Aspettando Carpaccio

Tre visioni attorno a San Giorgio e il drago
di Redazione VeNews

Il duello di Giorgio e il Drago della Scuola Dalmata raccontato da Giandomenico Romanelli, San Giorgio e il drago a San Giorgio Maggiore secondo Augusto Gentili e l’omaggio in chiave contemporanea di Ai Weiwei al grande pittore veneziano: tre visioni in attesa della mostra Vittore Carpaccio. Dipinti e disegni, a Palazzo Ducale dal 18 marzo al 18 giugno.

Il duello di Giorgio e il drago alla Scuola Dalmata

Il più celebre dei dipinti del primo ciclo di Vittore Carpaccio per la Scuola Dalmata dei santi Giorgio e Trifone, universalmente nota come Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, è quello de Il duello di Giorgio e il drago (1501-02). Giorgio, giovane cavaliere biondo e senz’elmo, viene colto dal Maestro nell’istante esatto in cui la sua lancia uncinata entra attraverso la bocca nel cranio del drago, sfondandolo. Tutto è perfettamente immobile, l’universo intero si blocca al fragore del legno che si conficca nel corpo del mostro e si spezza, come nella celebre pagina degli apocrifi al momento della nascita di Gesù: silenzio e immobilità. Le bocche degli agnelli che bevono al torrente restano sospese, le onde del ruscello si fermano, così come gli astri, gli uomini, i rettili, le navi, gli uccelli. Giorgio appare appena accigliato, concentrato sul suo obiettivo, caricato come una molla, assecondato dalla sua cavalcatura a far sì che lo sforzo produca il massimo effetto.
Ma attorno ai protagonisti c’è un mondo intero pronto a riprendere il suo moto incessante: serpenti e ramarri, navi a vele spiegate, gli abitanti di Selene che solo dopo il dramma troveranno il coraggio e la forza di manifestarsi, anzi: di montare una festa con trombe e tamburi.

Il duello di Giorgio e il drago, Vittore Carpaccio (1501 ca.) Scuola Dalmata dei SS Giorgio e Trifone, Venezia

Nella Legenda aurea Jacopo da Varagine narra di una città della Libia, Selene, tormentata da un drago cui gli abitanti sono costretti a consegnare il tributo di due pecore al giorno per saziarlo e vivere in – relativa – tranquillità. Finite le pecore si è costretti a passare ai giovinetti: ecco i resti sparsi sul terreno mescolati ai crani degli ovini che fanno da orribile tappeto allo scontro (qualcuno, con una punta di malizia, potrebbe ricordare certi pavimenti in mosaico delle ville romane con i resti del cibo sparsi alla rinfusa). La sorte, a un certo punto, fa sì che il sacrificio tocchi alla figlia del re. Il padre tenta in tutti i modi, senza risultato, di scongiurare quest’epilogo, ma la cosa sta per provocare una ribellione dei sudditi: «se non permetterai che questa muoia come gli altri, bruceremo te e la tua casa». Non c’è nulla da fare. Eccola, la giovane principessa un po’ arretrata, in piedi su una balza del terreno, le mani giunte non a invocare pietà a Dio Padre (è ancora pur sempre pagana!) ma rassegnata, in attesa di essere brutalmente sacrificata. Ma è arrivato appena in tempo Giorgio (“che per caso passava di là”) e anche se lei lo consiglia più volte di girare alla larga, egli ingaggia col mostro una sfida mortale, vincendola. I simboli abbondano e sovrabbondano: dall’albero metà morto e metà vivente, ricorrente nella simbologia cristiana a indicare la vecchia e la nuova legge, alla serie intera di animali che si cibano dei resti umani e che hanno ciascuno una qualificazione morale, alle piante, dalle navi a vele spiegate o in rada, per non parlare delle architetture e dei differenti e variatissimi edifici che popolano il paesaggio.

di Giandomenico Romanelli*

*Tratto da: La Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone di Giandomenico Romanelli, Lineadacqua, 2021

