Voglia di volare, piacere di atterrare

Da Venezia al mondo, i 100 anni dell'aeroporto Nicelli
di Camillo Tonini

In occasione del prossimo centenario dell’aeroporto “Giovanni Nicelli”, che cadrà nel 2026, è stata allestita una mostra che ripercorre l’affascinante storia dell’aerodromo lidense.

In occasione del prossimo centenario dell’aeroporto “Giovanni Nicelli”, che cadrà nel 2026, è stata allestita la mostra Da Venezia al mondo. Quando l’Italia mise le ali. Aeroporto Nicelli: 1900-1940, curata da Laura Alfieri e Giacomo Zamprogno con ricerche del Comitato storico diretto da Massimo Dominelli. È il primo appuntamento di un percorso d’esposizione suddiviso in tre tappe dal 2023 al 2025, ciascuna delle quali ripercorre i momenti più importanti dello storico scalo aeronautico lidense dall’inizio del ventesimo secolo sino ai giorni nostri, per poi confluire in un’unica esposizione permanente allestita negli interni dell’aerostazione. In questa prima tappa il salone principale del terminal e l’adiacente stazione carburanti hanno ospitato reperti storici, video, manifesti d’epoca, cartoline, testimonianze dell’aviazione veneziana dagli albori fino al 1940, e fotografie d’epoca raccolte in un catalogo corredato da un dettagliato excursus storico dell’aeroporto, inserito nel 2014 dalla BBC al terzo posto tra i primi dieci più belli del mondo.

Una passione antica quella di volare e vedere la città lagunare dall’alto anche quando mancavano i mezzi tecnologici. Nell’anno 1500, Jacopo de’ Barbari con un’operazione d’ingegno virtuale grazie alle nuove conoscenze della prospettiva e ai rilievi di una squadra di topografi, compone la grande veduta di Venezia “a volo d’uccello”, dove le linee di osservazione convergono su un punto stimato cinquecento metri sopra l’isola di Santo Spirito. Da allora molti gli epigoni che ritraggono “a volo d’uccello” o in pianta azimutale il complesso reticolo urbano circondato dalla laguna. Durante l’assedio del 1849, gli austriaci tentarono l’arma del bombardamento aereo da palloni aerostatici lanciati da una fregata al largo ma, trasportati dal vento, questi si dispersero in laguna, caddero in mare o esplosero in aria e non una bomba colpì la città. Con intenti più pacifici, nel 1911 gli Aerostieri del Corpo Regio diretto dal Comandante Reestivo dall’alto di palloni frenati fotografarono le diverse porzioni del centro urbano per poi ricomporle in un unico mosaico, il primo fotopiano di Venezia del quale si conserva una copia al Museo Correr. Nello stesso anno una macchina volante – un biplano Farmann – decolla dalla spiaggia davanti all’Hotel Excelsior al Lido; al comando il pilota automobilistico Umberto Cagno, che raggiunge e sorvola dopo qualche tentativo anche il cielo sopra Piazza San Marco.


