Sulla scena dal 1987, la compagnia australiana – a Venezia con lo spettacolo Food Court – si è negli anni affermata fra le più innovative del panorama internazionale, facendo della disabilità un potente strumento di indagine artistica. Abbiamo incontrato il direttore artistico Bruce Gladwin e l’attore Scott Price.
Che cosa è normale? La società dovrebbe guardarsi allo specchio e chiedersi: vale la pena fare questa domanda? Siamo tutti unici, ciascuno in modo diverso.
Da Geelong, centro vittoriano in Australia, i Back to Back Theatre arrivano per la prima volta in Italia a ricevere il Leone d’Oro alla Carriera della 52. Biennale Teatro. Sulla scena dal 1987, Back to Back Theatre si è negli anni andata ad affermare come una delle compagnie più innovative del panorama internazionale, facendo della disabilità un potente strumento di indagine artistica. Attraverso un significativo corpus di lavori che mettono in discussione i presupposti di ciò che è possibile fare in teatro, Back to Back «disintegra con ferocia poetica ogni pregiudizio, ogni stigma di compassione: se il corpo ha limiti espressivi, tali demarcazioni in scena diventano a loro volta grammatica differente – si legge nella motivazione di Stefano Ricci e Gianni Forte – […] dove la diversità è portatrice di amplificazione di conoscenza, di inclusione, per curare le deformità di consapevolezza di noi apparenti abili». A Venezia presentano il loro Food Court, un lavoro del 2008 sul bullismo in cui domina la straordinaria potenza visiva e l’estetica punk di Back to Back Theatre, eccezionalmente accompagnati dalla cult band australiana The Necks, che improvviserà una traccia sonora diversa per ogni performance. In attesa di vivere quella che viene definita una “near-death experience in una periferia delle meraviglie”, incontriamo il direttore artistico Bruce Gladwin e l’attore Scott Price.
Quali le ragioni che vi hanno spinto oltre trent’anni fa a scegliere il Teatro come palcoscenico privilegiato per raccontare le vostre storie coraggiose, sfacciate, inclusive, radicali e politicamente impegnate? Come i linguaggi della drammaturgia si sono evoluti in questi anni?
Bruce Gladwin_Scott, uno dei nostri attori, è con noi da diciassette anni e io sono direttore artistico da venticinque. Né io né lui siamo membri fondatori, ma entrambi teniamo fede alle priorità e agli obiettivi che sono sempre stati propri della compagnia. Con me come direttore artistico la compagnia ha consolidato la sua filosofia, il suo metodo e anche la capacità logistica di indagare, creare e produrre una grande varietà di lavori. Lavori che sfidano le aspettative del pubblico e la loro idea di quale tipo di persone possano fare teatro e quali no. Il linguaggio del nostro teatro dipende sempre e comunque da chi vi partecipa.
“Back to Back”, letteralmente “schiena contro schiena”: quale il significato assoluto che il collettivo ha voluto restituire con questo nome?
Scott Price_Il significato è il senso per il lavoro: alzarsi ogni mattina e produrre l’arte migliore possibile. Fare quello che ti piace. Questo è fare teatro.
Non ci sono limiti, ci siamo solo noi e il palcoscenico.
Ricci e Forte nella motivazione dell’assegnazione del Leone d’Oro affermano: «La loro è una parabola visionaria di comunicazione che disintegra con ferocia poetica ogni pregiudizio…». Quale la vostra definizione di normalità e di diversità?
SP_Che cosa è normale? La società dovrebbe guardarsi allo specchio e chiedersi: vale la pena fare questa domanda? Siamo tutti unici, ciascuno in modo diverso.
«Se il corpo ha limiti espressivi, tali demarcazioni in scena diventano a loro volta grammatica differente…» (Ricci/Forte). Questo percorso di ricerca, scoperta, elaborazione, superamento sembra essere diventato negli anni manifesto esistenziale del nostro contemporaneo. Quali elementi portanti del vostro teatro costituiscono una reale analisi della nostra società?
SP_Non ci sono limiti, ci siamo solo noi e il palcoscenico, nient’altro nel mezzo. Lavoriamo nel modo migliore possibile. Il nostro pubblico viene per svago – e lo ottiene – ma anche per sentirci dire che la società può fare schifo.
Nelle vostre opere, un ruolo importante riveste l’improvvisazione, che declinate sia a breve che a lungo termine. Quale processo creativo “unico” e personale sollecitate nei protagonisti? E come prende avvio un nuovo progetto?
SP_Scegliamo le idee migliori tra quelle che destano il nostro interesse; facciamo il tipo di teatro che noi stessi vorremmo andare a vedere come pubblico, oppure scegliamo i ruoli che più vogliamo interpretare.
BG_Cominciamo col raccogliere le idee, compiliamo una lista di idee che stimolano il nostro interesse o la nostra curiosità, studiamo, ne parliamo con gli esperti. La nostra curiosità ci spinge a cercare la connessione tra due cose che si pensava fossero molto diverse. Improvvisiamo e mettiamo assieme piccole performance. Tutto è documentato e messo a copione, poi miglioriamo le bozze e diamo forma alla storia e alla crescita dei personaggi.
Il Leone d’Oro della Biennale Teatro 2024 giunge a coronamento di un palmarès nazionale e internazionale di grandissimo rilievo (contiamo almeno 22 premi tra nazionali e internazionali). Quale significato assume per voi questo riconoscimento?
SP_Significa veramente molto, è un vero onore ricevere questo premio. Fino ad ora per me il Leone d’Oro era qualcosa che leggevo solo sul giornale.
BG_Non avevamo mai fatto tournée in Italia prima d’ora. Già il solo poter esibirsi alla Biennale è un’emozione incredibile, ma addirittura ricevere un premio davvero ci fa capire che il nostro lavoro è stato apprezzato e incluso, in qualche modo, in un canone.
Al Teatro Piccolo Arsenale il 28 e 29 giugno l’attesa è naturalmente grande per la prima nazionale di Food Court. Cosa vedremo in scena e quale sfida sarà per il pubblico?
SP_Il nostro lavoro si concentra sul tema del bullismo, che è un fenomeno universale e per alcuni di noi anche molto personale. Potere e Cura sono due temi essenziali del nostro lavoro.