Stella del Nord

L’universo intimo di Zaira Zarotti, dove la fotografia si fa pittura
di Mariachiara Marzari
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Sembrano proprio dipinti a olio e invece sono incredibili fotografie in cui emerge in una combinazione unica l’essenza della vita quotidiana. Zaira Zarotti, giovane veneziana, figlia d’arte, in questa intervsita ci parla del suo percorso artistico e del suo blog The Freaky Table.

La bellezza è fragile, destinata a cambiare e a svanire. Ciò che sembra perfetto è, in verità, imperfetto e transitorio

Toni caldi e vibranti, sfumature ombreggiate e profonda prospettiva, fondi scuri tagliati dalla luce del nord, naturale, realismo sorprendente, straordinaria maestria tecnica e attenzione minuziosa verso i dettagli. Non stiamo parlando della magnifica Arte Fiamminga, ma di qualcosa di inaspettato, contemporaneo e al contempo antico, che certamente ad essa si ispira. Sembrano infatti proprio dipinti a olio e invece sono incredibili fotografie in cui emerge in una combinazione unica l’essenza della vita quotidiana, l’intimità e la bellezza della natura, gli ingredienti per una ricetta, dettagli di tavole imbandite di oggetti antichi e frutti, ma anche la sacralità di un soggetto iconografico come una Madonna o un Santa. È il linguaggio o meglio l’estetica di Zaira Zarotti, giovane veneziana, figlia d’arte, che abbiamo incontrato distrattamente tra le pagine del D La Repubblica, con cui collabora regolarmente come freelance, e non abbiamo più smesso di seguire. Il suo blog, The Freaky Table, che ha fondato nel 2015, la consacra definitivamente come una delle food blogger più apprezzate sulla scena internazionale. La sua fotografia viene etichetta come still life, food photography e stylling, ma è fuori da ogni categoria, perché la sua cifra stilistica è unica. Lo testimoniano gli ultimi progetti in collaborazione con prestigiosi musei internazionali, come il Kunsthistorisches Museum di Vienna e il DomQuartier di Salisburgo, un originalissimo Art ReImagined, reinterpretazione in chiave personale di alcuni importanti dipinti delle collezioni dei suddetti musei, passando definitivamente a nostro parere dal linguaggio fotografico a quello artistico. E Venezia? Il suo legame è sempre fortissimo, vi consigliamo di non perdere il suo primo libro, Venezia tra cucina e atelier, edito da Elzeviro (2024).

zaira zarotti
© the freaky table

Iniziamo dal nome. Perché ha scelto The Freaky Table per rappresentare il suo lavoro?
Nel 2010, quando Instagram era agli albori e i blog erano ancora molto seguiti, scegliere un nickname era essenziale per costruire un’identità online e farsi riconoscere, soprattutto a livello internazionale. Stavo dando forma alla mia presenza nel mondo digitale, cercando un nome che rappresentasse il mio stile e la mia visione. Ho scelto The Freaky Table ispirandomi al testo della canzone della band sudafricana Die Antwoord «I fink u freeky and I like u a lot», che per me è diventata un vero manifesto: «Sei bizzarro, e mi piaci per questo». In qualche modo, mi ha aiutato a definire la mia idea di bellezza e unicità, nell’arte e nella vita.
Freaky per me è qualcosa di bizzarro, strano e unico nell’accezione più positiva del termine. Freaky è quel piatto scheggiato che viene lasciato in disparte perché diverso, ma che allo stesso tempo scheggiandosi è diventato qualcosa di nuovo. Niente è perfetto, niente rimane per sempre: la bellezza secondo me è collegata al concetto di impermanenza e agli effetti del tempo. All’epoca – sono passati 15 anni! – la food photography in Italia era ancora legata a un’estetica patinata e commerciale. Io, invece, mi sono inserita in questo settore con uno stile personale, ispirato all’arte e alla pittura che fanno parte del mio background. Ho introdotto un approccio nuovo, valorizzando ed estetizzando le imperfezioni del quotidiano per trasmettere calore e autenticità. Non volevo solo rappresentare il cibo – quello, per me, è sempre stato un pretesto – ma raccontare visivamente, in modo “freaky”, autentico e intimo, il mio mondo e la mia visione. Oggi i nickname online (e i blog) sono ormai superati, ma ho scelto di mantenerlo per continuità e riconoscibilità.

