Fabio, la nostra voce libera1

di Massimo Bran
trasparente960

Il 15 maggio ci ha improvvisamente lasciato Fabio Marzari. Un trauma per tutti noi e per la moltitudine di persone che hanno avuto il piacere e la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo, ma anche semplicemente di leggerlo nei suoi sempre coinvolgenti e brillanti pezzi che da anni hanno connotato le pagine più importanti del nostro magazine. Questo numero di Venezia News che avete tra le mani non avremmo mai voluto si aprisse così; ma così facendo, abbiamo pensato che non ci fosse modo migliore per avere Fabio ancora con noi. Sarà sempre con noi, mentalmente, spiritualmente, ma anche tangibilmente, su carta, qui. Sì. Questo lungo e appassionato ricordo che qui di seguito leggerete vuole essere tutt’altro che un ritratto agiografico di quella che è stata la nostra miglior penna, anzi. Vuole essere, o perlomeno vorrebbe essere, più semplicemente un saluto vivo e aperto, libero come straordinariamente libero era lui. Soprattutto, pur avendolo scritto io di getto, col cuore e la testa a dettare insieme le parole, vorrei che venisse letto come un saluto appassionato collettivo, perché so di interpretare ciò che tutti noi di Venezia News, nessuno escluso, sente, ha sentito e sentirà sempre per lui: un affetto sconfinato, una stima inestimabile. Siamo tutti abbracciati stretti in particolare a Mariachiara, sorella di Fabio, energia pulsante irrinunciabile di questa nostra intensa avventura editoriale e sua anima “gemella”.

Free as a bird
It’s the next best thing to be

John Lennon, Free as a Bird, 1977

Ogni mattina, ma poi pure di pomeriggio e la sera, quando chiudiamo e ci salutiamo, tutti qui in redazione ci pizzichiamo la guancia destra e pure quella sinistra ancora increduli, convinti di essere tutti in un set di un film distopico. Fiction crudele, ma fiction, sì. Qualcuno ci dica che non è vero, per favore. I nostri occhi smarriti questo imprecano da infiniti giorni, nient’altro. Da poco meno di un mese, ma sembra già una vita, ci ha lasciato il nostro indiscusso Ministro della Fantasia, il Signor F, sì, il nostro Fabio Marzari. Un’assenza, un vuoto semplicemente per noi incontemplabili.

Fabio (per nome e basta lo chiamerò qui, che altro?) era sinonimo di Libertà. Il suo attraversare i nostri giorni, i nostri spazi fisici e mentali, il nostro viaggiare aperto attraverso i mille linguaggi della cultura e del vivere conviviale raccontando, scrivendo storie di vita vissuta in divenire nel segno dell’alta qualità, ebbene sì, ha rappresentato la più strepitosa espressione di libertà che abbiamo avuto la fortuna di incontrare in questa appassionante, indipendente avventura editoriale.

Quando pensava, quando elaborava i contenuti, per poi trasformarli in parole, dette e scritte, raramente si costringeva in un canovaccio predefinito, con temi stretti e sanciti attorno ai quali poi dipanare il racconto, la testimonianza. No, il tema, per quanto naturalmente vivo in lui sin dall’inizio sottotraccia, andava formandosi e delineandosi compiutamente in libera progressione, espressione profonda di un lungo volo affabulatorio libero, talvolta apparentemente anche troppo. Ma anche quando eccedeva, mai alla fine avevi la sensazione di essere stato condotto in maniera disorganica fuori tema, per l’appunto. Se si fosse cimentato nel jazz, genere frequentato in verità da lui poco rispetto alla sua amata musica classica, in particolare la lirica come ben sanno gli amici della Fenice, sarebbe stato sicuramente un campione del free jazz. Sì, lui era davvero il nostro Ornette Coleman!

