M’illumino di meno

Dalla prima illuminazione di Palazzo Ducale alla Giornata del Risparmio Energetico
di Camillo Tonini

La storia della luce di Palazzo Ducale dalla prima illuminazione artificiale ai led di oggi: una riflessione in vista della Giornata del Risparmio Energetico, il 16 febbraio 2023.

Le vulnerabili strutture lignee che innervano il Palazzo Ducale, gli enormi “teleri” che ricoprono per intero le vaste pareti (immagine in evidenza: Francesco Guardi, Sala del Collegio, Museo del Louvre), i fasci di carte che le magistrature della Serenissima producevano con continuità per il funzionamento dello Stato e della sua Giustizia, hanno costituito da sempre minacce reali e immanenti qualora il fuoco, usato per illuminare, cucinare e riscaldare, fosse sfuggito al controllo degli uomini. Le insidie maggiori si annidavano in quei locali all’interno della grande macchina architettonica destinati ad accogliere le attività di chi, come il doge con tutto il suo seguito, viveva la quotidianità del palazzo: dai lumini che ardevano davanti alle immagini sacre per la devozione religiosa, ai caminetti – in tutto il palazzo solo undici – per riscaldare gli ambienti durante le lunghe e rigide stagioni invernali, o le fiaccole per rischiarare i locali dove erano i Signori di notte al criminal – la polizia notturna della Serenissima – e gli uomini dei corpi di guardia. Bisognava, dunque, ridurre al massimo i rischi e concentrare nelle ore diurne tutte le attività istituzionali e celebrative all’interno dell’edificio per ricevere la luce che penetrava dai grandi finestroni esposti al giro del sole.
Quando la Repubblica abdicò al suo ruolo politico e di Stato, Palazzo Ducale, che ne era il suo simbolo, passò da luogo esclusivo della nobiltà veneziana e splendida dimora del doge a ospitare funzionari e impiegati che impartivano una giustizia non più solenne e paludata, esercitando un’amministrazione corrente, lontana dalle leve del potere.
Nel dicembre del 1821 un nuovo principio d’incendio – l’ennesimo nella storia dell’edificio – minacciò l’esistenza stessa del palazzo, il che indusse l’Imperatore d’Austria Francesco II a decretare che lo Statuario Veneto e la Biblioteca Marciana, trasferitisi dalla vicina Libreria Sansoviniana alle Procuratie Nuove, potevano mantenere i locali che erano stati assegnati loro solo qualche anno prima. Così il palazzo si avviava a diventare il museo di sé stesso, frequentato da un pubblico colto che veniva accompagnato nella visita alle memorie dell’aulico passato da un custode o, nelle grandi occasioni, da un fine erudito di civiltà veneziana quale era Emmanuele Cicogna, che nel 1857 fu incaricato di guidare per le sale monumentali l’imperatore Francesco Giuseppe con il suo seguito (Die Kaiser Reise nach Italien in “Illustrirte Zeitung”, 1857). Anche allora non mancavano quelli che alle bellezze artistiche del palazzo preferivano visitare i locali delle Carceri, dove mai la luce del giorno poteva penetrare, affascinati dai luoghi esaltati dalla “leggenda nera” di una Venezia implacabile giustiziera e feroce vendicatrice (Francesco Galimberti, Francesco De Pian, Pozzoprimo sotto l’ultima scala ove si imprigionavano li delinquenti per materia di Stato) .

Francesco Galimberti, Francesco De Pian, Pozzoprimo sotto l’ultima scala ove si imprigionavano li delinquenti per materia di Stato

John Ruskin arriva a Venezia per preparare il suo The Stones of Venice subito dopo la fine della parentesi democratica del 1848-49, quando il cruento assedio austriaco si era infine placato al cospetto di una città oramai spenta e rassegnata. Non c’è da stupirsi che egli, nella proclamata passione per il gotico, trovasse deturpante l’illuminazione che dal 1844, su proposta di una Società francese, rischiarava nelle ore notturne Piazza San Marco con la fioca luce alimentata a gas di centoquarantaquattro lampioni, alcuni dei quali montati anche nei pressi della Porta della Carta e lungo il loggiato inferiore dell’edificio (Luigi Querena, La prima notte di bombardamento 29 luglio 1849 – Dionisio Moretti, Piazza di S. Marco/veduta del Portico del Palazzo Ducale, metà sec. XIX).

Luigi Querena, La prima notte di bombardamento (sopra); Dionisio Moretti, Piazza di S. Marco/veduta del Portico del Palazzo Ducale (sotto)