I tempi di guerra che seguono moltiplicano le tragedie umane, ma accelerano anche le innovazioni tecnologiche che in questo periodo nel campo dell’aviazione si sviluppano rapidamente. Venezia, che ospita nel centro urbano, nelle isole della laguna e nell’immediata terraferma fortezze, caserme, polveriere, impianti di comunicazione, magazzini di rifornimento, la base navale e lo snodo ferroviario, subisce 42 incursioni aeree da parte dell’aviazione austroungarica e tedesca che ha base a Pola, la prima il 24 maggio 1915, l’ultima il 25 ottobre 1918. Venezia si attrezza con la contraerea sulle altane e reagisce con altrettanti attacchi partiti dai nuovi scali aereonautici realizzati sotto il controllo della Marina Militare alla Bazzera, Marcon e Campalto e per gli idrovolanti all’Isola di Sant’Andrea. Nel 1918 viene ricavato tra i bastioni del cinquecentesco Forte di San Nicolò un campo di volo e costruita la prima aerostazione attrezzata per accogliere una squadriglia francese di sei aerei Nieuport intervenuta in difesa della città.
Finita la guerra, nel 1926, dall’impiego esclusivamente militare, per l’intraprendenza dell’ingegnere Renato Morandi con i fratelli Bruno e Mario, l’aeroporto del Lido diventa il primo in Italia a utilizzo civile gestito dalla compagnia aerea Transadriatica che con uno Junkers F13 – monoplano interamente in metallo con alloggi chiusi per quattro passeggeri – inaugura il 18 agosto voli di linea trisettimanali nella tratta Venezia-Vienna.
L’iniziativa di Morandi, considerato padre dell’Aeronautica civile in Italia, ha successo. Alla sua figura e alle sue imprese aviatorie è dedicata una mostra a San Pietro di Feletto, suo luogo prediletto per la villeggiatura assieme alla famiglia.


Negli anni Trenta il traffico aereo si intensifica per il crescente flusso turistico portato a Venezia anche dagli eventi culturali delle Biennali d’Arte e della Mostra Internazionale del Cinema, ma a dare grande visibilità internazionale e richiamo giornalistico al nuovo scalo lidense, nel frattempo dedicato all’eroe dell’aviazione militare Giovanni Nicelli, è l’arrivo di uno Junkers 52 della Lufthansa atterrato il 14 giugno del 1934 con a bordo Adolf Hitler, venuto a Venezia per incontrare Benito Mussolini. Ai bordi della pista erbosa d’atterraggio camicie nere e camicie brune si mescolano sempre più frequentemente a dive, attori e produttori cinematografici, statisti e imprenditori che scelgono di raggiungere la città lagunare in aereo.
Per Venezia è arrivato il momento di costruire una nuova aerostazione che si avvalga di tutte le migliori caratteristiche che la voglia di volare e il piacere di atterrare richiedono e sono oramai a disposizione per questa nuova porta d’accesso, splendente vetrina delle moderne tecnologie e dei successi della politica nazionale e cittadina. Serviva un progetto architettonico innovativo, con linguaggio inedito, al passo coi tempi, “razionalista”, per il quale era stato stanziato l’investimento 800mila lire finanziato dalla Provincia di Venezia come capo-cordata, assieme all’Aereonautica Militare, Comune di Venezia e la nuova società di gestione Ala Littoria presieduta dall’imprenditore e appassionato del volo Umberto Klinger.
Non ci sono precedenti per questa nuova tipologia di edificio se non l’aeroporto di Ostia costruito nel 1929, decorato con le aeropitture di Gerardo Dottori e le suggestioni del progetto Stazione per Aeroporto presentato da Enrico Prampolini e da un gruppo di futuristi alla Triennale di Milano del 1933. L’incarico viene assegnato al colonnello dell’aereonautica militare Felice Santabarbara e all’ingegnere milanese Pietro Emilio Emmer, già affermatosi in città per le sue qualità professionali con il progetto avveniristico della “Città giardino” a Marghera. Rapidi i tempi di realizzazione. «Il magnifico edificio, lungo, basso e turrito – questa la descrizione apparsa nella «Rivista di Venezia» in occasione dell’inaugurazione del 4 febbraio 1935 – rappresenta una specie di connubio tra l’architettura civile e quella navale. Questa stazione è la migliore d’Italia, la più moderna e la più fornita, essendo stata costruita ex-novo secondo le esigenze delle sue specifiche funzioni». Anche gli arredi degli interni sono commissionati a Mario Emmer. L’articolo si chiudeva con la descrizione del «salone ampio e luminoso, dal pavimento composto con vaste tessere di marmi pregiati, la mobilia con le semplici linee del più armonioso stile novecento».