Mi sono chiesto quale potesse essere il primo aggettivo, la prima parola adeguata a definire l’essenza stringente per noi del suo esistere. Ne ho passate in rassegna decine e decine, quasi tutte restituenti in maniera congrua e aperta, spesso originale, questa sua essenza. Alla fine, però, ho “declinato” su una delle parole, delle qualifiche forse tra le più banali, percorse, prevedibili utilizzate nell’atto di ricordare una persona… speciale. Speciale, sì, semplicemente questo innanzitutto. Perché Fabio lo era davvero una persona Speciale, in tutto e per tutto. Già lo vedo, però, lì corrucciato a lanciarmi un’occhiataccia indispettita delle sue per averlo costretto in una gabbia di pura prevedibilità. Quindi mi smarco subito, ci mancherebbe! È facile del resto farlo, perché chiunque lo abbia conosciuto perlomeno abbastanza bene sa che il suo essere speciale stava tutto nella sua ingarbugliata, intrigante complessità. Fabio era come un sublime dolce multistrato (questa sì che gli piacerebbe, da amante e super esperto di dolci sopraffini quale era), una sorta di torta millefoglie i cui vari strati però erano costituiti da creme diverse, senza che ciò producesse un catastrofico pasticcio gustativo. Anzi! Non si sa come, già, eppure la teoria di infiniti contrasti e contraddizioni, di variegate sfaccettature che componevano la sua poliedrica personalità alla fine, dopo aver aspramente combattuto tra di essi/e, si componevano in una disposizione armonica semplicemente inarrivabile. Per semplificare, perché per restituire davvero i risvolti umani, culturali, professionali di quest’uomo per sempre ragazzo servirebbe almeno l’intero numero che avete tra le mani, la sua identità era caratterizzata da due poli per così dire opposti e insieme però complementari: quello che mi piace definire il suo Polo Sud, caratterizzato da una viscerale passione per la vita, da un fuoco incessantemente alimentato da una divorante curiosità, e il suo opposto, il Polo Nord, abitato dal suo inimitabile aplomb, espressione di una riservatezza inscalfibile, di un’eleganza misurata, tanto naturale quanto poi mirabilmente affinata negli anni, che erano insieme i suoi strumenti migliori per dissimulare quel fuoco che ardeva luminoso nel suo profondo sud, necessari per assecondare la sua costitutiva allergia all’espressione scomposta e inopportuna dei propri sentimenti, della propria interiorità. Una dialettica serrata quella che quotidianamente metteva in atto tra questi suoi due poli, tra i quali si dispiegavano circolarmente decine e decine di paralleli fatti di altrettante e più nuances.

Chi lo ha conosciuto e frequentato più assiduamente sul suo versante pubblico, in società come si diceva un tempo, ha avuto la fortuna di abitare più il suo Polo Nord, la sua parte più emersa e quindi nota, connotata da quella straordinaria classe, da quell’ironia sorniona, da quell’eleganza di gesti, sguardi, parole che conquistavano indistintamente chiunque gli si avvicinasse attratto dalla sua misuratissima originalità nel proporsi, nel vivere insieme agli altri frammenti di vita. Il suo essere a tutti gli effetti il ritratto contemporaneo, quindi calato in pieno nel nostro tempo, del gentiluomo di sopraffina cultura rinascimentale (davvero Baldassarre Castiglione deve averlo conosciuto nella sua vita precedente prima di regalarci quello straordinario capolavoro della letteratura mondiale che risponde al titolo de Il Cortegiano), oppure quello di un consumato Lord inglese tardo ottocentesco, era la ragione prima di quel profondo magnetismo che con apparente distacco emanava nei più svariati consessi in cui amava immergersi.

