Il coraggio di sognare

Intervista a ricci/forte alla vigilia della 52. Biennale Teatro
di Chiara Sciascia, Fabio Marzari
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Giunti al traguardo del loro mandato per la Biennale Teatro, Stefano Ricci e Gianni Forte presentano Niger et Albus, l’eterna danza tra il nero e il bianco con «una line-up di straordinari artisti poetico-visionari».

Il Festival sarà un invito a perdersi per ritrovarsi, a lasciarsi avviluppare dal buio per emergere alla luce…

Impareggiabile coppia artistica di autori-registi Stefano Ricci e Gianni Forte, o ricci/forte come si firmano dal 2005, si congedano dal loro ruolo di Direttori Artistici di Biennale Teatro al termine di un mandato quadriennale iniziato nel 2021, tradottosi un mirabolante percorso di scoperta che ci ha permesso di viaggiare tra svariati mondi, scandagliando territori fino ad allora ignoti attraverso la loro peculiarissima visione sempre dettata da una curiosità pulsante, vitale. Niger et Albus, questo il titolo della 52. Biennale Teatro, si presenta come «un’avventura senza uguali, rimanendo per gli spettatori uno spazio di desiderio, meraviglia, crocevia di dibattiti e confronti, irradiando risolutamente la vitalità della città di Venezia, e non solo». Dal 15 al 30 giugno, continuano i Direttori, «una line-up di straordinari artisti poetico-visionari si mobiliterà per risvegliare le coscienze e delineare i contorni di un futuro più desiderabile, squarciare universi inesplorati squassando il nostro orizzonte di routinaria attesa, stupendoci con performance indimenticabili, offrendo un biglietto di A/R per un altrove trasversale».

Siamo giunti al traguardo di questo vostro mandato. Ci avete guidato negli anni attraverso un prisma di colori e visioni poetiche, partendo dal Blue, che nel 2021 ci ha traghettato fuori dalla pandemia, passando nel 2022 per il Rot/Rosso, un teatro-terapia per orientare il paziente confuso nel riappropriarsi della propria storia, per poi immergerci nei toni brillanti di Emerald, che lo scorso anno è stata una vera e propria infusione di nuova speranza. Ci lasciate – almeno per il momento –  con Niger et Albus, “bianco e nero”: cosa si nasconde dietro a questo titolo? Quale sortilegio dobbiamo aspettarci per il 52. Festival di Teatro della Biennale?
NIGER et ALBUS, due parole che evocano l’eterna danza tra il Nero e il Bianco, due non colori, simboli di un dualismo ancestrale. La 52. edizione si avvolgerà in questo manto binario, invitando il pubblico a una ricognizione appassionata delle proprie realtà interiori. Lontani dall’iridescenza abbagliante dei colori che distraggono e sovrastano, il Nero e il Bianco diventeranno specchi della nostra essenza, guide per una spedizione emotiva verso una consapevolezza più autentica. In questo scenario, le narrazioni prenderanno forma in una visione poetica, dove le domande fondamentali sull’esistenza saranno affrontate con una sensibilità unica: «Chi siamo? Perché viviamo? Da dove veniamo e dove sta andando l’Umanità?». Questi interrogativi risuoneranno nelle performance, negli spettacoli, nelle installazioni, nelle Master Class e mise en lecture diventando tappe di una fuga onirica che si ergerà come antidoto al Presente frenetico e opprimente. Saranno le storie di vita, amore, legami, separazioni, scomparse a intrecciarsi, a formare una trama coesa che cercherà di dare significato al nostro essere. La ricerca di trascendenza ci porterà a esplorare una foresta di parole e silenzi, di azioni e riflessioni. In questo spazio, la musica del dubbio metodico si farà strada, risuonando con le inquietudini del nostro tempo. NIGER et ALBUS, una lente magica attraverso la quale osservare il Teatro come un prodigioso percorso di scoperta e riconciliazione con le nostre verità più intime. Così, tra le ombre del Nero e i bagliori del Bianco, il Festival della Biennale Teatro sarà un invito a perdersi per ritrovarsi, a lasciarsi avviluppare dal buio per emergere alla luce, cercando di risvegliare in noi una connessione potente con la nostra natura, conducendoci in un folgorante viaggio che promette di manifestarsi tanto spiazzante quanto rivelatore.

NIGER et ALBUS, due parole che evocano l’eterna danza tra il Nero e il Bianco, due non colori, simboli di un dualismo ancestrale. La 52. edizione si avvolgerà in questo manto binario, invitando il pubblico a una ricognizione appassionata delle proprie realtà interiori.

