Una buona abitudine sociale

Giorgio Ferrara: una visione internazionale per il Teatro Stabile Veneto
di Fabio Marzari
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A un anno dalla sua nomina a Direttore artistico del Teatro Stabile del Veneto, il maestro Giorgio Ferrara racconta la sua personale visione per un teatro internazionale dagli Scenari senza confini, come recita il titolo scelto per la sua prima stagione.

«Il mandato affidato al maestro Ferrara è la sintesi di un percorso che stiamo affrontando con determinazione e che ha l’obiettivo di riportare il Teatro Stabile del Veneto ad essere Teatro Nazionale e a dare valore artistico alla propria identità e alla propria produzione – questo il senso di un documento programmatico fatto proprio dal Consiglio di Amministrazione e che accompagna le nomine – Nel prossimo triennio dobbiamo esaltare alcune caratteristiche del nostro teatro a partire dal suo palcoscenico più internazionale che è e rimarrà il Goldoni di Venezia. Occorre poi concentrare la produzione artistica a Padova, proponendo Treviso come terzo polo musicale di una regione ricca di fermento culturale».
Queste brevi note sintetizzano al meglio il compito di Giorgio Ferrara, direttore del Teatro Stabile del Veneto dall’aprile 2021.
Giorgio Ferrara, romano, nato nel 1947 in una famiglia di quelle che un tempo si definivano “aristocrazia rossa”, quel gruppo di famiglie importanti che hanno contribuito in modo significativo e inequivocabile alla crescita civile e culturale del Paese. In un’intervista di qualche anno fa al «Corriere della Sera» così spiegò il senso dell’appartenere alla cerchia dell’intellighenzia comunista: «Essere educati in una maniera speciale, aperta, libera. Aver avuto nel salotto intelligenze come Togliatti, Giorgio Amendola, Mario Alicata, Enrico Berlinguer, Giorgio Napolitano».
Regista teatrale soprattutto, attore in scena con la moglie Adriana Asti, diretto da registi del calibro di Ronconi, ma anche direttore di grande successo per la ricchissima e assai colta programmazione proposta dall’Istituto Italiano di Cultura a Parigi e per tredici anni del Festival di Spoleto, che ha risanato economicamente e riportato all’eccellenza tra i players nella cultura mondiale. Da un anno ha accettato di ridare slancio al Teatro Stabile del Veneto, che con i teatri di Venezia, Padova e Treviso occupa un posto di rilievo nel panorama della cultura, non solo regionale.

