Fiorentina, nata sotto le bombe della Seconda Guerra mondiale, appassionata sin da bambina di arte, cultura e musica, questa straordinaria signora dell’arte ha saputo mantenere intatto il fascino di un’età matura con la vivacità di uno sguardo sempre attento e curioso.
Venezia, troppo spesso volutamente relegata a palcoscenico di eventi nazional-popolari, perfettamente aderenti a quell’idea di città contenitore vittima di un eccessivo turismo di qualità non elevata, sa ancora stupire per le sorprese che riserva, sapendo volgere lo sguardo e l’attenzione oltre il nulla in termini di progetti e di prospettive in cui pare ingabbiata. Ci sono, per fortuna, ancora un numero sufficiente di persone che amano la città e i suoi infiniti risvolti e la frequentano sommessamente, senza clamore, dimostrando amore e rispetto verso un luogo senza pari. Le occasioni di poter incrociare personaggi straordinari ancora sussistono e l’intervista che segue, in realtà un dialogo senza rete, favorito da una comune e preziosa amica, testimonia la forza attrattiva di Venezia che ancora accoglie i suoi ammiratori sinceri, oltre ogni irragionevole selfie. Ampio risalto era stato dato sulla stampa nazionale e internazionale nello scorso mese di maggio a un’importante asta di opere d’arte tenutasi da Sotheby’s a New York, il cui ricavato sarebbe andato in beneficenza. Tra queste spiccavano un Picasso, Femme nue couchée jouant avec un chat, e un Fontana, Concetto Spaziale, Attese del 1968, ultimo anno in vita dell’artista, dal colore azzurro vivido. La collezionista-filantropa in questione, Maria Manetti Shrem, si trovava a Venezia a fine maggio per una serie di visite artistiche. Ci siamo incontrati all’hotel Centurion, seduti ad un tavolo a conversare. Fiorentina, nata sotto le bombe della Seconda Guerra mondiale, appassionata sin da bambina di arte, cultura e musica, questa straordinaria signora dell’arte ha saputo mantenere intatto il fascino di un’età matura con la vivacità di uno sguardo sempre attento e curioso.
Credo fermamente che l’arte di vivere coincida con l’arte di saper donare.
La sua eleganza, armoniosa e non priva di vezzosità, con quegli eccessi che spettano solo a chi è in grado di reggerli con totale naturalezza, oltre al suo garbo e la grande passione con cui parla della sua vita, che sembra la sceneggiatura di un film, hanno reso piacevolissimo l’ascolto. Ha iniziato molto presto a lavorare e ha dato vita poco più che ventenne ad una azienda di confezioni per donna. Ha esportato il marchio in tutta Europa e specialmente negli Stati Uniti, Paese che negli anni Sessanta ha esplorato coast-to-coast. Viaggiare è sempre stato il suo ossigeno; una forma di apertura profonda che l’ha condotta oggi a dedicarsi con amore al sostegno di diverse forme d’arte e della ricerca medico-scientifica. Ha costruito una vita e una carriera di grande successo a San Francisco, dove si trasferì per amore del primo marito, all’età di trent’anni. Negli anni Settanta e Ottanta ha messo in atto un’idea imprenditoriale risultata vincente con cui ha presentato il meglio della moda italiana con la società di distribuzione Manetti Farrow, che ha collaborato in modo decisivo al posizionamento negli States delle grandi firme italiane ed europee, tra cui Gucci, Fendi, Mark Cross. E sempre ad accompagnarla c’era, parallelo e però centrale nel suo vissuto, l’universo dell’arte, della musica, dell’opera, che è poi stato anche il motore di un costante impegno filantropico e come mecenate. Maria Manetti Shrem ha costruito infatti nel tempo solidi legami di amicizia con i più importanti artisti del mondo, da Jeff Koons a Olafur Eliasson, da Peter Gelb a Renée Fleming, ma anche con Placido Domingo, Andrea Bocelli e Nadine Sierra, solo per citarne alcuni, forte della sua innata capacità di mettere insieme reti, contatti e persone di mondi differenti per dar vita a nuove e concrete idee quasi sempre sfocianti in riusciti progetti.
