La sventura della felicità

In "Marianna" Matteo Strukul ripercorre la scabrosa vicenda della Monaca di Monza
di Elisabetta Gardin
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Grazie ad una meticolosa ricostruzione storica unita ad atmosfere dark e a tinte fosche lo scrittore padovano ci restituisce il calvario fatto di buio, topi, pulci e solitudine estrema della prigionia di Marianna Virginia de Leyva, la Monaca di Monza, già consegnata all’immortalità da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi.

Mi dedicai alla preghiera. Anche se non riuscivo a concentrarmi. Il volto di Gian Paolo Osio mi tormentava. Quel sorriso sfacciato, quegli occhi di fiamma. Le sue offese come coltelli nel petto

È da poco nelle librerie, edito da Nord-Sud, l’ultimo avvincente romanzo di Matteo Strukul Marianna. Io sono la Monaca di Monza, una storia dai toni appassionati che si legge tutta d’un fiato grazie alla meticolosa ricostruzione storica e alla scrittura fluida, curatissima, caratterizzata da atmosfere dark, tinte fosche e inquietanti che ci trasportano in un Seicento cupo, intriso di rosso sangue. Atmosfere che all’autore sono state ispirate da scrittori come Edgar Allan Poe, Melville e soprattutto da Nathaniel Hawthorne, in particolare dal suo capolavoro La lettera scarlatta. La vicenda di Marianna Virginia de Leyva, la Monaca di Monza, è nota a tutti per l’immortale ritratto delineato da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Nella scabrosa vicenda pubblicata da Strukul tutto è vero, tutto è meticolosamente documentato; la protagonista narra in prima persona, come in una confessione, la sua storia. Il libro si apre con Marianna, la monaca Virginia Maria dell’Ordine delle Umiliate di San Benedetto, rinchiusa in carcere, murata viva; «cinque braccia per tre» ripete a se stessa per non impazzire e forse, al tempo stesso, per non dimenticare mai le terribili colpe di cui si è macchiata. Il suo è un calvario fatto di buio, topi, pulci, solitudine estrema, sta scontando la sua pena per i delitti di cui si è resa complice, tormentata dai ricordi. È una donna bellissima e sensuale, figlia del Conte Martin de Leyva y de La Cueva-Cabrera, feudataria di Monza, costretta da un padre assente a diventare novizia a tredici anni, che così facendo, avrebbe evitato la dispersione del proprio patrimonio, magari attraverso un conferimento di dote. Suor Virginia Maria de Leyva pronuncia i voti nel 1591, fa da maestra alle giovani educande, si sente forte per la sua posizione sociale, per la sua famiglia potente, ma arriveranno terribili cambiamenti. Tutto ha inizio il giorno in cui vede Gian Paolo Osio, affascinante rampollo di una famiglia molto potente e temuta, che abita a due passi dal convento. Fin dal primo momento che lo incrocia le provoca inquietudine; da quando posa lo sguardo su quel bel giovane viene travolta in un vortice di sentimenti da cui sarà impossibile uscire. Una passione bruciante, devastante, che non lascia spazio a nient’altro, annullando razionalità, pudori, convenzioni sociali. Si trasformerà ben presto, insomma, in un’ossessione che non le offrirà scampo alcuno: arriveranno i sensi di colpa, il tormento interiore, l’autopunizione, mortificando le proprie carni, fustigandosi, temendo di essere posseduta dal demonio. Gian Paolo Osio la trascinerà in efferatezze di ogni tipo: soprusi, omicidi, violenze, lussuria. Seguendo il suo amore malato e devastante, ucciderà Giuseppe Molteno, amministratore dei molti beni della monaca; in seguito commetterà altri due omicidi, uccidendo una novizia e lo speziale. Da allora non si fermerà più, togliendo di mezzo chiunque osi frapporsi al loro diabolico legame. Infrangerà le leggi umane e divine, si macchierà dei peccati più gravi. Da questa passione irrefrenabile Marianna partorirà un bambino nato morto e, più avanti, una bambina, Alma, che non rivedrà più perché affidata da Gian Paolo a una famiglia che se ne prenderà cura. A lei non rimarrà che ripensarla durante la prigionia, consumandosi nel proprio tormento. Alla fine saremo certo colpiti dall’orrore di tanta lucida spietatezza, da così tanti delitti, ma proveremo anche pietà per questa donna che in fondo non ha mai conosciuto l’amore vero.