Fabio però, per chi invece ha avuto modo di frequentarlo nella sua quotidianità, per quanto ci riguarda professionalmente, anche se in lui il lato professionale e quello umano non erano mai separati da un confine nitidamente intellegibile, era molte altre cose: inquietudine, umoralità, incostanza, talvolta insofferenza… Un quadro di pulsioni, di disposizioni contrastanti che ha rappresentato il vero elemento arricchente della sua personalità. Sai che noia la perfezione bella edulcorata! Amava stare seduto al nostro fianco in redazione, confrontandosi con i suoi colleghi sempre su un terreno libero e aperto, con quell’arguzia di pensiero e di espressione che contraddistinguevano ogni suo singolo dire e dialogare. Però non era quello che in gergo si definisce un redattore “da macchina”, vale a dire colui il quale contribuisce con distribuita costanza a consolidare mattonella per mattonella le fondamenta dell’edificio editoriale di un giornale. No, lui di questo edificio era il massimo decoratore, ne disegnava le linee emerse, dava il tocco, la cifra qualitativa del nostro scrivere e comunicare. Utilizzando una metafora calcistica, anche se non era propriamente un grande appassionato di sport, lui era lì davanti il nostro fantasista, il nostro fuoriclasse degli ultimi 20 metri di campo. Il Leo Messi di Venezia News. Quando gli lanciavi la palla in avanti, quindi gli lasciavi penna libera (sempre!), eri sicuro che qualcosa di spiazzante ed imprevedibile sarebbe accaduto. Qualche volta poteva anche divorarsi un gol a porta vuota, ma nell’azione successiva eri ancora più certo che sarebbe stata magia.

Era di fatto il nostro inviato speciale per eccellenza. Un giornalista di altri tempi, come ce ne sono ormai di rarissimi, ahinoi, oggigiorno. Aveva bisogno di uscire in strada, di entrare nelle case, nelle esperienze di chi incontrava, aveva insomma bisogno di respirare a pieni polmoni la vita per meglio poterla restituire. Non riusciva in alcun modo ad indossare abiti predefiniti. Aveva questa urgenza vitale di reinventare e reinventarsi perennemente, perché al di là delle normali idiosincrasie che come ognuno di noi possedeva, uno solo era il suo grande, totale nemico: la Noia. Tanto amava l’otium, quanto detestava la noia. La combatteva con ogni arma, propria ed impropria (si fa per dire), assecondando tutte le disposizioni che era in grado di esprimere a riguardo, ivi compresa la sua talvolta irritante, ma alla fine dannatamente simpatica, fanciullesca predisposizione all’imprevedibilità. Un paio di esempi. Come si diceva poc’anzi, non era propriamente un redattore da macchina. Quindi alla fine evitavi di coinvolgerlo in questa direzione di lavoro. Però se lui percepiva che lo facevi convinto che non sarebbe stato in grado di assolvere a questo strutturale, fondamentale compito del nostro lavoro editoriale, prontamente ti calava giù, quando meno te lo aspettavi, un paio di giorni “da macchina” esemplari. Oppure quando gli affidavi degli articoli che sapevi che solo lui avrebbe potuto scrivere così brillantemente e i cui contenuti però non lo accendevano, lo annoiavano. Eccolo allora lì inscurirsi, allontanarsi, tirarla infinitamente per le lunghe, sinché alla fine, dopo forti sollecitazioni a chiudere in particolare da parte di Mariachiara, ti presentava il pezzo perfetto, dove però “artatamente” era capace di infilare una frase inopportuna, talvolta assai disturbante, che sapeva lui per primo che sarebbe stata cassata, ma che beffardo, per prendere a martellate la noia, lasciava lì per il puro gusto di provocare. E sai gli scontri titanici tra fratelli allora, eh eh…

Per lui, insomma, il lavoro era innanzitutto un gioco, ma maledettamente serio. Stare al suo fianco, mi si perdoni la seconda metafora sportiva, in questo caso ciclistica, era come correre quotidianamente un tappone dolomitico: salite al 15 % senza più fiato alternate a discese a rotta di collo di pura adrenalina. Talvolta era capace di condurti fuori tracciato, in strade non battute, dove smarrito venivi colto da un’improvvisa burrasca sguarnito di abbigliamento adeguato. Era quello il momento, allora, che dopo averti fatto andare fuori giri si toglieva la giacca per dartela, senza se e senza ma. Perché veniva prima di tutto il dare, il donarsi, che il proteggere sé stesso.