the freaky table
© the freaky table

La sua pratica intreccia tradizione e innovazione, estetica classica e gusto contemporaneo attraverso i linguaggi dell’arte, della fotografia, del lifestyle, del cibo. Come è nata questa passione e come si è andata definendo in uno stile così personale?
La mia passione è nata in modo spontaneo, quasi inevitabile, grazie all’ambiente artistico in cui sono cresciuta. Essere circondata dall’arte fin da bambina mi ha permesso di sviluppare una sensibilità visiva che, con il tempo, si è trasformata in un linguaggio personale. Il mio percorso di studi, dal liceo artistico all’Accademia di Belle Arti di Venezia, mi ha fornito solide basi nella tradizione artistica, mentre la mia formazione in fotografia alla CFP Bauer di Milano mi ha avvicinata a un’estetica più contemporanea. Il mio stile si è definito attraverso la sperimentazione, unendo l’attenzione alla composizione e alla luce tipica della pittura classica con un approccio più ludico e concettuale alla fotografia. Ho sempre amato l’idea della mise en scène, di costruire immagini che non si limitano a rappresentare la realtà, ma la trasformano in una sorta di sospensione temporale, invitando chi guarda a immaginare un mondo oltre il visibile.

I miei primi passi nella fotografia li ho mossi proprio a Venezia, grazie alla Biennale Teatro, dove ho lavorato come fotografa di scena. Questa esperienza mi ha portato a calcare diversi palcoscenici e a fotografare compagnie teatrali internazionali, lasciando un segno profondo nel mio modo di concepire l’immagine. Il teatro, con la sua capacità di raccontare storie attraverso la luce, il gesto e la scenografia, ha sicuramente influenzato la mia passione per la messa in scena allestita, che oggi è una parte fondamentale del mio lavoro. Il cibo è diventato uno dei miei soggetti privilegiati perché appartiene all’esperienza quotidiana di tutti, ma attraverso la fotografia può essere elevato ad oggetto estetico, trasfigurato in una nuova dimensione visiva. Questo intreccio tra tradizione e innovazione, tra arte e lifestyle, è ciò che probabilmente rende il mio linguaggio personale.

Da dove trae le sue ispirazioni?
Le mie ispirazioni arrivano dal legame profondo con il territorio in cui sono cresciuta e dall’arte, che non è solo un riferimento estetico, ma una parte essenziale del mio vissuto. La pittura preraffaellita, quella rinascimentale, barocca e fiamminga sono per me fonti inesauribili, così come il lavoro di molti artisti, sia storici che contemporanei, che continuo ad ammirare nonostante le loro visioni possano sembrare lontane dalla mia. Tra questi, Sally Mann, Sarah Moon, Francesca Woodman, Joan Fontcuberta, Roger Ballen, David Lynch, Julian Schnabel e tanti altri ancora. Oltre all’arte, mi lascio ispirare da mondi diversi: creativi, musicisti, artigiani, youtuber e makers che negli ultimi anni hanno trovato nel web un mezzo per far conoscere e diffondere il proprio lavoro. L’ispirazione può arrivare da qualsiasi cosa: dalla musica, dal tempo atmosferico, da frammenti di quotidianità che evocano un mood particolare. Ma prima di ogni altra cosa, il mio vero centro è la natura. In particolare il mondo dei fiori e delle piante (soprattutto quelle edibili!) rappresenta per me una costante fonte di ispirazione, influenzando non solo i miei still life, ma anche la mia cucina.

the freaky table
© the freaky table

Venezia: quali suggestioni offre al suo lavoro la sua città? E quali luoghi in particolare sono imprescindibili per lei?
Per quanto riguarda la fotografia, di cibo ma non solo, il mio legame con il Veneto, e in particolare con Venezia, è inevitabile. La cucina tradizionale della mia regione, ricca di storia e contaminazioni, è un tema che mi appassiona da sempre. Il mio interesse per la cucina e la storia gastronomica veneziana è un aspetto che, unito alla fotografia e alla storia artistica della mia famiglia, mi ha portata alla pubblicazione del mio primo libro, Venezia tra cucina e Atelier, edito da Elzeviro. È un ricettario che esplora l’incontro tra la dimensione ancestrale della cucina lagunare e quella più misteriosa – a tratti esoterica – dell’atelier d’artista. Un lavoro che rivela le radici della cultura veneziana, mettendo in luce le alchimie segrete di due mondi apparentemente distanti ma in realtà profondamente legati tra loro. Quindi, per rispondere alla domanda, Venezia mi offre molteplici suggestioni, che arrivano sia dalla sua ricca storia gastronomica che, soprattutto, dalla sua tradizione artistica. Nessun luogo è imprescindibile, ma certamente ho diversi luoghi del cuore che per me sono “casa”. Per citarne almeno uno, il Museo Fortuny ad esempio.