Per il decoro dei locali a pittura murale ci si affida a Giovanni Nei Pasinetti, nella sua carriera artistica da sempre sostenuto da Nino Barbantini, che aveva partecipato a diverse mostre a Ca’ Pesaro, ma che dal 1930 aveva sospeso la sua attività di pittore “a cavalletto” per dedicarsi esclusivamente al restauro, alla decorazione e all’arredamento di ambienti divenendo anche Presidente della Società Veneziana delle Arti Decorative. Alla Biennale del 1934, era presente nella sezione Arte italiana contemporanea con l’opera a pittura murale intitolata Motivo decorativo. Suoi i cinque tondi con la raffigurazione dei continenti nell’area del ristorante e suo nel salone del terminal il grande affresco monocromo con le tracce delle linee aeree dell’Ala Littoria in partenza da Venezia, punto d’incontro tra i voli dell’Europa centrale con quelli adriatici, da Tirana per le destinazioni balcaniche e da Roma, dove aveva sede centrale la società di gestione, per le rotte del Tirreno, del Mediterraneo orientale e per le colonie del nord Africa. Una vera e propria sintesi iconografica che rifletteva le ambizioni di influenza politica e di espansione commerciale del Regime e del gruppo imprenditoriale di Giuseppe Volpi per il rilancio della “Grande Venezia, Regina dell’Adriatico”.
Alle pareti – non c’era luogo più adatto – sei tele di Guglielmo Sansoni, detto Tato, pittore del secondo periodo futurista che nel 1930 aveva pubblicato La fotografia futurista e nel 1931 firmato con Marinetti il Manifesto dell’aeropittura. Già dal 1932 presente alla Biennale di Venezia, partecipava alla XIX edizione del 1934 con cinque sue opere assieme a Tullio Crali, Gerardo Dottori, Luigi Fillia, Enrico Prampolini, Beppe Santomaso nella Mostra degli aeropittori futuristi italiani, curata da Filippo Tommaso Marinetti. «L’importanza decisiva di un movimento italiano di aeropittuttura che in pieno trionfo della meravigliosa aviazione fascista – così Marinetti nella presentazione a catalogo – si astrae dalle forme terrestri già dipinte o cantate, per esprimere dinamicamente senza analisi con sintesi astratta, tutto il cielo esterno e interno della patria. Così aeropittori e aeropoeti salgono sempre più per insegnare ad amare dall’alto in basso, quel sorprendente fastoso e multiforme popolo di nuvole che Leopardi, Baudelaire ci avevano insegnato ad amare dal basso in alto, melanconicamente». Una recensione dei “due trittici” di Tato appare nel «Corriere della Sera» del 5 febbraio 1935, La stazione aerea più bella d’Italia inaugurata a Venezia nel nome del Duce e un’intera pagina gli viene dedicata con il titolo Tato alla XIX Biennale veneziana dal «Giornale d’Oriente» di Alessandria d’Egitto il 26 maggio 1934: «Se sopra un cielo rosso di tramonto o madreperlaceo d’alba, su un mare tranquillo o agitato, su una superficie terrestre distinta in volo, in cento tinte diverse, oggi, nella magia del colore turbina un’elica, freme un’ala, rugge e canta un motore, se un quadro ci offre queste nuove sensazioni, tutto ciò lo si deve a Tato». L’articolo, conservato nella Raccolta di Materiali dell’ASAC, Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia, è corredato dalle fotografie di alcuni suoi quadri presenti anche nella Fototeca dello stesso Istituto. Almeno due di questi soggetti, Il gigante e il pigmeo e Il calabrone si riconoscono nelle tele originali di Tato usate per l’arredo del salone centrale del Nicelli, mentre altri, come la tela che rappresenta un SIAI Marchetti in volo sopra l’Isola di San Giorgio, sono stati commissionati in seguito all’artista per questo ambiente.