Una delle sue doti peculiari, che connotava in maniera pervasiva equivalentemente il suo essere soggetto privato e pubblico, il suo essere infine giornalista di razza, era quella capacità incredibile che possedeva nel far parlare al loro meglio le persone, i luoghi, gli oggetti, i manufatti artigianali così come le grandi opere d’arte che incrociava quotidianamente e con cui dialogava in modalità sempre proprie e nuove. Anche quando non era uno specialista in senso canonico di una materia, aveva quel dono di saper restituire mirabilmente il sapere e il sapore delle entità che attraversava. Eloquente a riguardo il tema del cibo, che per lui non significava parlare meramente di ottima cucina, bensì l’opportunità di far emergere il dato prima di tutto di alta e sana convivialità che un luogo e i suoi sapori sapevano regalare.

Chi lo conosceva bene sa che era ghiotto di pochissime cose, in primis di formaggi e dolci. Erano nettamente di più le pietanze che neppure sfiorava di quelle che invece degustava. Eppure sapeva restituire come nessuno lo stare a tavola peculiare di ogni singolo ristorante, fosse uno stellato così come un’ottima osteria. Era apprezzato e amatissimo anche dagli operatori di questo mondo, che davvero mai più riusciremo a raccontare con equivalente finezza.

Conosceva il mondo Fabio, gli dava naturalmente del tu pur prediligendo di norma il Lei (maiuscolo, sempre!!). Nel nostro lavoro abbiamo conosciuto e collaborato, e così sarà ancora e sempre, con decine e decine di professionisti della comunicazione, tra uffici stampa, addetti alle pubbliche relazioni, responsabili marketing. Bene, uno con le sue qualità innate nelle relazioni pubbliche davvero non l’ho però mai incontrato. Non poteva neanche considerarsi un canonico professionista di questo lavoro; lui era semplicemente un fuoriclasse di sommo dilettantismo, nel senso più alto di diletto, di piacere. In una parola, era il più grande Conversatore che io abbia mai conosciuto. Non finiva mai di sorprenderti. Eravamo continuamente basiti dalla disarmante capacità che possedeva di intessere relazioni in un lampo, che duravano poi per sempre, con una teoria infinita di figure apicali delle istituzioni culturali, a Venezia così come in tutta Italia e non solo, della politica, del mondo delle arti, tutte. Senza mai farsi connotare neanche da un’infinitesima traccia di arrampicante affettazione, figuriamoci. Il tutto nasceva e scorreva fluido, in rapporti sempre alla pari, che lui sapeva valorizzare e vivere al meglio con elegante semplicità. Un approccio al prossimo che era perfettamente equivalente sia che si trovasse al cospetto, che so, di un ministro tedesco o francese, sia che si trovasse a condividere del tempo con le persone più umili o con i più giovani. Non conosceva altro modo che essere misuratamente sé stesso con gli uni e con gli altri, senza distinzione alcuna. Dote davvero rarissima questa. Un dono ben innaffiato nel tempo dall’esperienza naturalmente, ma sempre assolutamente autentico.

Era infine, anche se potremmo non finire davvero mai, un vero talebano della Bellezza. La ricercava e la percorreva incessantemente, viveva per e con essa in tutte le sue espressioni, minute o grandiose che fossero. Da cui l’amore profondo per la sua città, Venezia, motivo di emozione e di stupore quotidiani che lui percorreva e reinventava in forme sempre nuove, perché amava tradizionalmente la bellezza sì, ma al contempo, detestando per l’appunto la noia, prediligeva percorrerla restituendo costantemente visioni di essa nuove, costruite da angolazioni visuali sempre altre.

È davvero bello, quindi, che ci abbia lasciato con la sua ultima intervista (anche se in questo stesso numero firma un’altra, bellissima intervista a ricci/forte, curatori della Biennale Teatro) nello scorso numero di aprile/maggio a uno dei massimi difensori dello straordinario patrimonio artistico ed architettonico italiano, quel Salvatore Settis con cui ha mirabilmente dialogato anche e soprattutto attorno alle condizioni presenti e in divenire della sua, della nostra città, che naturalmente Settis conosce benissimo. Una Venezia per lui motivo anche di sconforto e rabbia per come è capace anno dopo anno di buttarsi via in maniera imperdonabile. Eppure questa nota angosciosa in lui prendeva subito una piega costruttiva, spingendolo a cercare voci nuove, alcune vergini, altre comunque non così autoctone, convinto com’era che ci fosse bisogno quanto mai di assoldare, di coinvolgere nuove persone, nuovi professionisti provenienti da ogni dove per ridare qualità innanzitutto residenziale a questa città in cui, come amava amaramente dire, il cognome e il nome più diffusi nei campanelli delle abitazioni sono Locazione Turistica.