Da dove nasce in lei l’amore per il prossimo che le fa dire che «l’arte della vita è l’arte di saper donare», soprattutto al fine di poter supportare i talenti e i più bisognosi?
Credo fermamente che l’arte di vivere coincida con l’arte di saper donare. Non sono mai stata così felice nella mia vita da quando, più di dodici anni fa, ho scelto di dedicarmi alla filantropia, letteralmente intesa come “amore per l’umanità”, supportando in maniera continua diverse fondazioni con i profitti delle opere d’arte della nostra collezione e di proprietà personali che ho messo in vendita. Il mio sostegno va particolarmente ai talenti nel campo dell’istruzione, della musica, dell’arte e della ricerca medico-scientifica in soccorso dei più bisognosi, quali le persone anziane con malattie neurodegenerative, e dei più piccoli e indifesi. Sono nata a Firenze il giorno in cui Mussolini ha siglato il Patto d’Acciaio con Hitler, trascinando il Bel Paese nella Seconda Guerra mondiale e un intero popolo in un clima di povertà, morte, paura e incertezza. Ho vissuto sin da bambina, per merito della mia famiglia, l’empatia e l’amore per il prossimo, ma solo molto più tardi nella mia vita, in seguito a grandi dolori personali, ho conosciuto il buddismo, avviandomi verso un progressivo percorso dedicato alla “compassione” e al “distacco” dalle cose materiali. Sono determinata a dare indietro con la mano calda, e non dopo morta, tutto quello che sono riuscita a creare con le mie forze, reinventandomi anche più volte nella mia vita. Per questo la mia più alta missione adesso è raggiungere il “distacco” dalle cose materiali. I have already enjoyed art; con mio marito Jan Shrem, un self-made man come me, avevamo una proprietà meravigliosa, Villa Mille Rose a Oakville, la più bella forse di tutta Napa Valley, creata pensando alla mia Toscana, piena di opere d’arte. Ho visto spesso il lavoro svolto dai trustee dopo la morte di miei amici, perciò per me è sempre più vero pensare a: the joy of living from the joy of giving.
Con suo marito avete creato il Manetti Shrem Museum of Contemporary Art di UC Davis, una sorta di “bottega dell’arte” rinascimentale nel cuore della California. Ci parli un po’ di questo intrigante progetto.
A cinque anni dall’inaugurazione del nostro Museo nel campus di UC Davis «Artnews» ci ha incluso nella lista dei 25 migliori edifici museali al mondo degli ultimi cento anni. Devo il mio coinvolgimento con UC Davis all’artista e filantropa Margrit Mondavi, che nel 2011 mi propose l’opportunità di trasformare un campo abbandonato a erbacce da oltre vent’anni in un monumento per l’avvenire: il Manetti Shrem Museum of Contemporary Art. Oggi di fatto il Museo sigilla l’eredità artistica di questa università, che dagli anni ‘50 ha visto qui impegnati artisti-insegnanti del calibro di Wayne Thiebaud, William T. Wiley, Robert Arneson, Manuel Neri, Roland Petersen, Ruth Horsting, Mike Henderson, facendone il più importante “teaching museum” d’America. Il Museo, definito da Gary May, rettore dell’Università di Davis, “il gioiello della corona” dell’ateneo californiano, funge da vera e propria “bottega dell’arte”, dove gli studenti, grazie al fatto che il trenta per cento degli spazi è adibito all’insegnamento, imparano creando, potendosi confrontare direttamente con opere contemporanee e artisti internazionali ancora viventi che vengono qui ad insegnare durante l’anno. Dal 2020 finanzio il celebre California Art Studio del College of the Arts di UC Davis, permettendo ad artisti e curatori di livello internazionale di venire a insegnare tenendo delle masterclass. Negli