Del cibo non si può più quasi parlare, vista la sovraesposizione mediatica, tuttavia il suo modo di raccontare un piatto attraverso le immagini lo rende un’opera unica, esclusiva. Come costruisce la narrazione di una ricetta, dagli ingredienti alla tavola?
Come dicevo, la fotografia e la messa in scena fotografica possono in qualche modo elevare esteticamente qualsiasi soggetto, l’importante per me è raccontare una storia che possibilmente vada oltre alla semplice descrizione di esso, sia questo un fiore, un piatto, o quant’altro. Quando fotografo una ricetta ciò che per me è davvero interessante è inserirla all’interno di un contesto che possa rafforzare il mood che intendo descrivere. Ecco che lo styling, quindi gli oggetti di scena, i fondali, i tessuti, i piccoli elementi che entrano in campo sono importanti e necessari a costruire la narrazione.

A proposito di tavola e di ricette, ci avviciniamo alla primavera e alla Pasqua. Come la influenza questo periodo? Cosa ci racconta la sua tavola?
Amo la primavera! Per me è un periodo che coincide con un risveglio (anche interiore), una sorta di rinascita e celebrazione. Celebro anche la venuta al mondo di Flora, la mia bambina, il cui nome credo dia abbastanza l’idea di quanto io ami questa stagione e tutte le bellezze che offre. Le fioriture sono sempre un’affascinante suggestione, ma anche le primizie di stagione e specialmente le piante edibili selvatiche. La mia tavola si colora di verde con i bruscandoli (i germogli del luppolo) e le cime di ortica bianca, ottimi per fare fantastici risotti o frittate. Ma anche moltissime altre erbette spontanee di campo, la cui conoscenza ho appreso grazie a mio nonno Giovanni.

zaira zarotti
© Art ReImagined

Soggetto ricorrente sono i fiori, che nelle sue immagini assumono il carattere tipico della pittura seicentesca, in particolare fiamminga, in bilico tra l’esplosione della fioritura e la caducità immanente. Oltre l’immagine esteticamente perfetta, quale significato profondo assumono le sue opere?
È bello pensare che le mie immagini vengano percepite come esteticamente perfette, perché in realtà raccontano proprio l’opposto: la bellezza è fragile, destinata a cambiare e a svanire. Ciò che sembra perfetto è, in verità, imperfetto e transitorio. Per me l’atto creativo è un gesto puro e meditativo, in cui il significato si stratifica e spesso affiora in modo quasi inconscio. Mi piace pensare ai miei still life come a dei portali temporali: ci invitano a contemplare il tempo nel suo duplice volto. Da un lato il “qui e ora”, con le fioriture catturate nel massimo splendore; dall’altro un tempo passato, evocato dalla nostalgia di atmosfere decadenti o dagli oggetti di scena, che spesso rimandano a un mondo antico. Attraverso queste immagini cerco di esplorare quella sottile sospensione tra la vita e il suo svanire, tra la bellezza e la sua ineluttabile trasformazione.

Ricerca continua per accrescere il suo personalissimo linguaggio. Quali le nuove sfide e i progetti in cantiere?
Sì, la mia ricerca è in continua evoluzione, anche perché i media cambiano a una velocità impressionante. Esplorare più campi è fondamentale per continuare a crescere artisticamente. Negli ultimi anni il mondo del food, pur essendomi stato caro, non è più al centro del mio lavoro. Ho spostato il mio focus su altri progetti, esplorando anche nuovi linguaggi, come il video ad esempio. Attualmente sono impegnata nello sviluppo di Art ReImagined, un progetto fotografico nato nel 2024 in collaborazione con musei d’arte internazionali. L’obiettivo è dare nuova vita ai capolavori delle collezioni museali attraverso fotografie artisticamente messe in scena. Condividendo dettagli sugli artisti e sulle loro opere, voglio valorizzare i tesori della storia dell’arte e stimolare la curiosità del pubblico. I social media offrono un’opportunità unica per avvicinare le persone all’arte e questa proposta è stata accolta con entusiasmo da istituzioni e musei, portandomi a realizzare lavori su commissione per il Kunsthistorisches Museum di Vienna e il DomQuartier di Salisburgo. Il prossimo progetto sarà con lo Staatliche Museen di Berlino.

Immagine in evidenza: © the freaky table
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