Voglia di volare, ma anche di atterrare in uno scenario meraviglioso tra laguna e mare in vista di Venezia, incrocio di terminal delle principali compagni aeree internazionali e godere della sosta in un luogo elegante, di grande fascino, con moderni servizi e frequentato da una clientela esigente e raffinata. Questo fino ai primi anni di guerra, ai quali è seguito un periodo durante il quale il Nicelli, senza peraltro subire mai bombardamenti, è stato asservito di nuovo alle esigenze militari prima dell’Italia in guerra, poi dell’occupazione nazista durante la quale l’aerostazione è stata depauperata delle sue strumentazioni e degli arredi e negli ultimi giorni del conflitto anche minata. In seguito, inglesi e americani hanno continuato a utilizzare la pista e le residue strutture aeroportuali per la concentrazione e lo smistamento delle loro truppe in patria. Solo dopo il 1947 lo scalo lidense con la ripresa delle attività commerciali ritrova un altro periodo di crescita sostenuto anche dalle attività delle vicine Officine Aeronautiche, rilevate da Umberto Klinger per la revisione degli aerei e il ricondizionamento di residuati bellici ad uso civile che ha permesso di non disperdere il patrimonio umano di tecnici e operai altamente specializzati che era arrivato ad impiegare fino a 1200 persone.
Tra la metà degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, l’evoluzione tecnologica dei vettori aerei ha reso inadeguata la pista erbosa del Lido lunga quasi mille metri e così il traffico aereo commerciale di Venezia e dell’intera area del Nord Est è stato dirottato prima allo scalo di Treviso (1953) e poi a quello di Tessera (1961). Stessa sorte per le Officine Aeronautiche che nel 1974 vengono trasferite in terraferma.
Il Nicelli da allora viene utilizzato solo per ospitare velivoli privati compatibili agli standard di sicurezza che l’aeroporto offre, ma la voglia di volare viene sostenuta anche dall’importante ruolo di continuità dell’Aeroclub “Giannino Ancillotto” con la Scuola per piloti e paracadutisti che partecipa nel 1998 con la Save, il Comune di Venezia e la Camera di Commercio alla costituzione di una nuova società, la Nicelli S.r.l., intenzionata alla riqualificazione dell’aeroporto lidense.
Nel 2006 inizia l’avvio di importanti lavori di restauro affidati all’architetto Claudio Rebeschini e sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, che con attenzione filologica hanno restituito all’edificio le autentiche forme dell’originale architettura razionalista degli anni Trenta, rispettando e conservando tutti gli ambienti, comprese le terrazze e le pertinenze esterne. A rinfrescare il decoro interno delle pitture murali di Nei Pasinetti è stato l’artista Silvestro Lodi che ha riproposto anche i sei dipinti di Tato sulla base delle molte testimonianze fotografiche d’epoca in bianco e nero e rifacendosi, per l’esatto registro dei colori, ai materiali grafici del pittore futurista conservati grazie all’amorevole cura di Maria Fede Caproni al Museo dell’Aereonautica “Gianni Caproni” di Trento.
Dal 2019 con un riassetto societario a capitale esclusivamente privato e un rinnovato Consiglio di Amministrazione, il Nicelli punta ad un nuovo rilancio dello scalo lidense proponendosi come Meeting Hub per manifestazioni aeree e a ospitare eventi culturali e mostre in collaborazione con la galleria d’arte Nilufar di Nina Yashar che ha curato gli spazi interni con opere di importanti artisti contemporanei e lo ha arredato con mobili di design in consonanza con i fascinosi ambienti.
Per chi arriva in volo al Nicelli, ma anche più modestamente a piedi, in bicicletta o in macchina, il Fly Restaurant con vista sulla pista d’atterraggio offre un buon motivo per rendere la sosta ancora più piacevole.

Si ringraziano: Claudio Rebeschini, Pietro Lando, Silvestro Lodi, Leonardo Mezzaroba, Luisa Turchi, Giacomo Zamprogno, il personale dell’ASAC e del Museo Correr.

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