Romanzo visivo

Cinema e letteratura nelle pagine di Marco Franzoso
di Elisabetta Gardin
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Romanzi che sono veri e propri viaggi nel mondo sconosciuto dei sentimenti più profondi, scandagliati con raffinatezza e delicatezza, ma senza sconti.

Hungry Hearts, film di grande intensità diretto da Saverio Costanzo, ha iniziato il proprio folgorante successo alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con l’assegnazione del premio per la miglior interpretazione maschile e femminile: due Coppe Volpi vinte rispettivamente dai protagonisti Adam Driver e Alba Rohrwacher. Il film è stato tratto dal romanzo Il bambino indaco dello scrittore veneziano Marco Franzoso, che dopo avere esordito nel 1997 con Westwood dee-jay, romanzo in italo-veneto ambientato nel mondo della notte di una Mestre distopica bagnata dall’oceano, ha scelto di percorrere una strada più intimista, scandagliando le relazioni familiari e i sentimenti più nascosti della persona, con particolare attenzione al mondo dell’infanzia e alla questione della violenza sulla donna. Il suo ultimo libro, La lezione, uscito lo scorso aprile, è un thriller psicologico incentrato su una vicenda di stalking. I suoi romanzi sono dei veri e propri viaggi nel mondo sconosciuto dei sentimenti più profondi, scandagliati da Franzoso con raffinatezza e delicatezza, ma senza sconti. Una scrittura che sa essere diretta, essenziale, purificata e scarnificata, proprio come Isabel, la protagonista de Il bambino indaco, madre ossessionata dalla purezza che riversa sul figlio le sue ossessioni, le sue paure, i suoi disturbi alimentari. E così quella che era iniziata come una bellissima storia d’amore ben presto si incrina, rovesciando tutte le dinamiche interne della coppia. Franzoso scrive storie ambientate in Italia, ma si tratta di racconti universali, temi che toccano tutti in ogni luogo del mondo. Forse anche per questo motivo i suoi romanzi trovano con facilità una trasposizione cinematografica. Recentemente «Hollywood Reporter» ha annunciato che nella primavera 2023 in Italia, a Roma, si girerà un altro film tratto da un bestseller dell’autore, Le parole lo sanno, pubblicato da Mondadori nel 2020. Si tratta di un avvincente thriller psicologico la cui regia verrà affidata a Peter Webber, regista inglese che ha firmato film di alta qualità e al tempo stesso grandi successi al botteghino come La ragazza con l’orecchino di perla e Hannibal Lecter – Le origini del male. La sceneggiatura verrà firmata da Alessandro Camon, che si è imposto nel panorama internazionale con il film The Messenger, vincitore dell’Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura al 59. Festival di Berlino. Il film, You Will Find the Words, sarà prodotto da Fenix Entertainment e vedrà impegnato nelle riprese un cast di livello internazionale. Incontriamo l’autore, molto soddisfatto dei riconoscimenti che il cinema gli sta dedicando.

Quale importanza assume nel suo lavoro di scrittore questo forte interesse da parte del cinema?
Mi fa molto piacere tutto questo interesse per le mie storie. In fondo, mi sono laureato in Storia del cinema, amo il cinema e forse il mio sguardo e il mio modo di scrivere sono stati influenzati da questo linguaggio espressivo. I miei libri, dunque, si prestano “naturalmente” a una trasposizione cinematografica. Spesso scrivo con un pensiero visivo, mi piace definire bene le scene, le ambientazioni, costruire i personaggi. Vederli davanti a me. Visualizzo tutto nella mia mente, e questo credo traspaia dalle pagine delle mie narrazioni, tanto che sto seriamente pensando di scrivere dei soggetti pensati esclusivamente per il cinema o per le serie televisive. Sono molto affascinato da questo nuovo modo di raccontare, dalla dilatazione temporale delle narrazioni che le serie tv consentono. Ho la sensazione che siamo agli inizi di questo intrigante percorso, in una sorta di preistoria di un linguaggio nuovo che si sta formando e che ci potrà regalare nel futuro delle grandi sorprese. Questo modo di raccontare e fruire storie si è imposto da pochi anni; penso che si apriranno delle strade non ancora conosciute e percorse in questa direzione. È una bella sfida, questa, per chi scrive storie, sì.

Parteciperà alla stesura della sceneggiatura di You Will Find the Words?
No, e credo che sia giusto così. Credo che un buon libro possa essere la base migliore per un buon film, ma film e romanzo hanno due linguaggi completamente diversi. Quindi la cosa migliore a mio avviso è sempre quella di lasciare la massima libertà espressiva a regista e sceneggiatore. Certo, è importante rispettare il senso della storia, ma il regista deve in qualche modo appropriarsene, farla sua, e se è il caso “tradirla”. Insomma, un film deve essere indipendente dal libro da cui è stato tratto. E poi, in questo caso, per me scrivere Le parole lo sanno ha implicato un forte coinvolgimento emotivo, personale, e mi risulterebbe molto difficile trovare lo sguardo distaccato che è necessario per fare volare alta la vicenda.

Quale la storia al centro di questo romanzo?
Narra di due persone che per motivi diversi pensano di essere arrivate a fine corsa. Sembrano senza speranza, fino a quando il caso li fa sedere sulla stessa panchina, immersa nella primavera dello stesso parco. Dopo le resistenze iniziali, cominciano a parlarsi, a raccontarsi. Sono i racconti che si scambiano a farla da padroni, tanto che pian piano i protagonisti iniziano a vedere le loro vite con occhi diversi e a ripartire. È la storia di un incontro, una storia di speranza quando sembra che tutto stia per crollare o sia già finito. Ed è una storia d’amore, da anni volevo raccontare cosa per me significa amore in un mondo complesso – e digitalizzato – come il nostro. Ho lavorato molto sulla costruzione dei personaggi e poi ho lasciato “fare a loro”. Mi sono messo ad osservarli e il romanzo è uscito praticamente da sé. Sono molto curioso di scoprire come diventerà questa storia al cinema. Ma sono felice, perché sono in buone mani. Stimo moltissimo il lavoro di Peter Webber e Alessandro Camon.

Ci sono altri suoi romanzi che vedrebbe bene adattati per il grande schermo?
In realtà c’è un forte interesse per l’ultimo mio lavoro, La lezione, vicenda incentrata su una dinamica di stalking, in cui però a un certo punto la vittima si ribella come può, aprendo a conseguenze per lei inattese, che deve imparare ad affrontare da sola. Ci stiamo lavorando, sono ottimista. Ci stiamo confrontando con una grossa casa di produzione che ha compreso e “sentito” il messaggio profondo di questa storia. C’è stata sintonia fin da subito; incrociamo quindi le dita! Il romanzo si presterebbe tra l’altro facilmente a meccanismi di tipo seriale.

È stato mai tentato dal lavorare al cinema come attore, o come regista?
Ci sto pensando. Sicuramente non come attore, non ne sarei in grado. Sto però scrivendo delle storie specifiche per il cinema, dei soggetti. Per quanto riguarda la regia non so, ne sono attratto ma allo stesso tempo vivo con molto rispetto questo ruolo. Ci dovrei pensare. Forse per una mia storia ci proverei. Forse per il più intimo dei miei romanzi. Forse potrebbe essere una bella sfida, sì. Forse. Staremo a vedere.

Ph. Pierantonio Tanzola

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