Benvenuti nella mia Casa

Irina Brook invita il pubblico a entrare nel suo universo personale
di Marisa Santin
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Nove stanze allestite con oggetti e arredi personali. Alla Casa dei Tre Oci Irina Brook apre le porte di House of Us al pubblico invitandolo a entrare in un sogno-metafora dedicato alla Madre.

Alla Casa dei Tre Oci Irina Brook apre le porte di House of Us al pubblico e lo accoglie nel suo mondo personale. Le nove stanze allestite per la performance sono piene di oggetti e arredi provenienti dalla sua vera casa. La regista e il gruppo di allievi dell’Accademia teatrale “Carlo Goldoni” renderanno vivi gli spazi muovendosi come ombre di un sogno. Il pubblico è invitato a entrare per leggere le pagine di un diario intimo fatto di luci, suoni e oggetti, e per esplorare questa casa-metafora dedicata alla figura della madre, l’attrice inglese Natasha Parry, morta nel 2015 dopo aver vissuto gran parte della sua vita professionale all’ombra del marito, il grande drammaturgo Peter Brook, padre di Irina. La performance a Venezia, prodotta dal Teatro Stabile del Veneto, è la terza rappresentazione del progetto, dopo un primo nucleo che avevo preso la forma di un’esposizione allestita presso una galleria di Hastings in Inghilterra, dove la regista vive, e dopo una versione andata in scena nel settembre del 2021 a Palermo per il Teatro Biondo.

In concomitanza con la rappresentazione veneziana, alcune opere di Irina Brook ispirate alle ombre, uno dei temi centrali di House of Us, saranno inoltre esposte nell’Event Pavilion di TFondaco dei Tedeschi. L’abbiamo incontrata ai Tre Oci durante le prove, a pochi giorni dalla prima.

Sono necessarie forme nuove. Nuove forme sono necessarie e, se queste mancano, allora è meglio che niente sia necessario. (Konstantin ne Il gabbiano di Anton Čechov)

 

Hastings, Palermo e Venezia. Quali le differenze e quali invece i punti in comune tra le diverse esperienze?
Sono molto grata al Teatro Biondo di Palermo e in particolare alla sua direttrice Pamela Villarese per avermi da subito dimostrato sostegno, amicizia e fiducia. Le riconosco un grande coraggio nell’aver accettato un progetto che ancora non era ben chiaro nemmeno a me, un progetto sperimentale molto lontano dai canoni del teatro tradizionale. Rispetto a quello veneziano, l’allestimento di Palazzo Sant’Elia a Palermo era molto più semplice e minimalista, per il solo motivo che ancora non disponevamo di abbastanza fondi. Un’altra differenza è nell’approccio con il pubblico, libero di muoversi senza molte indicazioni a Venezia, guidato lungo tutto il percorso a Palermo. L’emozione è stata fortissima: era la prima volta che parlavo pubblicamente di mia madre, un’esperienza molto intensa che ho affrontato cercando di rendermi invisibile, quasi assente. Ma anch’io sono una madre e ho capito che per essere davvero autentica non potevo più nascondere me stessa: accanto alla storia di mia madre dovevo raccontare anche la mia storia di madre, e insieme alla mia storia di madre avrei raccontato la storia di tutte le madri. Il nucleo originario di House of Us risale però ad un’esperienza precedente, ad una mostra realizzata negli spazi espositivi di Electro Studios di Hastings in Inghilterra, dove vivo. Anche in quel caso avevo trasferito oggetti e arredi personali per ricreare la mia casa, un lavoro immenso per tre soli giorni di esposizione. Un esperimento alquanto dispendioso in termini di energia. Sentivo inoltre che mancava qualcosa. Mancava il teatro, la narrazione condivisa con il pubblico. Ed è così che è nata l’idea della performance.

In certi momenti, di notte, mi sembra di avere l’intero processo sotto controllo, mi sembra di poter dirigere molto lucidamente gli spazi, le luci, i suoni, gli spostamenti. Ma in questa mia ricostruzione virtuale manca sempre un elemento: il pubblico.