Spettri Rimas Tuminas Ibsen

Il mondo della cultura e dello spettacolo a causa della pandemia sta ancora attraversando un periodo di forte difficoltà, pur impegnato a cercare di riacquistare una nuova normalità. Quali segnali ha potuto cogliere a riguardo qui in Veneto, dall’osservatorio di tre città importanti ma molto diverse tra loro come Venezia, Padova, Treviso?
Non posso dire di aver notato molte differenze tra Padova e Treviso; in entrambe le città i teatri godono di buona salute e hanno un loro affezionato pubblico, che non manca mai di essere presente agli appuntamenti proposti. Treviso ha in più un cartellone di lirica abbastanza nutrito e il pubblico dimostra sempre un grande interesse anche su questo terreno. Ciò che ho notato e che mi ha rassicurato nella composizione della stagione – questa la considero mia per metà, sarà la prossima del 2023 la mia prima vera stagione, dal momento che quest’anno accordi precedenti al mio insediamento e che andavano rispettati hanno condizionato il cartellone – è la possibilità di avere a disposizione a Venezia una grande vetrina internazionale in cui è possibile focalizzare l’attenzione sul lavoro di regia. Scelgo i registi ancor prima degli spettacoli, sono loro i veri creatori del nostro mestiere, senza il loro apporto fondamentale non si andrebbe da nessuna parte. Poi ovviamente vengono gli attori, alcuni bravissimi, autentici fuoriclasse, altri sempre talentuosi, forse più manieristi o con minore esperienza, anche per un fatto anagrafico. Combinando tutti questi elementi ecco fiorire figure quali Bob Wilson, Emma Dante, Pier Luigi Pizzi, Rimas Tuminas, Peter Brook.
Trattandosi di spettacoli internazionali con date ristrette non tutti sono potuti andare a Padova e Treviso. Mi ha confortato, in un periodo ancora così difficile, avere un grande successo di pubblico al Goldoni per quegli spettacoli. È un risultato molto interessante, che dice che si è ricreata una nuova attenzione nei confronti di questo teatro. Vedo gente che ritorna, vedo molti giovani, vedo molti personaggi importanti di Venezia, delle università e delle diverse istituzioni veneziane, è persino venuto il Sindaco ad applaudire Monica Bellucci!
L’obiettivo prioritario di questo mio mandato lo ho dichiarato al momento del mio insediamento: il Teatro Stabile del Veneto deve essere un unico contenitore con tre palcoscenici in tre diverse città. Per quanto possibile cercherò di portare anche a Padova e a Treviso le programmazioni di Venezia. Sicuramente porterò tutte le nostre produzioni, che devono girare in tutti e tre i teatri, così come auspico ci possa essere anche un flusso di pubblico ‘migrante’ tra i vari teatri, così da poter avere la possibilità di poter vedere degli spettacoli che per ragioni di calendario non possono passare in tutte e tre le città. È un compito difficile, ma comunque dobbiamo provarci.

Scelgo i registi ancor prima degli spettacoli, sono loro i veri creatori del nostro mestiere, senza il loro apporto fondamentale non si andrebbe da nessuna parte

Lei da subito ha posto il tema del teatro come terreno d’incontro tra esperienze e culture diverse, privilegiando produzioni originali e rafforzando il tratto internazionale delle proposte. Nella scelta degli spettacoli e nella risposta avuta finora è emerso che l’internazionalità rappresenta un motivo di richiamo anche per nuove fasce di pubblico. Quale la sua linea di sviluppo su questo terreno sovranazionale? E perché è importante tornare ad essere Teatro Nazionale?
Come detto le produzioni internazionali e le produzioni di un certo livello hanno da subito dato ottimi riscontri di pubblico e di gradimento. È solo l’avvio di un lungo percorso, molto altro abbiamo in programma per le stagioni a venire. È un terreno questo su cui bisogna volare alto, con idee chiare, con contenuti forti. Non possiamo in una città come questa non guardare al mondo, a ciò che succede oltre i nostri confini.
Per quanto concerne invece la classificazione ministeriale di Teatro Nazionale, è assolutamente fondamentale tornare ad esserlo. Penso convintamente che qui dove viviamo e operiamo, in una regione come il Veneto con un capoluogo come Venezia, avendo a disposizione un teatro storico tra i più belli d’Italia se non d’Europa, sia semplicemente una follia non essere Teatro Nazionale. Il Teatro Stabile del Veneto è una struttura aziendale importante con oltre 70 dipendenti, quasi come il Piccolo Teatro di Milano. Il nostro teatro deve quindi necessariamente tornare ad essere di interesse nazionale, semplicemente perché se lo merita. Per fare ciò bisogna compiere delle operazioni internazionali, di produzione vera. Abbiamo iniziato in tal senso producendo interamente quest’anno Turandot, Spettri e La Peste. Poi ci sono le coproduzioni, di cui ne abbiamo parecchie in atto. Grazie al lavoro costante ed efficace del presidente Giampiero Beltotto abbiamo chiuso un accordo di coproduzione anche con Bolzano e Trieste: un Teatro delle Tre Venezie come si sarebbe detto un tempo.
Oltre alle coproduzioni nazionali, l’altra strada importante da percorrere è quella delle coproduzioni internazionali. Abbiamo un accordo stabilito e certificato con uno dei teatri più chic e trendy di Parigi, il Théâtre des Bouffes du Nord, con il quale abbiamo coprodotto La Tempesta di Peter Brook. Un altro accordo di coproduzione avviato sempre a Parigi è quello con il Théâtre de La Ville.
In sintesi, voglio caratterizzare il mio lavoro coinvolgendo registi di assoluto valore, anche, ma non solo naturalmente, attraverso un incisivo lavoro di rivisitazione di grandi classici con nuovi adattamenti. Sono fermamente convinto che gli spettacoli da commissionare non debbano durare più di un’ora e quaranta. La soglia di attenzione oggi di uno spettatore medio, anziano, ma anche giovane, si posiziona in quell’arco temporale, non c’è più niente da fare.