Carpaccio all’Abbazia di San Giorgio

Il San Giorgio e il drago di San Giorgio Maggiore è un dipinto poco visto: non sta in chiesa ma in una sala relativamente “riservata”, un tempo coro d’inverno o coro di notte, poi detta “sala del conclave” giacché per oltre tre mesi a cavallo tra 1799 e 1800 – occupata Roma dai francesi e garantita Venezia dagli austriaci – vi si tenne la travagliata assemblea cardinalizia che portò all’elezione di papa Pio VII Chiaramonti.
Alla scarsa considerazione generale, che appare francamente incomprensibile per chi ne abbia diretta conoscenza, contribuisce forse la convinzione diffusa – soprattutto nella vecchia saggistica, ma talvolta anche in contributi più recenti – che il dipinto provenga dall’abbazia benedettina di Santa Maria del Pero a Monastier nella marca trevigiana.

San Giorgio e il drago, Vittore Carpaccio Venezia
San Giorgio e il drago, Vittore Carpaccio (1516) Abbazia di San Giorgio Maggiore, Venezia

Questo San Giorgio e il drago, firmato e datato 1516, è inoltre un’opera poco stimata, generalmente liquidata come replica variata del celebre San Giorgio e il drago eseguito ai primi del secolo per la fraternita dalmata. Se considerato nel suo momento e nel suo contesto, recupera invece tutto il suo spessore e la sua autonomia, offrendo – anche rispetto al suo indiscutibile “prototipo” – una serie di elementi di assoluta novità che rimandano al monastero benedettino di San Giorgio Maggiore e alla sua cultura religiosa.
Il dipinto presenta in primo piano il duello di San Giorgio col drago, desunto nei tratti essenziali, come al solito, dalla raccolta di leggende di santi costituita nel XIII secolo da Jacopo da Varagine, la celebre Legenda aurea, poi diffusa in un numero sterminato di edizioni a stampa, soprattutto in volgare col titolo Legendario de sancti. Ridotti al minimo i dettagli orrorifici di resti umani e animali, e quasi nascosta dietro un albero la principessa con l’agnellino dell’innocenza, della mansuetudine e del sacrificio fortunosamente evitato, il clou della vicenda sta nel confronto tra due potenze incompatibili e inconciliabili: il cavaliere cristiano e la bestia diabolica, il cavallo dall’occhio languido e il drago dall’occhio infuocato e iniettato di sangue. […]

di Augusto Gentili*

*Testo tratto dal catalogo della mostra: Carpaccio. Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria, (Conegliano, Palazzo Sarcinelli, 7 marzo-28 giugno 2015), Marsilio, 2015

Il tormento e l’estasi di Ai Weiwei

Anche Ai Weiwei (Pechino, 1957), e non poteva essere diversamente, nell’attraversare con le sue opere tra fine agosto e fine novembre 2022 gli spazi monumentali della Basilica palladiana di San Giorgio e dell’omonima Abbazia benedettina nella mostra La Commedia Umana – Memento mori, promossa e organizzata da Fondazione Berengo, Benedicti Claustra Onlus e Galleria Continua, e dominata dall’immenso suo lampadario in vetro di Murano, immaginiamo abbia subito il “folgorante” fascino dell’arte veneziana e in particolare di uno dei mostri sacri della pittura, Vittore Carpaccio.

Ai Wei Wei omaggio a Carpaccio
Untitled (Saint George slaying the dragon), Ai Wei Wei (2022), Abbazia di San Giorgio Maggiore, Venezia

Che sia stata la sindrome di Stendhal o la sua proverbiale ironia che utilizza la provocazione come profonda riflessione sul nostro contemporaneo, ma Ai Weiwei, a conclusione della mostra, ha deciso di realizzare una speciale copia della pala di Carpaccio San Giorgio che uccide il drago, custodita nell’Abbazia.
La potenza della pittura di Carpaccio suscita nell’artista la voglia di mettersi in gioco, realizzando “a modo suo” un’opera 1:1 dell’originale in Lego. Untitled (Saint George slaying the dragon), commissionata proprio dai benedettini, approfittando del temporaneo prestito della pala alla incredibile mostra dedicata al Carpaccio appena conclusa con enorme successo a Washington e presto, dell’attesissima mostra di Palazzo Ducale, che aprirà il 18 marzo, rimarrà visibile nell’Abbazia fino al ritorno dell’originale, il prossimo 18 giugno.

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