Basta un poco di zucchero

La ricetta perfetta di Rita Chimetto Alajmo
di Fabio Marzari

Impossibile far finta che non sia tempo di Carnevale. Da settimane ogni pasticceria, bar, fornaio hanno in vendita le frittelle nelle differenti varianti: veneziana, alle mele, con crema, pistacchio, ricotta, cioccolato e quant’altro. Venezia d’altronde è la patria delle fritole e la tradizione sembra reggere bene, nonostante le onde d’urto salutiste sempre in agguato a ricordare le troppe calorie ingurgitate. Incontriamo Rita Chimetto Alajmo, custode della tradizione dalle abilissime mani.

Altro dolce tipico del periodo sono i galani, o crostoli, o denominati con svariati altri sostantivi ancora a seconda della parte d’Italia in cui sono preparati. Anche per i galani, così come per le frittelle, ci sono assolute eccellenze e altrettante mediocrità; noi abbiamo la fortuna qui di poter raccontare la storia dei galani più buoni del mondo – l’iperbole è doverosa –, una scoperta fatta quasi per caso durante uno degli ultimi giorni di Carnevale un po’ di anni fa, al Caffè Quadri in piazza San Marco. La ricetta e l’esecuzione sono affidate alle mani abilissime della signora Rita Chimetto Alajmo, madre di Laura, Raffaele e Massimiliano, che per chi anche solo superficialmente conosce la cucina di primo livello internazionale non hanno certo bisogno di alcuna presentazione. Come le madeleine per Proust, chiedo venia per il paragone tanto illustre, i galani della Signora Rita hanno riportato al mio cuore e al mio palato un gusto familiare, magnifico, che pensavo non avrei mai più potuto ritrovare, ovvero i galani che faceva mia madre.
Doveroso quindi chiedere direttamente alla signora Rita Alajmo come riesca a realizzare questi piccoli splendori per il palato. Ne è scaturita una piacevole conversazione sull’onda dei ricordi, il racconto di una famiglia iconica nel mondo della ristorazione che non è certo arrivata in vetta senza fatica e spirito di sacrificio. Talento certo, ma altrettanta abnegazione e profonda passione. Come dire, non basta nascere Alajmo per diventare Alajmo.

Signora Alajmo, come riesce a fare questi galani a dir poco sublimi?
I galani ho imparato a farli così da mia madre che, come capitava allora, non seguiva una particolare ricetta; anche quando preparava il classico dolcetto per casa in quattro e quattr’otto gli ingredienti erano messi ad arte, con casualità solo apparente. Ho provato quindi a scopiazzare la sua ricetta non codificata e nello stesso tempo ho iniziato a segnare i pesi e le giuste quantità degli ingredienti, in modo da ricavare delle dosi ottimali. Così un po’ alla volta sono riuscita a ricostruire la ricetta di famiglia, mettendoci poi anche del mio.
Fondamentale per i galani è la cottura nell’olio tenuto alla giusta temperatura, come altrettanto fondamentale è cambiare l’olio, rigorosamente di oliva, alla fine di ogni cottura. Usando l’olio di oliva la resa è decisamente superiore, vietato l’olio di semi. I crostoli (la signora non è veneziana, quindi per lei sono “crostoli”) hanno una cottura veloce, devono essere adagiati nell’olio bollente, subito girati e tirati fuori. Per evitare che si creino bolle che potrebbero riempirsi d’olio, la pasta va forata prima della cottura e lo spessore della pasta deve essere sottile, al punto da rendere quasi impalpabile il tutto, ma senza che si spezzino appena li si prende in mano. In superficie devono rimanere solo quelle piccole bolle che sono piacevoli anche alla vista; l’aria al loro interno li fa sembrare ancora più croccanti. La morbidezza, la sofficità e il sentore di piacevolezza al palato devono essere una caratteristica irrinunciabile dei crostoli. Sono stata sempre attenta a tutte le fasi di preparazione; ho provato e riprovato finché non ho ottenuto quello che desideravo. Ho infine messo a punto la ricetta e la ho insegnata ai ragazzi. Fino a due anni fa ero io a farli; ora ho delegato, ma sempre sotto il mio vigile controllo! È un lavoro faticoso: vanno preparati uno ad uno, tagliati, fritti, asciugati. Una volta adagiati sul vassoio a completare il tutto vanno cosparsi di zucchero granulato, non quello a velo, proprio come faceva mia mamma.
Le frittelle invece risultano un po’ più semplici da realizzare: una volta preparato l’impasto si utilizza una friggitrice più grande, non vanno gestite una alla volta come i galani. Si cuociono più lentamente, ma nel complesso risulta più semplice la loro realizzazione, stante il fatto che l’impasto va preparato con cura meticolosa e ogni ingrediente deve essere dosato in maniera precisa.

