In uscita nelle sale il 19 dicembre, il nuovo film di Ferzan Özpetek, Diamanti, ha un cast quasi tutto al femminile. Protagoniste due sorelle, proprietarie di una sartoria, interpretate da Jasmine Trinca e Luisa Ranieri.
Ci siamo ritrovate a luglio, in una Roma dal caldo indescrivibile, comunque felici di poter stare insieme. Abbiamo riso, parlato, ci siamo “incontrate”.
Un nuovo film, il quindicesimo, attesissimo come sempre, che racchiude il mondo, ma proprio tutto il suo mondo: stiamo parlando di Diamanti di Ferzan Özpetek, in uscita nelle sale il 19 dicembre. Un cast quasi esclusivamente al femminile, con tutto il cinema italiano più atteso, diciotto attrici pronte a dare vita a una storia corale deliziosamente ozpeteketiana: Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Giselda Volodi e Milena Vukotic. Ad affiancarle, ma con ruoli minori, Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Valerio Morigi, Edoardo Purgatori e Carmine Recano. Girato interamente a Roma, in un passato sospeso riconducibile agli anni Settanta, il film, racconta di un luogo affollato di sole donne, riempito dal rumore delle macchine da cucire e da stoffe, vestiti, modelli di carta, una sartoria cinematografica dove si intrecciano tante storie, passioni, legami, solitudini, ansie, insomma vite sfaccettate proprio come un diamante. Protagoniste due sorelle, proprietarie della sartoria, Jasmine Trinca e Luisa Ranieri. Realtà e finzione si mescolano, le attrici e i loro personaggi ci conquistano, la magia della sala buia quando lo schermo si illumina continua a rapirci e traghettarci nella vita degli altri, che in parte è un po’ anche la nostra. Luisa Ranieri, con una carriera in continua e costante ascesa, meritatamente acclamata dalla critica e dal pubblico, si mostra vera, sincera e con l’immancabile ironia napoletana. Una donna prima che un’attrice, e che attrice! L’abbiamo incontrata, discorrendo piacevolmente del film, ma più in generale del suo amore per il cinema.
Gli ultimi tuoi film sono stati un crescendo in verticale levare, da È stata la mano di Dio a Parthenope di Paolo Sorrentino fino a Modì, nel quale Johnny Depp ti ha voluta a tutti i costi. Ora sei protagonista del film in uscita per Natale di Ferzan Özpetek, Diamanti, e di molti altri progetti ancora, basti qui solo ricordare la sua adorabile Lolita Lo Bosco nella serie diretta da Luca Miniero. Qual è il tuo rapporto con il successo e quanto esso ha inciso e incide nel tuo percorso artistico?
In realtà… non lo so! Sono talmente immersa in questo meccanismo, in questa ruota che gira, da non riuscire a definire in maniera ferma e precisa il mio rapporto con la notorietà. Questo frullatore non permette di avere una percezione precisa del successo, ma credo che per me questo termine abbia un significato abbastanza relativo. Quello che conta davvero è l’incontro con le persone, la possibilità di lavorare con loro arricchendoci a vicenda, portare avanti uno scambio di esperienze, di vissuto nel quotidiano. Ecco, se proprio devo dare un senso a questa parola, successo, questo sta tutto nella possibilità crescente che mi regala di entrare in contatto con persone di qualità, artisti capaci di darmi sempre un qualcosa in più, di diverso rispetto al mio percorso. Crescere professionalmente e umanamente, ecco, questo è ciò che davvero conta anche quando la tua affermazione lievita di anno in anno. La popolarità credo ormai di avere imparato a gestirla, a prenderne bene le misure, a tenere da essa una sana distanza quando senti che è necessario. Non la considero un elemento che ha cambiato la mia vita, no. Sono gli incontri che uno fa a determinare la maturazione di un individuo, lo sviluppo del suo percorso, umano e professionale. Esperienze di vita e sul set che ti portano ad essere l’artista e la persona che sei. Credo che ogni personaggio che interpreti ti porti necessariamente ad una crescita: devi metterti nei panni di qualcuno che può essere distante da te, affrontare dei dolori che hanno caratterizzato la vita di quel personaggio, in un processo che sotto certi punti di vista ti costringe a maturare, a crescere in fretta. È un processo difficile ma stimolante, spesso eccitante, che rappresenta la ragione di fondo per cui amo questo mestiere.
È stato bellissimo vedere tante persone caratterizzate da energia positiva, adoranti verso Ferzan e capaci di stare davvero bene insieme. Non è una chimica che si verifica tanto spesso, non è un’alchimia facile da ottenere, sono davvero grata di essere stata parte di Diamanti.
Quale il tuo rapporto in particolare con i registi?
Da artista desidero mettermi a disposizione dell’artista. Faccio un passo indietro. Cerco di non imporre mai la mia personalità, diventerei un cliché vivente proponendo sempre e comunque “Luisa”. Voglio in primis ascoltare cosa vuole il regista, mettendomi a sua piena disposizione. Confermo anche qui l’importanza dell’incontro: ogni regista è diverso e ogni regista mi ha fatto crescere attraverso il proprio modo di affrontare ogni singola scena e ogni singolo personaggio. Rimanendo in ascolto e facendo un passo indietro si può solamente crescere come professionista e come artista, di questo rimango fortemente convinta.