anni Sessanta le migliori università d’arte in America erano Yale e UC Davis. Vogliamo riportare l’Università di Davis in testa e direi che siamo sulla buona strada. Ogni anno quattro artisti laureati vengono selezionati per uno scambio con la Royal Drawing School. Abbiamo di recente ospitato anche la curatrice Cecilia Alemani e in autunno abbiamo in programma un ciclo di lezioni di Catherine Goodman, artista e founding-director della Royal Drawing School. Stiamo anche valutando progetti dedicati con il dipartimento di moda, design e tessile. Il 18 giugno, in occasione della cerimonia di laurea degli studenti di UC Davis, mi è stata assegnata la maggiore onorificenza accademica, la “UC Davis Medal”, per essere diventata la maggiore filantropa dell’arte e della cultura nella prestigiosa università californiana. Al mio fianco i miei carissimi amici filantropi Robert e Margrit Mondavi, il grande pittore Wayne Thiebaud, l’ex presidente Bill Clinton, il premio Nobel per la medicina 2020 Charles Rice. I miei genitori sarebbero oggi molto felici e orgogliosi della loro Maria: ora il mio nome campeggia anche nei segnali stradali per indicare l’uscita per l’omonimo museo a UC Davis!
Il valore della cultura è la base di tutto per me
Dalle sue parole emerge chiaramente l’importanza e il valore assoluto dell’arte e della cultura, che per lei e suo marito hanno svolto e svolgono un ruolo a dir poco nevralgico nelle vostre esistenze. Da dove nasce questo amore “radicale”?
Il valore della cultura è la base di tutto per me e mio marito. La mia vita nello specifico è cambiata radicalmente per via dell’istruzione scolastica che ho ricevuto da bambina grazie a un mio zio siciliano, Marcello, il quale suggerì a mia mamma di farmi studiare piuttosto che mandarmi a lavorare come tutte le altre ragazzine, perché aveva visto in me un qualcosa di speciale da dover coltivare. Mia madre Tosca, andando in controtendenza rispetto alle abitudini delle famiglie modeste negli anni ‘50, decise così di “investire” nel talento di uno dei suoi quattro figli, fornendomi le basi culturali che hanno alimentato la mia curiosità per il sapere, i viaggi, la scoperta e la vita. Essendo però l’anno scolastico già cominciato, l’opzione restava solo quella di un tutor privato. Fu allora un privilegio assoluto avere una maestra tutta per me: Flora Cascio, anche lei siciliana – non la dimenticherò mai! –, la quale mi costruì delle basi eccezionali per inserirmi presto a scuola e per poter subito dopo entrare nel mondo del lavoro con un’impresa di moda da me stessa creata agli inizi degli anni ‘60 per esportare le creazioni italiane in Europa e in America.
Altra sua grande passione è l’opera lirica.
Mi sono innamorata dell’opera a quindici anni ascoltando Renata Tebaldi nel ruolo di Mimì nella Bohème al Maggio Musicale Fiorentino. Da quella sera l’opera è entrata nella mia vita per sempre, alimentando le mie emozioni e la mia passione romantica per la vita. Lo scorso 3 dicembre la San Francisco Opera, in occasione del mio cinquantenario in America, mi ha tributato sul palcoscenico, mano nella mano con gli artisti alla fine dell’ultima replica de La Traviata, la sua più grande onorificenza: The Spirit of the Opera per il mio continuo e sempre crescente contributo a questa ammirevole organizzazione culturale creata cento anni fa dall’italiano Gaetano Merola e da altri amanti dell’opera.
Quella sera ho provato una delle emozioni più forti della mia vita. Niente male considerando che cintquant’anni prima stavo in piedi in fondo al teatro, pagando pochi dollari pur di vedere e ascoltare un’opera.