Lascia un vuoto a dir poco incolmabile Fabio qui, in questa casa di carta, ora anche digitale naturalmente, vicina ormai ai suoi trent’anni di vita, gli ultimi venti dei quali, o quasi, da lui accompagnati e segnati in maniera indelebile. Non posso che ripetere, e così sarà per sempre, la stessa, identica frase che ho scritto di petto il giorno stesso in cui ci ha lasciato e riportata in chiusura della nostra Newsletter di angoscioso commiato del 16 maggio scorso: «Venezia News da oggi non sarà più la stessa cosa di prima». Sarà ancora una voce intensa e vitale, eccome, glielo dobbiamo innanzitutto, e in molte direzioni presenti e nuove che percorreremo non potremo che ispirarci al suo approccio libero, indipendente, appassionato alla nostra amata cultura. Però in molte sue parti sarà qualcosa d’altro. Inevitabilmente.

Personalmente mi mancherà un mondo, ma mi mancheranno soprattutto le piccole, grandi cose quotidiane che condividevamo. Una su tutte: come riuscirò mai ora a fare senza i nostri dialoghi-confronto sui massimi sistemi globali, nazionali, veneziani, la nostra reciproca rassegna stampa in chiave editoriale, entrambi tra gli ultimi panda a saccheggiare quotidianamente le edicole, in un tempo in cui i giornali quasi non li comprano più nemmeno i giornali? E poi un ludico, simpatico rammarico, quella partita a Trivial che da vent’anni dovevamo fare e che però mai abbiamo fatto, perché ci piaceva, ancor più che farla per davvero, immaginarcela. Lui nozionista strepitoso, io solo decente, però smanioso di metterlo almeno in difficoltà.

Mi avrebbe stracciato naturalmente, però…

Per davvero concludere con cuori e teste ancora a brandelli, non posso che dire che ci sentiamo, in primis io, davvero in debito con lui. Sì perché, fuori da ogni retorica, sono lucidamente consapevole del fatto che lui abbia dato più di quanto gli sia stato restituito. Un rammarico che non smetterà mai di fare male. Però una cosa spero e penso che siamo stati in grado di dargli, almeno una: uno spazio di totale libertà in cui potersi esprimere con compiuta pienezza. E per lui credo che non fosse poca cosa questa, alfiere della Libertà quale era come nessuno.

Che la terra ti sia lieve, nostro Ministro della Fantasia. Ora ci rimettiamo al lavoro liberi, liberi, liberi, come degli uccelli in volo, sì. Quel volo in libertà che è sempre stato tuo e per sempre sarà.

P.S. Dal primo numero da noi direttamente editato di Venezia News nel lontano febbraio 1997, la sera prima di andare in stampa, reduce dalla visione di quel fantastico capolavoro documentaristico premio Oscar che è When We Were Kings sull’incontro boxistico del secolo a Kinshasa tra Alì e Foreman, decisi senza neanche pensarci un secondo che la nostra Guida Spirituale da riportare mensilmente in chiusura del colophon sarebbe stato da allora e per sempre “Il Più Grande”, Muhammad Alì. L’uomo che danzava come una farfalla e pungeva come un’ape, il più strepitoso interprete della Libertà nella storia dello sport, ma direi più estesamente nella storia del Novecento politico, sociale, mediatico. Bene, da oggi, e Alì se l’avesse conosciuto potete stare certi che avrebbe stappato la miglior bottiglia di champagne a portata di mano alla notizia di poter con lui condividere questo spazio, alla voce Guida Spirituale, anzi, Guide Spirituali, si aggiungerà un altro fuoriclasse della vita. Sì, lui, il nostro Ministro della Fantasia, e della Libertà naturalmente, Fabio Marzari.

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