I segreti delle parole

A tu per tu con Anthony Delon
di Mariachiara Marzari, Katia Amoroso
trasparente960

Figlio dell’intramontabile icona del cinema Alain e dell’attrice Nathalie Delon, Anthony si racconta senza filtri nel suo libro Anthony Delon Dolce e crudele. La mia famiglia, la mia storia, un partecipato racconto di vita in tutti i sensi extra-ordinaria.

Il genere biopic ormai imperversa, ma al di là delle mode e delle storie più o meno avvincenti, ciò che colpisce, l’ingrediente che segna il tratto distintivo di questo genere nei suoi esiti migliori, è la sincerità con cui gli scrittori, protagonisti essi stessi del racconto, restituiscono il proprio vissuto. Esempio eloquente a riguardo il sorprendente e avvincente libro autobiografico scritto da Anthony Delon Dolce e crudele. La mia famiglia, la mia storia, titolo originale della versione in francese Entre chien et loup.
Figlio dell’intramontabile icona del cinema d’oltralpe Alain e dell’attrice Nathalie Delon, cresciuto da quando aveva quattro anni, a causa della separazione dei genitori, alternandosi tra papà e Mireille Darc, nuova compagna del grande attore fino agli anni Ottanta, e la madre, dedita però alla sua carriera di attrice, accudito dal padrino Georges Beaume, l’agente artistico che ha lanciato suo padre, e da Lolou, la tata franco-siculo-tedesca, Anthony si mostra a 58 anni senza reticenza alcuna, nelle pagine di questo suo personalissimo viaggio esistenziale, offrendo al lettore un partecipato racconto di vita, naturalmente in tutti i sensi extra-ordinaria, ribelle e pazza quanto basta, ma certamente non priva di sofferenze, abbandoni e perdite. Un velo di nostalgia ammanta i protagonisti, molti purtroppo non più in vita, ma nel vivere e nel continuare a vivere questo sentimento si trasforma in forza e consapevolezza. Il suo sguardo e le sue parole si sostengono in un teso equilibrio tra curiosità e compassione, delusione e accettazione, rabbia e perdono, costruendo un mosaico narrativo che sorprende e commuove. Un libro da leggere tutto d’un fiato.
Per saperne un po’ di più abbiamo incontrato il Nostro per questa libera, vitale intervista.

Quali le ragioni profonde che l’hanno indotta a scrivere questo libro?
Ho iniziato a scrivere perché era un momento della mia vita molto difficile. Eravamo con la mia famiglia in vacanza in Italia. Era agosto e mia madre era molto malata. Sapevo che le rimaneva solo qualche mese da vivere. Un anno prima mio padre aveva avuto un ictus. Il mio padrino era morto. La mia madrina pure. Mireille Darc, persona molto importante nella mia vita, era anche lei morta. Improvvisamente ho avuto paura; ho realizzato che tutte le persone che amavo mi stavano lasciando, soprattutto mia madre. Ho sentito quindi un forte bisogno di rendere omaggio a queste persone che sono state le mie guide esistenziali. Sentivo di dover incidere la nostra storia nel marmo. Quello che ha acceso la mia voglia di scrivere è stato proprio veder mia madre in procinto di morire e mio padre in una situazione difficile; non sapevo cosa sarebbe successo da lì a domani… Ho sentito un’incontenibile urgenza di dover lavorare sul ricordo. È stato un modo per me di ridare vita a chi se n’era andato e a chi volevo in qualche modo aggrapparmi.

Prima di entrare nella storia, quello che colpisce del libro è la scrittura fluida, quasi un fiume in piena che sgorga libero nelle pagine. Cosa le sta regalando la scrittura? Può avere delle proprietà terapeutiche?
Credo che la scrittura abbia in qualche misura una sua proprietà terapeutica, sì. L’ho scoperto scrivendo questo libro. Il fatto di trovarmi solo di fronte a una pagina bianca mi ha indotto a fissare con partecipazione autentica le mie storie; al contempo mi ha aiutato a guardarle da lontano, con un salutare distacco. Disposizione quest’ultima quantomai necessaria per restituire e analizzare al meglio con uno sguardo lucido quanto successo in una vita intera.