In questi quattro anni avete portato a Venezia autori, registi, attori e performer che difficilmente avremmo avuto modo di incontrare al di fuori del circuito Biennale. Leoni come Kae Tempest, Samira Elagoz, Christiane Jatahy, Krzysztof Warlikowski, registi di culto come Milo Rau, che ritroviamo con molto piacere quest’anno, Boris Nikitin, i formidabili FC Bergman, o Bashar Murkus e, ancora Caden Manson e Peeping Tom, per citarne solo alcuni… Quale la “formula segreta” di ricci/forte per riuscire a stupirci ad ogni festival?
In quanto Direttori Artistici, il nostro approccio è simile a quello di un giardiniere utopista-fantasticatore che semina con cura e attende pazientemente la fioritura di piante straordinarie. Ascoltiamo le voci del mondo, captiamo i segnali del cambiamento e tentiamo di tradurli in una programmazione che non conosce limiti, che accoglie la diversità e celebra l’innovazione. Quindi la “formula segreta” non è altro che un’alchimia di intuizioni e passioni, un tessuto che si nutre di visioni audaci, di empatia, di un’incessante ricerca di bellezza e verità, di una curiosità insaziabile verso l’Umanità e le sue infinite sfaccettature. Anche questo Festival, quarto e ultimo del nostro mandato, sarà concepito come un mosaico vivo, composto da frammenti di storie, di sguardi, di emozioni che si intrecceranno per creare un arazzo di esperienze uniche e possibilmente irripetibili. Non ci siamo mai limitati a scegliere artisti, ma abbiamo cercato sempre anime che vibrassero in sintonia con il battito contemporaneo, che osassero scandagliare territori inesplorati e che sfidassero le convenzioni del teatro. Registi, autori e performer, come i Back to Back Theatre e i Gob Squad, solo per citare i Leoni d’Oro e d’Argento 2024, sono selezionati non solo per il loro innegabile talento, ma per la loro incessante capacità di portare una luce nuova, differente e perturbante, di aprire porte verso universi inaspettati, di infrangere barriere, di creare connessioni simbiotiche con il pubblico, rivelando verità nascoste attraverso le loro opere. La magia di tutte le artiste e di tutti gli artisti partecipanti a questa 52. edizione sta nel loro coraggio di sognare e nel loro impegno a realizzare quei sogni: non saranno semplici ospiti, ma co-creatori di un rito di passaggio, di un tragitto collettivo, insieme ad ogni singolo spettatore, per rendere la Biennale Teatro un luogo di metamorfosi continua. Il loro sarà un incoraggiamento a lasciarci sorprendere, a essere vulnerabili, a vivere il Teatro non solo come spettacolo, ma come esperienza totalizzante che ci cambia nel profondo, un’occasione per riscoprire noi stessi e il mondo attraverso gli occhi di chi osa guardare oltre l’orizzonte.

La magia di tutte le artiste e di tutti gli artisti partecipanti a questa 52. edizione sta nel loro coraggio di sognare e nel loro impegno a realizzare quei sogni

La vostra rabdomantica ricerca sulla nuova creatività si traduce efficacemente in Biennale College Teatro, che ci ha permesso e ci permette di scoprire e seguire i percorsi di nuovi drammaturghi, registi e performer. In che modo si è sviluppato il percorso del College durante il vostro mandato e quali sentimenti suscita in voi il bilancio di questa esperienza?
Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane, affermava Calvino. Lo smarrimento, unito a un’inesauribile energia creativa, è un bene che va salvaguardato. Personalmente, ritengo il College di Biennale Teatro la sfida e il tesoro più prezioso di questo mandato; creare una struttura che catalizzi, sostenga e accompagni la ricerca drammaturgica/performativa/registica dovrebbe essere il primo comandamento di ogni paese civile. Sappiamo bene che non è questa la realtà e Biennale, negli ultimi quattro anni, rimane uno dei pochi avamposti contro il disinteresse comune verso quella dimensione unica e prodiga che è la gioventù. Confrontarsi con il nuovo, invece di difendere la polvere, dovrebbe rientrare in ogni statuto.

Nelle vostre parole, Niger et Albus ci invita ad immaginare un mondo migliore e più armonioso attraverso la ricerca dei mezzi necessari per costruirlo. Com’è un mondo migliore e più armonioso nella visione di ricci/forte? Quale futuro vi augurate, auspicate, immaginate? Qualunque futuro appare migliore del presente, sempre che sia accompagnato da azioni, perché gravido di variabili ossigenanti.
Sui perimetri immaginati posso parlare unicamente per me [Stefano Ricci n.d.r.] auspicando una liberazione eschilea: «agli dèi chiedo la liberazione dalla presente pena, da questa vigilanza che di anno in anno a lungo dura»; l’attesa di una fiamma gioiosa, annunciatrice, che altri non è che la tolleranza, la curiosità, la comprensione e il rispetto della differenza come valore, la presa in carico di una responsabilità culturale per lo sviluppo di un paese che vive nel presente.

I progetti dopo Biennale Teatro vi vedranno impegnati singolarmente. L’esperienza forte ed esaltante di un duo ha bisogno, immaginiamo, di successivi, ulteriori tratti di strada da compiersi singolarmente. Dove vedremo Stefano Ricci e Gianni Forte?
Stefano Ricci_Tra gli spazi di quel lemma citato – singolarmente – ci sono tutti i prodromi per una manifestazione rigenerante verso un altrove auspicato.
Gianni Forte_Dopo la Biennale Teatro, si apriranno sentieri iniziatici “altri” che si snoderanno in direzioni diverse, entrambe arricchite dall’esperienza condivisa, dall’eredità artistica costruita insieme. Due voci soliste che seguiteranno a risuonare, ciascuna con il suo timbro, ciascuna con la propria personalissima melodia. Gianni Forte si dedicherà a nuovi progetti teatrali e letterari, intraprendendo un cammino solitario ma altrettanto fecondo di scoperte, come quella più recente della traduzione. Nella sezione “Vuoti di memoria” per una casa editrice estera, sta rilanciando e riportando alla luce poetesse/poeti, autrici/autori francofoni straordinari e dimenticati da tempo, continuando a scrutare le dinamiche dell’animo umano, interrogando la realtà, trasformando ogni opera in un’indagine interiore e esteriore. Così, mentre il sipario cala su un capitolo, si aprirà un ulteriore e stimolante scenario, dove ognuno seguirà la sua rotta con quell’impegno e fervore che hanno caratterizzato i loro oltre vent’anni di collaborazione.

Immagine in evidenza: Gianni Forte e Stefano Ricci (ricci/forte), Direttori del Settore Teatro – Photo Andrea Avezzù

52. Festival Internazionale del Teatro

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