L’atelier come progetto

Intervista a Roberto Piffer
di Mariachiara Marzari
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Siamo entrati nel suo spazio-laboratorio a Castello e abbiamo scoperto un luogo magico, un’originalità minimal immersa in un tempo sospeso, dove la moda è semplice eleganza.

La sua storia è quella di molti studenti giunti a Venezia: dopo essersi diplomato al Liceo artistico a Trento, città natale, si trasferisce in Laguna per studiare Design della Moda presso lo IUAV, laureandosi con il massimo dei voti con una tesi sul concetto di tempo nella moda. E proprio il tempo è il filo rosso del suo linguaggio creativo. Roberto Piffer decide di fermarsi a Venezia, trovando nella storia, bellezza e tradizione della città terreno fertile per la sua pratica creativa. La voglia di sperimentare e di contaminare il suo lavoro lo porta a collaborare prima con il Maestro Stefano Nicolao alla scoperta di un magnifico enorme atelier di costumi storici, poi con varie realtà teatrali e cinematografiche. Negli ultimi tempi cura la parte estetica di alcuni eventi a livello internazionale, dove il suo sguardo attento, preciso e sensibile alla bellezza prende forma. Nel 2021 decide di aprire il suo atelier a Castello 4882, dove realizza abiti su misura cuciti a mano e una personalissima linea in cui la più attenta tradizione sartoriale si sposa con linee contemporanee e versatili. Abbiamo suonato alla porta blu del laboratorio di Roberto Piffer, scoprendo un luogo magico, un’originalità minimal immersa in un tempo sospeso, dove la moda è semplice eleganza.

Collezione dedicata a Carlo Scarpa e al suo giardino, Fondazione Querini Stampalia – Photo Giorgia Chinellato

Castello 4882, Calle de Mezo, porta blu, senza vetrina. Non solo un luogo ma un manifesto programmatico della sua idea di moda ed eleganza. Quale il significato dietro questo incredibile laboratorio?
Quando penso al mio lavoro lo identifico come un gesto di cura, qualcosa di intimo che fa stare bene. Nel costruire uno spazio che potesse accogliere le mie idee e le mie clienti, ho pensato a un luogo nel quale poter condividere pensieri con complicità e ascolto. Ho volutamente deciso di non avere una bottega ma uno spazio-laboratorio privato dove sviluppare progetti, è proprio qui che prende vita la mia poetica e la mia ricerca. Un’idea di moda senza tempo, pratica, comoda e versatile, che guarda alla sostenibilità e all’eleganza. La sobrietà fa parte del mio DNA, linee pulite e decise che vestono corpi di tutte le età e vissuti.

Cucito a mano e su misura. L’arte di altri tempi, che si fonda su un lavoro artigianale e sartoriale di altissimo livello per la realizzazione di capi unici, apparentemente una sfida difficile per una persona giovane come lei. Com’è nata la sua passione per gli abiti e il lavoro sartoriale?
La passione per questo lavoro nasce quasi per caso o meglio, per gioco. Ai tempi del liceo io e una mia cara amica ci siamo avvicinati a questo magico mondo frequentando un corso di modellistica e di confezione. Un luogo e un tempo magico dove ho acquisito tutte le nozioni fondamentali. Ho sempre amato sperimentare nel mondo del design, dal gioiello al vetro fino ad approdare al mondo della sartoria. Il mio lavoro è caratterizzato da un mix di esperienze vissute che sono il mio bagaglio personale e mi auguro che questo bagaglio possa arricchirsi sempre di nuovi incontri e contaminazioni.

Originario della provincia di Trento, è giunto a Venezia per studiare Design della Moda allo IUAV e per vivere l’unicità dell’atelier teatrale di Stefano Nicolao. Se la moda è un racconto, ed è linguaggio, i pezzi, i mattoni, di questo linguaggio sono i tessuti, le cuciture, i metalli. Quanto di questa esperienza ora viene traghettata nei suoi abiti?
Il corso in Design della Moda allo IUAV è stato sicuramente determinante per la mia crescita. Ho acquisito un metodo e ho imparato ad affinare la mia ricerca e visione sulla moda. L’incontro con il Maestro Nicolao è stato un altro incontro prezioso. Grazie a lui ho scoperto un mondo che mi era ancora sconosciuto, quello del costume storico. Un mondo fatto di dettagli e cura quasi maniacale per riprodurre fedelmente abiti che sono vere e proprie narrazioni ferme in un tempo onirico e magico. Queste esperienze, apparentemente distanti ma incredibilmente vicine, accomunate dall’idea di un continuo e costante lavoro di ricerca e di sviluppo tra passato e presente, sono per me punti di partenza imprescindibili, fonte di ispirazione e colonna portante del mio lavoro.

Ha collaborato anche con il Teatro, in particolare con quello estremamente sfaccettato e unico messo in scena dal poliedrico Mattia Berto. Che differenza c’è, se c’è, tra vestito e travestimento?
Mettere il mio lavoro e la mia creatività a disposizione del mondo del teatro e del cinema è per me una grande gioia. Ho avuto la possibilità di lavorare ad alcuni progetti in città ma non solo, dai costumi e oggetti di scena per alcune performance del Teatro di Cittadinanza di Mattia Berto ai costumi per lo spettacolo Una camelia per due di Selene Gandini a Roma, fino a collaborazioni con realtà cinematografiche internazionali. Queste avventure mi hanno messo alla prova, ho dovuto, alle volte, venire meno alla mia maniacale precisione per cercare invece una forza nuova e diversa, che è quella della resa scenica e della funzionalità per gli attori. Sicuramente c’è una differenza fra gli abiti da usare nella vita e quelli da usare in scena. Credo che la differenza principale stia nel fatto che gli abiti da scena vengono indossati dagli attori per assumere determinate caratteristiche del personaggio interpretato, mentre gli abiti da usare nella vita, anche se sembra impossibile, raccontano di noi, chi siamo, i nostri sogni e cosa vogliamo per le nostre vite.

Quali suggestioni tratte dalla infinita bellezza di Venezia si ritrovano nei suoi abiti?
Venezia, mia cara Venezia. Questa città mi ha accolto e non smette mai di stupirmi. Basta fare una semplice passeggiata per scovare forme, colori, equilibri e idee da poter usare come fonte d’ispirazione per i miei capi. Ho creato alcuni capi partendo dal concetto di fluidità così caro alla nostra Laguna, altri dedicati alle forme e alle linee di Carlo Scarpa; ho avuto l’onore e il piacere di lavorare con tessuti preziosi come quelli di Rubelli e Bevilacqua e la mia ricerca continua qui, nella mia cara Venezia che è diventata fonte d’ispirazione costante e casa.

Non possiamo non finire con chiederle il suo ideale dress code per le imminenti feste natalizie.
Nessun dress code ideale! La regola principale e fondamentale è che un abito sia pratico, comodo e versatile. L’importante è che ci faccia sentire bene e a nostro agio in qualsiasi occasione e circostanza. Ovviamente un po’ di luccichio non guasta mai!

Immagine in evidenza: Roberto Piffer – Photo Emma Ragozzino

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