Racconti d’estate in città

Istantanee da una Venezia passata
di Fabio Marzari

Alessandro Zoppi appartiene a quella stirpe di veneziani che incarnano al meglio il carattere della città, aperta al mondo ma anche gelosa e fiera delle proprie tradizioni. Dalla sua viva voce raccogliamo (a episodi) una serie di racconti della Venezia di un tempo, vivida e splendente nei ricordi di chi l’ha vissuta.

Iniziamo un percorso nel tempo in cui Venezia era ancora una città viva e popolata, con molti bambini per strada, brulicante di attività e capace di convivere con il suo passato senza per questo condizionare pesantemente il suo presente. Ma non vuole essere un’operazione nostalgica, al contrario un racconto basato su accadimenti reali condotto sul filo delle parole di un veneziano doc, Alessandro Zoppi, che ha avuto il privilegio di attraversare lo splendore di una normalità che aveva il carattere dello straordinario, senza rimanerne ingabbiato. Alessandro appartiene a quella stirpe di veneziani che incarnano al meglio il carattere della città, aperta al mondo, ma anche gelosa e fiera delle proprie tradizioni, in grado di mescolare continuamente il registro alto della bellezza e dell’esclusività con quello non necessariamente più basso, meglio definirlo normale, della quotidianità in un contesto di meraviglia. Alessandro Zoppi è uno dei massimi esperti di storia del vetro di Murano, è un antiquario e collezionista di oggetti preziosi e rari che testimoniano un sapere unico ed originale, fragile e duraturo nei secoli. Un veneziano il cui sguardo non conosce confini e la cui eleganza è esercizio di pratica quotidiana, sic et simpliciter. «Per circoscrivere un’età da cui partire, penso a me verso la fine delle scuole elementari, più o meno in quinta. Le estati di allora erano stagioni lunghissime, che iniziavano andando al Lido in spiaggia nel mese di giugno, poi a luglio ci trasferivamo nella villa di Onè di Fonte, dove passavamo le nostre estati. Ma la bella stagione aveva un arco temporale ancora più esteso, partiva infatti da Pasqua e si protraeva fino alla Regata Storica, a settembre. La mia famiglia aveva un albergo e un ristorante e allora quasi tutte le attività ricettive chiudevano in autunno e restavano solamente gli operai a fare la manutenzione, molti di loro provenivano dal Friuli. Pensando al turismo di oggi con tutti i suoi eccessi, ricordo la qualità e il livello di allora, anche il turismo cosiddetto medio era educato e molto rispettoso.

Ho dei ricordi di ospiti inglesi che soggiornavano in albergo e si facevano lavare e stirare le camicie ed io, che curiosavo nella stireria che si trovava nel sotto tetto, sentivo le cameriere che commentavano «Varda ga tuti i polsi rosegai» (guarda ha tutti i polsi lisi)… e ancora i facchini che con sacchi di iuta sulle spalle trasportavano i blocchi di ghiaccio che arrivavano dalla fabbrica del ghiaccio alla Giudecca e i ventilatori con le striscioline di carta attaccate alle pale che orientavano la direzione del soffio. Quando gli ospiti uscivano dagli alberghi la sera per andare a cena in via XXII Marzo e a San Moisè verso San Marco era come un giardino di profumi, veramente eccezionale. Tornando alle ore diurne c’erano le infinite partite di pallone a San Stefano, in campiello Pisani, fino a quando capitava che arrivasse il vigile e sequestrava il pallone, ma la mia vera passione era la bicicletta, che potevo usare solo in campagna. A Venezia c’erano molte botteghe e nelle case spesso la gente amava stare seduta fuori a conversare: tutto questo mondo di artigiani, dai falegnami agli argentieri, tappezzieri, materassai e moltissimi altri che vedevo lavorare non poteva che colpire e attrarre la mia fantasia. Altra cosa buffa a pensarci per me bambino era l’Italia, cos’era l’Italia? Era quando si partiva per andare in campagna col seguito dei due bulldog che mio padre metteva nel portabagagli, bastava arrivare a piazzale Roma e si formava ogni volta un capannello di gente incuriosita da questi strani cani, che allora erano una assoluta rarità. L’Italia era quando uscivamo dal Ponte della Libertà, era quella l’Italia, per me esisteva Venezia! Nei canali si nuotava, almeno molti ne approfittavano per fare il bagno, ma ahimè mi era assolutamente proibito farlo. Trasgredivo solo quando potevo accompagnare le inservienti che portavano i tappeti dell’albergo in Laguna per lavarli, venivano messi a mollo in acqua, e allora era impossibile non approfittare dell’occasione per un bel bagno. Venezia era per me bambino un territorio da scoprire, c’era una parte della città in cui non potevo andare e quando mi recai di nascosto dai miei genitori con un mio amico alla Giudecca per la prima volta, avevo quasi 10 anni. Entrambi indossavamo i jeans e senza sapere una parola d’inglese ci fingemmo americani, forse perchè esplorando quel territorio per noi del tutto ignoto sentivamo le voci di qualcuno che additandoci diceva “vara i americani” (guarda gli americani) e così, sotto mentite spoglie, ho visto per la prima volta la Giudecca!» [Primo episodio]