Perché ha scelto come titolo originale Entre chien et loup?
Entre chien et loup è un’espressione francese che un giorno mi disse il mio padrino. Eravamo in campagna e mentre stavamo guardando l’orizzonte mi sussurrò: «Guarda com’è bello, non sappiamo se è giorno o è già notte, ma sicuramente è un’ora magica». Non solo, ho scelto questo titolo anche perché ha multipli significati: il potere dominante dei lupi, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, il momento in cui gli uomini diventano potenti. C’è una forte valenza transitiva in questo titolo. Può anche essere il passaggio dall’amore all’odio: c’è un filo sottilissimo tra queste due emozioni, si può passare facilmente dall’una all’altra, come dal giorno alla notte.

Il tema principale del libro è l’abbandono e di conseguenza la sofferenza, il perdono, la resilienza e la ricostruzione, la consapevolezza e l’amore. L’amore è presente ovunque nel libro

Attraverso la storia di suo padre, Alain, e sua madre, Nathalie, e poi di Mireille Darc, si dipana la sua vita ed emerge la sua voglia di raccontarsi. Ci sono due temi ricorrenti: l’innocenza e la sua perdita. Quanto questi elementi sono stati determinanti nella creazione della sua identità di bambino prima e di uomo poi?
L’innocenza non si perde improvvisamente. E la si perde solo quando se ne diviene consapevoli. Il bambino subisce gli eventi, i genitori e tutto quello che gli succede attorno senza capire. E poi, un po’ alla volta, inizia ad analizzare le cose, a meglio comprenderle. Così il bambino inizia a non subire più ingenuamente gli accadimenti. Un po’ alla volta, progressivamente costruisce in senso più cognitivo ciò gli è stato dato di vivere, producendo le sue prime conclusioni: è proprio in questo preciso momento che probabilmente incomincia a crescere. E quindi a perdere l’innocenza. È molto complesso il tutto certo, non va così schematicamente il processo. Ma sinteticamente così si può concludere che maturino i percorsi di crescita. Nel libro parlo del bambino che abbiamo dentro noi stessi. In quanto artista credo sia molto importante dare voce all’innocenza di questo bambino. Ma questa è la creazione artistica, non è la vita. La perdita dell’innocenza in qualche modo ti costruisce, ti definisce come persona in tutta la sua contraddittoria complessità. Il tema principale del libro tuttavia è l’abbandono e di conseguenza la sofferenza, il perdono, la resilienza e la ricostruzione, la consapevolezza e l’amore. L’amore è presente ovunque nel libro.

Due persone che si amano possono davvero farsi del male?
Chi si ama con passione sì, può farsi del male. Quando due persone sono complementari e si amano con passione, l’amore si può trasformare in un sentimento più profondo, più altruista e generoso. Credo che quando si arrivi a questo livello non ci si possa fare del male. Ma quando c’è l’amore con passione e non si è complementari, anzi, ci si assomiglia, allora l’amore può diventare veramente doloroso. La passione esagera le paure, le debolezze, i traumi. Se si è sofferto di abbandono, allora si ha paura di essere abbandonati. Si risvegliano tutte le paure e tutti i dolori dell’infanzia. Si dice che la passione duri due anni; personalmente credo che possa durare più a lungo, ma in questo modo due persone possono distruggersi, amarsi alla follia e distruggersi nello stesso tempo.