Cosa succederà alla Casa dei Tre Oci?
Questo è un progetto in cui niente segue un piano preciso; niente di quello che succederà qui è stato pensato con troppa precisione. Un aspetto che non avevo previsto, ad esempio, è l’effetto che fa ‘sentire’ i suoni provenienti dalle diverse stanze mentre i ragazzi dell’Accademia “Carlo Goldoni”, che insieme a me stanno dando vita a House of Us, finiscono di allestire e provare: il rumore proveniente dalla camera dei bambini, che prende spunto dal mondo pieno di immaginazione e fantasia di Peter Pan, lo strimpellare di musica elettronica dalla stanza dei ragazzi, la voce di Geoffrey Carey, che rappresenta il teatro e la saggezza del mondo tradizionale… Come una madre nella sua casa, io mi muovo dalla cucina, la stanza della Madre per eccellenza, attraversando i diversi ambienti.

Geoffrey Carey, Irina Brook

 Nove stanze distribuite su due piani. Come si muoverà il pubblico durante la performance?
Non riesco ancora a immaginare cosa succederà con il pubblico. Allestire questi spazi è stato un lavoro molto complesso, come mettere insieme i pezzi di un enorme puzzle. Tutti gli arredi provengono dalla mia vera casa, il tavolo della cucina, le tazze, le fotografie, i giochi, i libri, i giornali… È stato come fare un vero trasloco in pochissimo tempo. Andavano inoltre ideati gli spazi espositivi e l’allestimento delle luci e dei suoni. Oltre a questo ho dovuto pensare a come ci muoveremo durante la performance. Non potendo essere in nove stanze contemporaneamente dovrò naturalmente capire come spostarmi insieme al pubblico e come far interagire gli spettatori con gli attori. In certi momenti, di notte, mi sembra di avere l’intero processo sotto controllo, mi sembra di poter dirigere molto lucidamente gli spazi, le luci, i suoni, gli spostamenti. Ma in questa mia ricostruzione virtuale manca sempre un elemento: il pubblico. Non so se ci saranno due o venti o trenta persone, tanto per cominciare. È un esercizio immaginativo folle. Posso ad esempio dire agli attori: quando entrano offri loro un prosecco, invitali ad accomodarsi, cose di questo genere, ma senza il pubblico vero è difficile immaginare lo step successivo. Cosa succederà dopo? Questo non vuol dire che tutto sarà improvvisato, tutt’altro. Ma è un po’ come nella vita vera: anche se prepari una festa nei minimi dettagli, non puoi comunque sapere come si comporteranno gli invitati. Sai solo di avercela messa tutta, di averci messo tutto il cuore e tutta la bellezza che potevi. Il resto non è prevedibile.

Può succede qualsiasi cosa perché è un teatro libero, molto lontano dalle formule tradizionali.

Pensa di fornire delle ‘istruzioni’ agli spettatori o potranno muoversi liberamente?
Non so ancora se saranno protagonisti o solo spettatori della performance. Può succede qualsiasi cosa perché è un teatro libero, molto lontano dalle formule tradizionali. Il mio approccio sperimentale non è però mai fine a sé stesso, ha sempre lo scopo di creare un momento di piacere e di interesse in chi partecipa. Tutto ciò che ho fatto in trent’anni di teatro, l’ho fatto per il pubblico e per gli attori. House of Us è un esperimento forse più coraggioso e imprevedibile dei miei precedenti, ma l’attitudine rimane la stessa. In questo caso credo che qualche piccola indicazione sia tuttavia necessaria. Ho pensato perciò di accogliere il pubblico all’arrivo per dare qualche informazione pratica sugli spazi, in modo che possano gestire al meglio il tempo a disposizione, senza soffermarsi troppo in una stanza correndo il rischio di non riuscire a percorrerle tutte. Durante la performance invece non parleremo molto con loro perché ciò che può veramente rendere questa esperienza magica è il trovarsi immersi in una situazione onirica. Come succede ai protagonisti de La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen quando oltrepassano il confine tra realtà e finzione, allo stesso modo il pubblico di House of Us incontrerà ombre e spiriti, entrerà nel sogno di qualcun altro.