Adattare la durata di uno spettacolo in base al mutato concetto di tempo non rappresenta una sconfitta per i puristi del teatro?
Non penso rappresenti una sconfitta, no. Comprimendo un po’ la durata degli spettacoli i testi, il messaggio, la recitazione stessa finiscono per catturare in maniera più diretta l’attenzione dello spettatore. Oggi non si può stare seduti a teatro più di un’ora e quaranta; siamo abituati ai tempi televisivi, serve quindi fornire una visione moderna, nuova dei grandi testi classici. I testi moderni pure vanno tagliati, non c’è più spazio per testi fluviali. Gli spettacoli in versione estesa devono trovare una loro sede ideale nei Festival, penso ad Avignone o al grande numero di spettacoli integrali andati in scena nei miei 13 anni di direzione del Festival di Spoleto. Non mi sono mai fermato neppure di fronte alle apparenti barriere linguistiche nei testi. Va superato del tutto il concetto che gli spettacoli debbano sempre e solo essere recitati in lingua italiana. Siamo a Venezia, centro del mondo, e poi c’è Padova, dove la cultura riveste un ruolo primario, e anche Treviso con la Marca, famosa nel mondo per i suoi vini e non solo.
Anche l’idea di fare iniziare gli spettacoli alle 19, come nel resto d’Europa, rende l’andare a teatro una delle parti integranti di una serata, che poi può continuare con una cena con amici. Un teatro, quindi, visto come una buona abitudine sociale, pensata e diretta quasi esclusivamente ai cittadini residenti o provenienti da zone limitrofe.

Solo nella sua prima stagione Scenari senza confini ha saputo comporre un cartellone con 13 produzioni e coproduzioni di cui 7 novità, con 6 debutti in prima nazionale. Quali altre sorprese ci attenderanno nei prossimi anni?
Avrò a disposizione più spettacoli da poter mettere in scena: 10 a Venezia, 10 a Padova e un po’ meno a Treviso, perché qui c’è anche una programmazione importante di opere liriche. La linea è quella di proporre produzioni dirette, coproduzioni, ospitalità nazionali e internazionali. Per quanto riguarda l’ospitalità sceglierò il meglio che c’è, non quello che costa meno, sempre rispettando i limiti di budget naturalmente, che comunque è di tutto rispetto. Spero di continuare così, cercando di impiegare il più possibile la nostra compagnia di giovani e i nostri allievi dell’Accademia, che affiderò, come già fatto con Pizzi, a grandi registi che permetteranno loro di vivere delle esperienze forti e formative in spettacoli di primissimo livello. E poi naturalmente ci saranno presenze di grandi attori italiani e stranieri, com’è stato con Monica Bellucci.

Quali sono i suoi autori teatrali preferiti?
La mia folgorazione è avvenuta facendo l’aiuto regista per Luca Ronconi con Orlando Furioso, che debuttò a Spoleto nel 1969. Quella fu la cosa che mi spinse a continuare su questa strada. Un testo meraviglioso, messo in scena mirabilmente grazie a quella regia e a quegli attori straordinari, in quella meravigliosa chiesa sconsacrata di Spoleto.  Un altro autore che considero davvero straordinario è Pirandello. E per alcune commedie, non tutte, Goldoni, per la sua modernità, la sua capacità di trattare la vita alta e bassa.