Posso rimanere da solo molto tempo; non ho paura della solitudine, ho passato giornate intere a camminare nella foresta da solo

L’assenza e la solitudine come formazione, il fatto che le cose della vita si imparino stando soli. Com’è stato invece per lei?
Il sentimento dell’abbandono l’ho provato sia nei confronti di mio padre, che di mia madre, anzi, direi che l’ho sentito di più dal lato materno – quando si è piccoli si ha bisogno della mamma più di qualunque altra figura vicina a sé. Riguardo alla solitudine, che dire, siamo soli quando nasciamo e quando moriamo. Siamo sempre soli. Siamo soli di fronte alla gioia e ai dolori. Si può essere accompagnati, avere persone che ti supportano, amici e compagni che possono attenuare questa condizione. Tuttavia sono convinto di essere sempre stato solo davanti a me stesso. Ne parlo diffusamente nel libro; sono molti i momenti in cui ho sperimentato la solitudine, forse un po’ più di quanto succede correntemente. Ciò penso abbia contribuito alla costruzione della mia persona. Questa condizione esistenziale mi ha permesso di scrivere e di creare, perché mi ha indotto a vivere assai conchiuso nel mio mondo. Posso rimanere da solo molto tempo; non ho paura della solitudine, ho passato giornate intere a camminare nella foresta da solo. Credo che ci siano in ogni caso delle propensioni personali non solo date dalle circostanze del vissuto. Per esempio, mia mamma non era una persona solitaria, mentre invece mio padre e anche io abbiamo due nature solitarie. A mia madre faceva paura la solitudine; le ultime settimane della sua vita era preoccupata, mi diceva: «Non voglio che tu diventi troppo solitario, perché assomigli a tuo padre…». Le ho risposto di non preoccuparsi, perché sono un solitario ma, come lei, amo molto e penso che forse questa sarà la mia salvezza.

Diventato a sua volta lei padre, come si è modificato il suo ruolo di figlio verso suo padre?
Essere padre mi ha fatto crescere, mi ha davvero completato come persona. Una simile, straordinaria responsabilità mi ha cambiato e mi ha reso più tollerante. Tuttavia, allo stesso tempo, ho dovuto capire bene quello che stavo trasmettendo ai miei figli; si è trattato di un percorso lungo e difficile, frutto di un duro lavoro che ho fatto su me stesso, per non ripetere la mia storia a ruoli invertiti. Ho visto ancora più chiaramente cosa mi è mancato. Sicuramente mi ha fatto del bene.

Quali sono i ricordi più vividi della sua adolescenza che possono in qualche modo restituire e riassumere il rapporto con sua madre?
Io e mia mamma discutevamo molto. Lei discuteva un po’ con tutti, era una persona molto generosa ma con un carattere forte. Ci scontravamo ma ci perdonavamo. A volte passavamo giorni senza parlarci ma poi ritornava tutto come prima, perché l’amore era più forte di tutto. Ci parlavamo moltissimo. Per riassumere la relazione con mia madre userei tre parole, anzi, quattro: generosità, confronti-scontri, scambi e amore. Quando si è ammalata molti conflitti sono scemati, l’avvicinarsi alla morte l’ha cambiata. Anche lei era stata abbandonata dal padre e sua madre era morta molto giovane; dunque in lei c’erano dei traumi, per questo probabilmente cercava, o meglio, suscitava il conflitto. Negli ultimi momenti della sua esistenza la nostra relazione è stata più serena.

Sono convinto che le donne sono le eroine dei giorni nostri

Figure femminili di notevole rilevanza hanno recitato una parte fondamentale nel film della sua vita fin dalla sua prima infanzia. Che ruolo e che influenza effettivi hanno avuto nel suo percorso esistenziale?
Mia mamma, quando c’era, ha esercitato una presenza decisamente forte nei miei giorni. Poi, assieme a lei, sicuramente Lolou e Mireille. Ho dentro di me una parte femminile molto sviluppata, una sensibilità assai spiccata in questo senso. Sono cresciuto tra donne, riesco a comunicare più profondamente con loro, in modo più intenso. Le donne sono più intuitive e affascinanti; non mi riferisco qui alla seduzione fisica, ma all’essenza prima del loro essere femminile. Le donne hanno avuto, ed hanno ancora, un ruolo molto importante nella mia vita. Ho due figlie che vivono con me da sette anni. Mi sono occupato di loro da solo, quando la loro madre è partita per gli Stati Uniti. Erano piccole, ma nonostante le difficoltà ci sono riuscito e loro mi hanno reso un uomo migliore, mi hanno fatto capire alcune cose che non avevo mai ben compreso prima. E non è un caso, nulla succede per caso. Sono convinto che le donne sono le eroine dei giorni nostri.