Cosa l’ha affascinata di questa figura tanto da dedicarle un libro? E in che cosa si differenzia dal ritratto indimenticabile che ne fece Manzoni ne I Promessi Sposi?
Gertrude è nei Promessi Sposi il personaggio letterario che incarna Marianna de Leyva. Manzoni però tace l’intera sua storia, una volta monacata. Al punto che la sua fosca passione, vissuta con Gian Paolo Osio, ci viene solo suggerita attraverso una delle più riuscite ellissi della storia della letteratura: La sventurata rispose. Intuiamo che qualcosa di terribile e straordinario sia avvenuto, ma non ne abbiamo contezza. Questo romanzo, invece, racconta proprio ciò che quelle tre parole contengono. Da sempre il personaggio di Marianna esercita su di me un fascino cupo e irresistibile e, in occasione dei 150 anni della morte di Alessandro Manzoni, ho capito che era giunto il momento di far conoscere la sua sanguinosa vicenda.

Cosa c’è di contemporaneo in questa figura femminile?
Il suo desiderio di libertà, di volontà di autodeterminazione, la sua capacità di conquista e gestione del potere, la sua forza di carattere, ma allo stesso tempo un malinteso concetto di passione che diviene ossessione e la conduce alla rovina. Trovo drammaticamente contemporaneo anche il tema della sopraffazione maschile ai danni delle donne. In questo senso Marianna fu vittima due volte all’inizio della propria vicenda: del padre che la obbligò a monacarsi e della superiora che le proibì di denunciare Gian Paolo Osio, reo di assassinio d’un servo dei de Leyva, temendo lo scandalo. Forse se quella denuncia fosse stata portata fino in fondo, la storia di Marianna sarebbe stata diversa. Vero è che con il ritiro delle accuse verso Osio, ella si sarebbe poi trasformata in carnefice anche per spirito di rivincita e vendetta nei confronti della superiora del convento, colpevole – ai suoi occhi – di ipocrisia e falsità.

Lei è autore di bestseller tradotti in più di 40 Paesi. Per questo romanzo ha già qualche richiesta dall’estero? Ritiene che potrà realizzarsi una riduzione cinematografica o teatrale del romanzo così come è già avvenuto per il suo Casanova ripreso dal fortunatissimo musical di Red Canzian?
Al momento è presto per stabilire se ci saranno traduzioni o riduzioni cinematografiche o teatrali. Diciamo che il romanzo è subito entrato in classifica e questo lascia intuire che possano sussistere concrete possibilità per sviluppi futuri.

Nei suoi romanzi ha saputo delineare magistralmente grandi personaggi storici che appartengono all’immaginario collettivo. Chi tra tutti questi è il suo preferito? Si è mai identificato in qualcuno di loro?
Fra i personaggi storici che ho raccontato forse quello che sento più vicino è Canaletto, protagonista de Il cimitero di Venezia e Il ponte dei delitti di Venezia. Non direi che mi identifico in lui, tuttavia è pur sempre vero che coinvolgendolo obtorto collo in tenebrosi affari ne faccio emergere, credo, l’aspetto umano, le fragilità, le inadeguatezze e al contempo il coraggio, l’amore per l’arte, la pittura vissuta come ragione di vita. Canaletto è stato uno dei più grandi artisti della storia e trasformarlo in investigatore sarebbe stata una forzatura. Scaraventarlo invece sulla scena di un delitto, per esservi invischiato suo malgrado, lo ha reso ai miei occhi molto più vicino. È completamente inadeguato ad affrontare una situazione del genere e l’inadeguatezza è una sensazione che conosco; allo stesso tempo Canaletto vive l’arte come salvezza, porto sicuro, rifugio alle offese della vita e per me vale lo stesso. Poi vive una grande storia d’amore che ho inventato ma che ritengo plausibile. Insomma, in Giovanni Antonio Canal, per come l’ho raccontato, ritrovo molti dei miei difetti ma anche qualcuno dei miei pregi.

Lei è Direttore artistico dell’Associazione Sugarpulp, vera fucina di autori, con la quale pubblicate un magazine e organizzate eventi culturali. Cosa state progettando per il prossimo futuro?
A dicembre organizziamo 800 Padova Festival, che si tiene dal 7 al 10 al Caffè Pedrocchi. Dedichiamo questa edizione ad Alessandro Manzoni in occasione del centocinquantenario della sua morte. Ci è parso che sia stata data poca attenzione quest’anno a un’occasione tanto importante ed è nostra volontà porre rimedio. Nella primavera del 2024, a Piove di Sacco, sarà la volta della decima edizione di Chronicae, il Festival Internazionale del Romanzo Storico, l’unico in Italia. Curioso, per un Paese che può vantare – proprio in Alessandro Manzoni – il padre del romanzo storico mondiale.

Come sarà il suo Natale? Ha qualche rito che ripete ogni anno?
Spero di trascorrerlo in serenità e pace, con mia moglie Silvia. Prima della pandemia festeggiavamo il Natale quasi sempre a Berlino. Auspico di tornare a questa bella abitudine d’un tempo.

Immagine in evidenza: Matteo Strukul © Marco Bergamaschi