La sfida di Edith

Edith Karlson racconta Hora Lupi, il suo progetto per il Padiglione Estonia
di Mariachiara Marzari
trasparente960

Nella Chiesa di Santa Maria della Penitenti, lungo la Fondamenta di Cannaregio, lo spazio estone è occupato da sculture in argilla e cemento che evocano l’inevitabile caducità degli esseri umani nei confronti della natura.

Edith Karlson (Tallinn, 1983) è stata scelta come artista rappresentante della partecipazione nazionale dell’Estonia alla Biennale Arte 2024 con il progetto Hora Lupi e da quel momento per lei è iniziato un viaggio, o meglio, come afferma l’artista stessa, “una sfida”. La sua attitudine creativa alla realizzazione di narrazioni complesse in forma di installazioni, dove protagoniste sono le sue sculture di diverse dimensioni e scala, l’ha portata a scegliere per il Padiglione uno spazio molto caratterizzato, la Chiesa di Santa Maria della Penitenti, lungo la Fondamenta di Cannaregio, che risale al XVIII secolo e che contribuisce a costruire l’atmosfera emotiva della mostra. Qui tutto è rimasto immutato, persino la polvere dei secoli passati. Karlson utilizza lo spazio come metafora dell’essere umano, altrettanto triste e incompleto, pieno di crepe e fessure, attraverso le quali alla fine, forse, brillerà una luce redentrice. Gli spazi espositivi sono letteralmente occupati dalle sculture in argilla e in cemento che evocano l’inevitabile limite e caducità degli esseri umani nei confronti della natura. Hora Lupi è un’esplorazione delle pulsioni primitive dell’uomo nella loro banalità e solennità, un interrogarsi sulla possibilità di redenzione in un mondo che non ne è mai degno. Karlson mette in scena una narrazione esistenziale della natura animalesca degli esseri umani, raffigurando come la sincerità e la schiettezza dell’istinto possono a volte assumere una forma brutale e violenta, ma anche poetica e a volte un po’ assurda, gentile e malinconica, specchio allargato del “nostro mondo di oggi”.

Edith Karlson, Hora lupi – Photo Anu Vahtra © Estonian Centre for Contemporary Art

Entrare nella Chiesa delle Penitenti oggi è un po’ come varcare la soglia di un altro mondo, un mondo dominato da strane creature, giganti, sirene, animali… Tutti disposti in un caos apparente che trova armonia e significato nell’installazione nel suo complesso e al contempo anche nell’unicità di ogni singola figura. Qual è il concetto di fondo che informa il progetto Hora Lupi? Da dove viene e che storia ci racconta?
Hora Lupi è iniziato proprio lì, alla Chiesa delle Penitenti. Dal momento in cui vi sono entrata per la prima volta ho avuto una chiara visione di cosa volevo mostrare e come. Questi spazi mi hanno affascinano al punto che le idee di cosa volevo fare mi sono subito apparse chiare in mente. La loro bellezza mi ha dato la certezza che il mio contributo sarebbe comunque stato minimo: la Chiesa è già bellissima così com’è! Volevo che le mie opere si integrassero in questo spazio come se fossero lì da molto tempo e che ciascuno di questi spazi raccontasse una diversa storia. Le varie storie poi si sarebbero collegate sotto l’idea di Hora Lupi, cioè “l’Ora del lupo”. Quest’espressione venne resa famosa da Ingmar Bergman e si riferisce a quell’ora che scorre tra le tre e le quattro di notte. Pare che questa sia l’ora in cui più persone nascono e muoiono e che sia l’ora migliore per attaccare il nemico perché non siamo del tutto presenti nei nostri corpi in questa fase della giornata. È un’ora – e un sentimento – che è difficile descrivere a parole.

La sua storia è piena di riferimenti e significati complessi per come e quanto è permeata di storia, filosofia, religione, leggenda. Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? E in che modo la sua visione può contribuire a restituire i tratti dell’identità nazionale che il Padiglione è chiamato a mostrare in occasione della Biennale?
Penso che guardare alla storia sia un ottimo modo per analizzare i propri errori, o almeno ci permette di farlo col senno di poi. Tuttavia, per quanto possiamo conoscere la storia, ripetere gli errori e dimenticarsene sembra che sia parte intrinseca della natura umana. Il mio obiettivo con Hora Lupi non è mai stato quello di costruire qualcosa a favore dell’identità nazionale, perché temo che se l’avessi fatto consciamente il tutto avrebbe perso in sentimento. Di nuovo, non è una cosa facile da esprimere. Penso che l’identità nazionale e la sua conservazione siano in realtà collegate a sentimenti complessi quali paura, ignoranza, dolore, crudeltà, confusione, tristezza, sottomissione, speranza. E tutto ciò si ritrova diffusamente nelle mie opere.

Edith Karlson, Hora lupi – Photo Anu Vahtra © Estonian Centre for Contemporary Art

Stranieri Ovunque è il titolo della Biennale Arte 2024. La sua mostra sembra avvicinarsi al tema da un punto di vista esistenziale, concentrandosi sulla natura umana, i suoi limiti, la sua inadeguatezza nell’affrontare il mondo moderno. Qual è la sua idea di “straniero”, “diverso”, “strano”? Chi è l’“altro” e come possiamo ritrovarlo e seguirlo nelle sue opere?
Probabilmente non c’è nessuno che non abbia mai incontrato qualcosa che gli facesse paura. È umano, si dice. È un normale istinto e in natura è necessario per sopravvivere. Mi sono sentita strana quando un’emozione mi ha spinto a comportarmi in modo indegno, ma anche quando mi sono ritrovata a fare qualcosa di cui non credevo essere capace… Ero davvero io in quel momento? Non sempre sono le cose cattive ad apparirci strane. Anche le cose buone possono apparire tali. Ciò che voglio dire è che gli stranieri e la stranezza sono davvero ovunque, a tutti i livelli. La domanda più importante da porci è: che cosa facciamo con questa nozione e questa sensazione, come ci comportiamo per non ferire l’altro? Personalmente penso che possiamo superare la paura dello strano e dello straniero con la curiosità, con un acceso desiderio di capire e conoscere le persone più da vicino, perché di solito ciò genera empatia. Con Hora Lupi ho lavorato proprio in questa direzione.

Che ruolo effettivo riveste il pubblico nei suoi progetti espositivi?
Le mie opere si basano su un approccio molto personale verso svariati soggetti e temi su cui mi cimento, ma alla fine, fondamentalmente, sono cose che esistono, che stanno lì per mostrarsi al pubblico. C’è qualcosa che fa del nostro lavoro, del mio perlomeno, una sfida e che lo rende straordinariamente interessante: come mostrare al pubblico le proprie idee mantenendo una sostanziale riservatezza, ma al contempo esprimendosi in maniera onesta e aperta, con il prioritario fine di essere capiti? È una grande e complessa sfida questa, sì, e a me le sfide piacciono molto.

Immagine in evidenza: Edith Karlson – Photo Alana Proosa © Estonian Centre for Contemporary Art

VeNewsletter

Ogni settimana

il meglio della programmazione culturale
di Venezia