Che effetto collaterale ha avuto su di lei il successo di questo libro?
Mi ha fatto molto bene. Averlo scritto da solo è stato un enorme piacere per me, ne vado davvero fiero. Ma ciò più mi ha fatto più bene, la parte del successo che più mi affascina e mi fortifica, sono state le persone. I temi del libro sono universali: l’abbandono, la famiglia, l’infanzia, la crescita, le ferite che ci impediscono di far vivere il bambino che è in noi, la ricerca dell’equilibrio nella propria vita. Nel libro racconto la mia storia. Tante persone, in ambienti diversi, dal cinema al quotidiano, dalle fiere agli incontri, mi hanno detto che il libro aveva dato loro delle chiavi di comprensione di alcuni lati meno chiari delle proprie vite, facendoli stare bene, insomma. Tutto questo è più forte del successo editoriale, perché mi infonde la consapevolezza di aver fatto qualcosa di buono, qualcosa di utile per me certamente, ma in qualche misura anche per gli altri, perlomeno per quelli che mi leggono. Quando vedi, quando cogli con pienezza questo attimo, questa sensazione, in quel preciso momento il libro ti supera, diventa più forte di te, perché parla alle persone aiutandole in qualche modo ad aprire gli occhi, dando loro almeno alcune risposte a molti dei quesiti irrisolti dell’esistenza in questo mondo complicato. Questo è davvero meraviglioso, un’emozione fortissima che mai potrò dimenticare.

I temi del libro sono universali: l’abbandono, la famiglia, l’infanzia, la crescita, le ferite che ci impediscono di far vivere il bambino che è in noi, la ricerca dell’equilibrio nella propria vita

Qual è il suo rapporto con il passato e con il trascorrere del tempo?
Ho un animo molto nostalgico, il che non è per forza di cose una disposizione deprimente. Sento il tempo che passa e me lo porto dietro, un po’ triste, un po’ nostalgico per l’appunto. Sento la nostalgia del tempo passato e delle persone eccezionali che ho conosciuto e incontrato nella vita e che ora non ci sono più. Rispetto invece al tempo che mi rimane…, beh, detesto perdere tempo. Più vado avanti e meno sono disposto a perdere tempo. Oggi se vado al cinema e dopo mezz’ora mi annoio, me ne vado. Non lo faccio in teatro per il rispetto degli attori. Non è impazienza; non ho semplicemente più voglia di annoiarmi. Il tempo passa veloce e non ne voglio perdere più molto, tutto qui. È così.

Il suo libro è di fatto una sceneggiatura, che abbiamo appreso diventerà una serie tv. Quale il suo apporto creativo a questo adattamento filmico?
All’inizio non avevo pensato a un libro, bensì proprio a un film o a una serie. Vedevo immagini non parole. I diritti cinematografici erano stati acquisiti infatti prima della pubblicazione del libro, che mi avevano comunque chiesto di scrivere. All’inizio avevo rifiutato, ma poi mi sono reso conto che sarebbe stato interessante scrivere un libro prima del suo sviluppo cinematografico; avrebbe potuto nutrire corposamente gli sceneggiatori aiutandoli a sviluppare meglio il progetto. Ora c’è il libro e io sarò un consulente della serie televisiva che verrà tratta da esso. Cercherò di contribuire al meglio ad alimentare il corpo narrativo del soggetto, ma non interverrò direttamente sulla sceneggiatura e sulla selezione del casting, questo no. La casa di produzione è Media One con Dominique Besnehard, il noto produttore della serie Call My Agent. La serie sarà in inglese.