Oltre alla cucina, quello che rende me e mio marito orgogliosi è essere riusciti a trasmettere ai nostri figli il senso della fatica, l’umiltà, il traguardo da raggiungere senza temere di sporcarsi le mani tutti i giorni

Non le chiedo la ricetta esatta, meglio gustarli già fatti, senza il rischio di commettere errori. Essere madre di Massimiliano, uno tra gli chef più talentuosi al mondo, immagino sia motivo di giusto orgoglio. È lei ad aver trasmesso la passione per la cucina a suo figlio?
Va detto che Massimiliano da bambino non mi abbandonava mai. Ricordo quando aveva cinque anni e abbiamo deciso di iscriverlo alla “primina”, iniziando un anno prima del previsto la scuola elementare. Avevamo appena rilevato il locale che allora si chiamava Aurora, le odierne Calandre; abitavamo a Ponte di Brenta, dove mio marito dirigeva Le Padovanelle, e io dovevo gestire tre bambini al meglio, non facendo loro mancare le attenzioni necessarie. A Massimiliano non piaceva andare all’asilo, quindi lo abbiamo iscritto in una scuola privata per fare la prima anticipata, mentre i suoi fratelli più grandi, Laura e Raffaele, andavano a scuola vicino a casa. Prima di andare all’Aurora portavo il piccolo a scuola, a Santa Rita, facendo il giro di Padova, visto che abitavamo dalla parte opposta rispetto al locale che si trova a Sarmeola. Per fortuna la maestra di Massimiliano, che abitava vicino a noi, lo riportava a casa. Nello spazio della mattina dovevo organizzare la gestione della cucina, cambiando quello che non mi andava bene e rimodulando il tutto secondo le mie idee. Un tempo il sabato era il giorno di chiusura e ne approfittavo per preparare una marea di torte con l’aiuto di mia mamma, senza macchinari, senza niente, una cosa spettacolare. Con solo un frullatore – non so come riuscissimo! –, facevamo anche trenta o quaranta torte per volta da mettere in vendita la mattina successiva. Non c’erano tutte le attrezzature di oggi, solo dei normali frigoriferi, ma puntualmente ogni domenica non ne rimaneva neppure una, vendute tutte!
L’Aurora era anche un albergo, molti nostri clienti erano agenti di commercio e spesso chiedevano al mattino per colazione di poter avere le stesse torte che la sera precedente avevano trovato nel carrello dei dolci. Queste insistenti richieste mi hanno portata a cercare dei piccoli stampi per preparare delle paste per la colazione, delle monoporzioni, così come ho anche capito che era giunto il momento di fare dei corsi, che non potevano però durare più di un giorno e mezzo perché non potevo staccarmi dagli impegni familiari. Così le torte via via sono diventate più decorate, presentate sempre meglio; non bastava più offrire dei dolci come quelli fatti a casa.
Tornando a Massimiliano, quando il sabato portavo con me i bambini all’Aurora, Laura e Raffaele giocavano fuori, invece lui stava sempre al mio fianco mentre preparavo tutte quelle torte per la domenica. Non c’era verso che si distraesse giocando o facendo altro, lui voleva stare con me. Aveva cinque anni e mi diceva che voleva fare i biscotti. Allora preparavo l’impasto e glielo davo, gli insegnavo come lavorarlo e lui apprendeva molto in fretta. È partito così.

Sto scoprendo dal suo racconto che lei ha saputo innovare molto in cucina. È chiaro da chi i suoi figli abbiano imparato al meglio la lezione di una cucina di alta qualità da curare in ogni minimo suo dettaglio…
Qualche idea buona credo di averla avuta. Sono partita, come mi pare si sia ben capito, dai dolci. Oltre che farli adoro mangiarli, anche se sono attenta a non esagerare come invece vorrei poter fare! In cucina ho iniziato a proporre piatti vegetariani più di quarant’anni fa, quando si può dire neppure si sapeva cosa fossero o quasi. Malgrado la tartare di carne che prepara mio marito sia a detta di molti straordinaria (ndr: lo è!!), sono più di quarant’anni che non mangio carne, solo un po’ di pesce e sono felice della mia scelta. Io preparavo i piatti per i clienti e devo dire che erano molto apprezzati; mio marito faceva da cavia nei miei esperimenti. Ci siamo sempre aiutati e siamo felici di essere arrivati fin qui. Quanti ricordi… Mi sovviene ora l’immagine di Massimiliano piccolino, avrà avuto un anno circa, seduto nel seggiolone che si arrampica sul tavolo della cucina e guarda il piatto di suo fratello Raffaele, che ha sei anni più di lui, inevitabilmente più ricco e abbondante. Vedendolo si disperava, anche lui voleva il piatto stracolmo, impossibile placarlo fino a quando il suo piatto diventava come quello del fratello. Oltre alla cucina, quello che rende me e mio marito orgogliosi è essere riusciti a trasmettere ai nostri figli il senso della fatica, l’umiltà, il traguardo da raggiungere senza temere di sporcarsi le mani tutti i giorni. Lavorare con amore, con gioia. Penso stia un po’ anche in questa eredità che abbiamo saputo trasmettergli il segreto del loro successo.

[Intervista da Venezia News n. 260/261, febbraio 2022]

 

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