Attraverso i molti oggetti presenti lei racconta la sua vita come in una sorta di biografia. Se dovesse sceglierne due in particolare quali sarebbero?
Direi innanzitutto il tavolo della cucina. Quando avevo 16 anni rimasi affascinata da una foto che ritraeva Čechov seduto ad un tavolo in una dacia insieme agli attori che avrebbero poi portato in scena la prima de Il gabbiano. Da allora per me il tavolo è diventato un simbolo di condivisione e di creatività. Il secondo oggetto è l’asciugatrice. Quando sono a casa passo il tempo a piegare i vestiti delle mie figlie. Piegare vestiti assomiglia alla vita, è un lavoro continuo. Appena pensi di aver finito e di aver piegato per bene tutti i vestiti, devi ricominciare da capo.

House of Us, Irina Brook - Kitchen's Table

Come è stato lavorare con gli studenti dell’Accademia?
House of Us parla del trascorrere del tempo, di rapporti tra generazioni, di famiglia. Gli studenti sono una parte fondamentale del progetto e tutto quello che faccio è per loro. Io stessa sono stata un’attrice nella prima parte della mia carriera, ma non mi rendeva felice. Ho trovato la mia vera strada solo con la regia. E proprio perché conosco quanto possa essere difficile e doloroso, cerco di far sì che per loro sia invece un’esperienza positiva. Abbiamo passato dei bellissimi momenti insieme proprio perché siamo usciti dal convenzionale: abbiamo fatto meditazione in cucina, abbiamo letto testi teatrali, spirituali e filosofici, abbiamo bevuto molte tazze di tè… Un po’ alla volta questa cucina è diventata la loro cucina, la loro casa.

È fondamentale oggi mettere in discussione il teatro classico. Chi fa teatro oggi non si interroga a sufficienza su questa questione, convinto che tutto rimarrà così com’è.

In un momento in cui i luoghi classici di rappresentazione teatrale attraversano un momento di forte crisi, la ricerca di nuovi linguaggi appare sempre più necessaria. Quale il teatro del futuro?
Riferendosi al teatro Konstantin, uno dei personaggi centrali de Il gabbiano (e figura fondamentale anche per la mia House of Us) dice: «Sono necessarie forme nuove. Nuove forme sono necessarie e, se queste mancano, allora è meglio che niente sia necessario». Credo che oggi sia fondamentale mettere in discussione il teatro classico. Chi fa teatro oggi non si interroga a sufficienza su questa questione, convinto che tutto rimarrà così com’è. Ma presto ci sarà un ricambio generazionale e bisogna capire come rendere attrattivo il teatro per il pubblico più giovane, abituato ai telefonini, alla velocità, all’accorciamento della capacità di attenzione. Vorranno ancora rimanere seduti due ore a guardare Molière? Non ne sono così convinta. Il teatro esisterà ancora tra cinquant’anni solo se saprà trasformarsi, diventare un’esperienza immersiva. Oppure, all’estremo opposto, può succedere che si torni a fare teatro in modo intimo, in piccole stanze senza scenografia come succedeva all’inizio del secolo scorso, in tempo di guerra.

Penso sia doveroso da parte di una donna glorificare la vita di un’altra donna. In fondo House of Us è un progetto femminista ed è nato proprio con questo intento.

Questa prima parte di House of Us è dedicata alla madre. Nelle sue intenzioni seguiranno House of Us – The Son, il figlio, e House of Us – The Daughter, la figlia. Manca il padre, ce ne vuole parlare?
Penso sia doveroso da parte di una donna glorificare la vita di un’altra donna. In fondo House of Us è un progetto femminista ed è nato proprio con questo intento. Mio padre era una persona straordinaria che mi dato moltissimo affettivamente e professionalmente. Mia madre è sempre vissuta nella sua ombra e, soprattutto dal momento che sono diventata madre anch’io, ho sentito di dover restituire qualcosa a lei, di premiarla in qualche modo per il suo straordinario lavoro di madre, che è in fondo lo straordinario, difficile, monumentale lavoro di tutte le madri. Non sto dicendo niente di nuovo, ma credo vada detto e ribadito.

Ai Tre Oci il progetto site-specific di Irina Brook per il Teatro Stabile Veneto