cose mentre non stavamo ascoltando. Non è un caso che i visitatori del Padiglione siano invitati a entrare da un orecchio e uscire dall’altro. Troveranno anche un dito in putrefazione che preme un pulsante in una delle macchine per votare che si usano qui. Troveranno sculture, fotografie e video che commentano in modo sensoriale sulle metafore della politica e dell’atmosfera sociale del Brasile di oggi, sulle sue contraddizioni e le sue sfide. Voteremo a ottobre e sarà nostra possibilità e responsabilità cambiare il percorso su cui si trova oggi il Paese.

La ‘leggenda’ racconta che lei da bambino sia rimasto particolarmente colpito da una mostra sul corpo umano in cui letteralmente ci si introduceva in un viaggio al suo interno. Cos’è per lei la scoperta e quando ha capito che l’arte sarebbe stata l’oggetto del suo percorso di vita?
Avevo quattro anni quando ho visto Boneca Eva, una mostra di scienza per bambini che girava per il Brasile all’epoca. Si trattava di un modello femminile molto grande in cui si poteva entrare e vedere come funzionavano gli organi, come avveniva la gravidanza, e così via. Per me è stata un’esperienza molto coinvolgente che mi ha fatto capire come scienza e fantasia possano lavorare insieme per insegnare qualcosa. Il progetto per il Padiglione gioca con l’idea di una mostra di fantascienza: usa il corpo umano come metafora con cui possiamo capire altri linguaggi, altre discipline, siano essi linguistici, sociali, politici. La mia infanzia mi ha insegnato che l’artista che sarei diventato avrebbe combinato personaggi diversi per raccontare nuove storie, avrebbe giocato con il linguaggio, con i metodi, con le narrazioni, con storie vere e inventate, e avrebbe invitato le persone a contribuire con proprie idee e visioni a completare la fantasia, anzi, a decidere cosa fosse fantasia e cosa no, cercando di capire insieme quali ispirazioni o esortazioni si celassero dietro a questi messaggi, a queste storie.

Padiglione Brasile

Il Brasile è un paese dalle forti contraddizioni. Nel suo nuovo video Boca Livre, parte della mostra Penumbra, prodotta da Fondazione In Between Art Film e ospitata nel Complesso dell’Ospedaletto, si racconta la sofferenza del vivere in una condizione disagiata. Lei riesce a raccontare questo stato di precarietà evitando ogni forma di retorica del dolore, trasmettendo anzi un sentimento di empatia naturale e una semplicità disarmante, uno sguardo profondo ma non angosciato. Quali i punti cardine della sua arte espressa in questo video?
Il progetto video Olho da Rua è un’esperienza di sguardo. Abbiamo coinvolto nella produzione cento persone senzatetto della mia città. Negli ultimi anni la fame è cresciuta molto in Brasile, così come il numero dei senzatetto. Sentivo che era mia responsabilità dire qualcosa e coinvolgere nei miei progetti queste persone. Avvicinarsi a loro è stata un’esperienza importante. Il fare arte è stato solo un mezzo; quello che veramente volevo è che ognuno di noi imparasse qualcosa. Un’importante fonte di ispirazione per questo progetto è stato il Teatro degli oppressi di Augusto Boal. Secondo Boal le persone che rappresentano sé stesse a teatro o davanti alla telecamera possono rimescolare le loro storie e cambiare il modo in cui sono visti dalle altre persone e anche da sé medesimi. È per questo che, per come lo vedo, questo progetto parla della bellezza e della delicatezza del rispetto che ci vuole per rapportarsi agli altri, così che ognuno possa essere rispettato nella sua dignità e valorizzato per la propria identità grazie a un processo di condivisione collettiva della vita pubblica.

La carrellata di volti ripresa dalla sua telecamera in modo lineare e continuo, come un flusso ininterrotto di vissuto, sottolineata dalla ritmica della musica, crea una sequenza filmica incredibilmente potente e diretta. Le inquadrature sembrano singoli ritratti fotografici in movimento.
Alcuni progetti trovano la loro forza in forma di video, altri in forma di fotografia. Anche giocare con lo spazio è molto interessante. La scena che descrive ha un certo ritmo e una grande potenza: persone forti che ci guardano in una lenta sequenza. Per Olho da Rua penso sia chiaro che il teatro sia il modo ideale per organizzare e condividere lo spazio espositivo.

Boca Livre

Pur nella diversità, il Padiglione Brasile e il video di Penumbra sembrano strettamente connessi, come se volesse da un lato ‘sussurrare’ e dall’altro ‘gridare’ contro l’indifferenza e le false verità. Quale il legame tra i due progetti?
Mi piace l’idea che le due mostre si bilancino e creino, insieme, un messaggio forte sul Brasile di oggi. Il Padiglione lavora sulle metafore e sulle allegorie: lingua e corpo in forma onirica e ludica. Olho da Rua, invece, è più diretto. È un messaggio chiaro sulla politica brasiliana e sugli effetti deleteri che ha avuto negli ultimi anni. Olho da Rua comprende un atto in cui i partecipanti sono invitati a dire la loro davanti alla telecamera: liberi messaggi sul cibo, sulla mancanza di lavoro, sulle condizioni igieniche, sui problemi di genere, sesso, e messaggi diretti per Bolsonaro che vengono direttamente dal cuore delle persone, dalla strada.

La Natura è un elemento presente nei suoi lavori, soprattutto nel binomio Natura/Uomo; nei suoi video vi è una sorta di rispetto/timore reciproco tra uomo e animale. Quale ricerca informa questi progetti?
I rapporti conflittuali tra uomo e natura mi affascinano, specialmente considerando che noi, come società e come civiltà, ci vediamo come specie dominante in un delirio tale da dimenticare che siamo animali anche noi, siamo una specie naturale anche noi. Ci comportiamo come se fossimo separati, come se vivessimo in un altro piano, staccati dal mondo. Io uso l’arte per esplorare i limiti di questi conflitti. Il video O peixe e il film Nó na garganta (Nodo alla gola), che sono in mostra al Padiglione Brasile, sono assai eloquenti a riguardo. Come specie umana ancora non abbiamo trovato una soluzione decente alle contraddizioni implicite nell’esistere su questo Pianeta. Personalmente spero che l’arte possa aiutare a formulare delle risposte soggettive ed emotive a queste criticità nel corso di questo lungo, complesso viaggio che ci spetta compiere.

Immagine in evidenza: Ph. Emanuel da Costa

Karimah Ashadu, Jonathas de Andrade, Aziz Hazara, He Xiangyu, Masbedo, James Richards, Emilija Škarnulyte, Ana Vaz

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