Una scelta che non tutti gli attori sono però disposti a fare, anzi…
Sì, mi rendo conto di quanto sia difficile portare avanti questa convinzione nel nostro mestiere. Lo considero come un esercizio necessario, però. Voglio dimenticarmi di me e per farlo non mi riguardo mai al monitor, vedrei qualcosa che non assomiglia all’idea che ho di me. Rivedermi sullo schermo, nei panni di un altro essere umano, mi coglierebbe in contropiede. Anche per questo motivo sul set non chiedo mai uno specchio: nel momento in cui sto interpretando un’altra donna, voglio perdermi anima e corpo in quella figura lì. Magari qualche volta avrei dovuto chiederlo uno specchio però, sì, vedi quando mi hanno mandata in scena con il rossetto sbavato… Ma non mi importa, mi metto in gioco, non voglio in nessun modo che l’attrice possa soppiantare il personaggio. Voglio dimenticarmi di me sul set.
Impossibile però non rivedersi mai sullo schermo. Quando accade, quali sono le sensazioni che vivi?
Mi prende un colpo! Quando nel 2023 ho fatto Nuovo Olimpo, sempre con Ferzan, mi vedevo davvero come un mostro. Più andavo avanti con la costruzione del personaggio e più mi vedevo “lontana da me”. Però al contempo questa condizione la vivevo come una gratificazione del mio mestiere, era una dimensione che mi piaceva. Vedermi invecchiata sullo schermo è stato l’ennesimo viaggio: ho rivisto mia madre, ho rivisto mia nonna, ho rivissuto esperienze della mia vita osservandomi nei panni di una donna diversa da me.
Le attrici, o meglio le donne, sono le vere, assolute protagoniste di Diamanti, capaci nel loro corale insieme di restituire non solo una visione precisa del mondo di Ferzan, ma anche e soprattutto di restituire e consolidare un momento speciale del cinema italiano, dove appare schiacciante la forza espressiva, interpretativa delle figure femminili. Tu sei indubbiamente la protagonista di questa nuova stagione del nostro cinema. C’è una frase del trailer assai eloquente a riguardo che dice: «Sembra che non contiamo niente, ma tutte insieme…».
Se si tratterà di una nuova stagione lo scopriremo più avanti, credo. Ci vorrà del tempo per prendere le distanze dall’epoca in cui viviamo e definire in maniera precisa questo contesto storico e cinematografico. Lo considero un ottimo inizio, però, questo di sicuro lo posso dire. Ed era pure ora!
Raccontaci il tuo personaggio nel film di Özpetek.
In Diamanti sono Alberta, assieme alla sorella a capo della sartoria di costumi per il cinema, che è poi il centro della storia. Alberta è un po’ la trascinatrice di questo gruppo di donne, apparentemente dura, fredda e impenetrabile, ma che invece poi si scopre essere stata costretta ad indossare una corazza per meglio proteggersi e tirare avanti. Il rapporto con sua sorella, interpretata da Jasmine Trinca, è conflittuale, ma di grande amore.
Özpetek è maestro di questi lavori con cast numerosi, direi affollati. Come si sono sviluppati i rapporti in questo set corale?
Prendo in prestito le parole di un’amica fantastica come Geppi Cucciari, mia compagna di lavoro nel film. L’ha definita “un’esperienza antropologica meravigliosa”. Ci siamo ritrovate a luglio, in una Roma dal caldo indescrivibile, comunque felici di poter stare assieme in una stanza dove mangiavamo tutte riunite. Abbiamo riso, abbiamo parlato durante gli aperitivi, ci siamo “incontrate” ed è stato bellissimo. È stato bello vedere tante persone caratterizzate da energia positiva, adoranti verso Ferzan e capaci di stare davvero bene insieme. Non è una chimica che si verifica tanto spesso, non è un’alchimia facile da ottenere e di questo sono davvero grata a tutte loro e al regista che ha saputo garantire questo clima effervescente e disteso.
Sovvertendo per un attimo le tue regole e rivedendoti, credi che questa energia vissuta durante le riprese si rifletta appieno nel film?
Tantissimo secondo me. Credo che la scelta del cast si sia andata a formare anche guardando all’energia che ogni componente poteva portare in dote. Scelte che si sono rivelate a mio avviso azzeccatissime nel plasmare questa comunità di donne.
È l’unico posto, oltre a Napoli, in cui sento che potrei vivere. Roma ormai è la mia città, credo di averla assimilata totalmente.
Sullo sfondo del film il cinema, in questo caso il cinema in costume, un amore assoluto del regista. Quando è nato il tuo amore per il cinema?
Nasce ai tempi della scuola superiore, quando ho incontrato una professoressa di italiano particolarmente illuminata, Marosella Di Francia, moglie di un critico cinematografico, che ci proponeva dei cineforum che ci hanno fatto entrare in contatto con le bellezze del cinema dell’epoca e di quelle precedenti, istruendoci al cinema come solo una persona appassionata riesce a fare. Ricordo ancora un incontro con la scrittrice Anna Pavignano, che era appena stata agli Oscar con Il postino, di cui aveva curato la sceneggiatura assieme al regista Michael Radford, Troisi, Furio e Giacomo Scarpelli. Impossibile non subire il fascino del cinema, restituito dalla viva voce di suoi protagonisti che venivano nella nostra scuola invitati e che ci raccontavano i segreti di un mondo che ci illuminava gli occhi ed il cuore.
Altro elemento fondamentale dei film di Ferzan è sempre Roma, città che emerge anche tra le pieghe del racconto di Diamanti. Da napoletana, quale il rapporto con la Città Eterna?
Molto semplicemente la amo. È l’unico posto, oltre a Napoli, in cui sento che potrei vivere. Roma ormai è la mia città, credo di averla assimilata totalmente.