Quella sera ho provato una delle emozioni più forti della mia vita. Niente male considerando che cintquant’anni prima stavo in piedi in fondo al teatro, pagando pochi dollari pur di vedere e ascoltare un’opera. La città e la Contea di San Francisco, oltre ad aver proclamato in nome mio e di mio marito il 22 giugno quale giorno dedicato alla filantropia, ha anche illuminato con il Tricolore la cupola del Comune per onorare la mia attività filantropica. Un fatto unico, che accade solo per i capi di stato in visita in città!
Lei è un’icona di stile. Come potrebbe definire la sua relazione con la moda?
La culla del Rinascimento e del made in Italy è Firenze. Personalmente vedo nella memorabile sfilata di Giovanni Battista Giorgini alla Sala Bianca di Palazzo Pitti l’origine della moda in Italia. Era il 12 febbraio 1951. A Firenze negli anni Sessanta ho costruito la mia prima azienda di moda, nutrendomi della bellezza architettonica di una città unica. Negli anni Settanta, a San Francisco, ho cominciato a lavorare per gli specialty stores dei Magnin. Negli anni Ottanta sono diventata un’esperta di internazionalizzazione del made in Italy, in particolare per gli accessori di Gucci, Fendi e Mark Cross. L’Italia ha un patrimonio immenso nell’artigianato ed è un valore universalmente riconosciuto. Anche il Re Carlo, della cui amicizia mi onoro – sono una delle poche persone che lo possono abbracciare e baciare senza infrangere le rigide regole del protocollo di Corte –, mi ripete sempre che le nostre eccellenze dell’artigianato devono essere mantenute e supportate perché sono espressioni fantastiche di saperi antichi e abilità manuali uniche. Quando Dolce & Gabbana nel 2020 decisero di organizzare la loro sfilata di haute couture a Firenze, mi telefonò Domenico (ndr: Dolce) invitandomi in Italia per l’occasione, dicendomi che ero stata io la ragione, la suggestione di fondo della loro scelta di Firenze. Pur avendo il doppio passaporto, ero riluttante a muovermi dagli Stati Uniti in quell’anno di piena pandemia. Tuttavia, quando Domenico mi disse che avevano coinvolto ben 35 artigiani per questo grande progetto, non ebbi esitazione nell’accettare l’invito e corsi a Firenze. A quel punto davvero non avrei potuto che condividere entusiasticamente una simile scelta.
C’è in lavorazione un biopic sulla sua vita. A chi è maggiormente indirizzato questo documentario?
Ho chiesto anni fa a Mauro Aprile Zanetti, siciliano che vive a San Francisco, di scrivere e creare un biopic sulla mia vita, avendo lui una duplice ottima conoscenza della cultura italiana e di quella americana. La mia vita si incastona perfettamente tra il sentimento del Rinascimento, cioè la mia Firenze e il profondo “cultural background” che mi ha donato, e il “California dreaming”, incarnato dalla mia San Francisco e dal sogno americano, che sono riuscita a creare, vivere e condividere con più persone possibili, sostenendo la meritocrazia. L’idea è di raccontare come io mi sia sempre dovuta reinventare sin da ragazzina; successivamente da giovane donna rinunciando a tutto quanto avevo creato nella mia adorata Firenze, consapevole di dover ripartire da zero pur di seguire il mio cuore nel nuovo mondo; e infine da donna adulta, dovendo imparare di gran corsa e nelle difficoltà di un cuore infranto a saper gestire i miei asset. Ho sempre continuato a sognare con determinazione e resilienza, vivendo la vita nella sua meravigliosa pienezza, illuminata dalla bellezza dell’opera lirica e dell’arte, dall’amicizia e dall’amore. Pertanto vorrei poter motivare i giovani e più persone possibili a vivere la vita da protagonisti: sognando in grande, senza avere paura, incoraggiandoli a non mollare mai e a reinventarsi. Vorrei inoltre mostrare ad altri benestanti quanto bene si possa fare per l’umanità condividendo anche solo una piccola parte della propria fortuna da vivi, per rendere il mondo un posto un po’ migliore. Qui e ora, non domani.
Immagine in evidenza: Maria Manetti Shrem – Photo Gianmarco Rescigno