Era questo il primo timido tentativo di dotare anche Venezia d’illuminazione pubblica stabile almeno nelle sue zone centrali, quando oramai questa era già in uso nelle più importanti città europee. Ai numerosi avventori che visitavano il nobile monumento, anche dopo l’introduzione di una tassa d’ingresso decisa nel 1873, rimanevano da scoprire i grandi spazi interni con il vantaggio della luce mutevole durante l’arco della giornata. Al mattino presto si preferiva ammirare le opere delle sale del Consiglio dei Dieci, della Bussola e del Senato; a mezzodì quelle del Maggior Consiglio e i marmi del cortile interno; si attendeva il pomeriggio, invece, per la sala dello Scrutinio, del Collegio e dell’Anticollegio.
Di Henry James, un abituale frequentatore di Venezia, sono alcune acute osservazioni contenute nella Lettera al fratello William del 1869, tuttora valide anche per il turista moderno: «Fortunatamente, tuttavia possiamo recarci a Palazzo Ducale, dove tutto è un tale luminoso splendore che il povero fosco Tintoretto è innalzato suo malgrado nel concerto generale. Questo edificio profondamente particolare è naturalmente la cosa più bella che ci sia a Venezia e una visita mattutina è una illuminazione meravigliosa. Scegliete l’ora – la metà del godimento a Venezia è costituita dall’evitare la gente – ed entratevi sulle una, quando i turisti vanno in gregge a colazione e le eco nelle incantevoli stanze si sono assopite tra i raggi del sole. Non vi è luogo più luminoso a Venezia – col che intendo dire che non vi è luogo che sia per metà così luminoso. Il sole rifrangendosi entra dalle grandi finestre salendo dalla laguna scintillante e splende e sfolgora sulle pareti e sui soffitti dorati. Tutta la storia di Venezia, tutto il suo passato maestoso, vi brillano intorno nella forte luce marina. Ogni cosa qui è magnifica, ma il Veronese è il più magnifico di tutti» (trad. Rosella Mamoli Zorzi).
In quello stesso periodo anche alcuni pittori frequentavano il palazzo in cerca delle più favorevoli condizioni di luce per riprendere i suoi interni. John Wharlton Bunney, presente a Venezia tra il 1877 e il 1882, ci ha lasciato un assolato Interno della Sala del Senato (John Wharlton Bunney, Sala del Senato, 1882, Sheffield City Art Galleries) ripreso nella luce del mattino e John Sargent la splendente tela con la Sala del Maggior Consiglio del 1898, (Singer Sargent, Sala del Maggior Consiglio, 1898 collezione privata) dove la calda luce del primo pomeriggio irrompe dai grandi finestroni e dal balcone che affaccia sul bacino illuminando le dorature del soffitto con le tele del Veronese. Sullo sfondo prende luce anche il Paradiso del Tintoretto, smentendo la sua fama di “pittore tenebroso” acquisita grazie ai “teleri” della Scuola Grande di San Rocco, che non potevano godere di altrettante generose condizioni di illuminazione naturale.

John Wharlton Bunney, Sala del Senato (sinistra); Singer Sargent, Sala del Maggior Consiglio (destra)

Anche i fotografi d’arte cominciarono a studiare e a conoscere i segreti delle luci del palazzo per ottenere immagini, impressionate nelle lastre con tempi d’esposizione non differenti da quelli impiegati dal pennello dei pittori dell’epoca (Sala del Collegio illuminata al tramonto, foto all’albumina, sec. XIX – Giovanni Battista Dalla Libera, Sala del Collegio a Palazzo Ducale).
La storia continua. Nel 1886 il conte Francesco Donà propone in Consiglio Comunale che venga creato a Venezia un primo stabilimento per la produzione dell’energia elettrica. A questa richiesta risposero alcuni noti imprenditori legati all’industria del turismo: Carlo Walter e Alberto Treves costituirono la Società di Illuminazione Elettrica di Venezia con una prima officina in Corte Barozzi – a pochi passi da Piazza San Marco – destinata all’illuminazione esclusiva dell’Hotel Britannia, dell’Hotel Bauer, del Caffè del Giardinetto Reale e del lampadario della Fenice. Nel 1890 dagli stessi venne creata con la Società Edison una centrale a vapore per la produzione dell’energia elettrica in Corte Morosina, situata ove oggi si trova l’Hotel Bonvecchiati, che serviva l’intera zona di San Marco, il Teatro Malibran e dal 1893 il Teatro La Fenice. Palazzo Ducale restava fuori da questo primo programma di elettrificazione, anche se le nuove esigenze dovute al cambio d’uso di alcuni ambienti imponevano che almeno una parte del palazzo fosse illuminata artificialmente.
In quegli stessi anni, inoltre, il prezioso monumento stava subendo radicali restauri, iniziati nel 1875, che si erano resi necessari per salvaguardare la sua stessa incolumità statica. Tra i tecnici che seguirono i delicati lavori di consolidamento prese parte Giacomo Boni, in seguito Direttore delle Antichità e Belle Arti presso il Ministero a Roma. Questi, in un suo libello del 1887 titolato Venezia imbellettata, con accorata preoccupazione denunciava la pericolosità d’incendi per Palazzo Ducale, anche perché nel frattempo vi si erano insediate alcune famiglie di custodi e addetti all’amministrazione e vi avevano trovato sistemazione la Stazione dei pompieri e l’Ufficio regionale per la conservazione dei Monumenti del Veneto – l’odierna Soprintendenza –, allora diretto da Federico Berchet.

Giovanni Battista Dalla Libera, Sala del Collegio a Palazzo Ducale (sinistra;) Sala del Collegio illuminata al tramonto, foto all’albumina, sec. XIX (destra)

«In origine i pericoli d’incendio in Palazzo Ducale erano inerenti alla sua attività di servizio, come abitazione del doge e della sua famiglia che avevano bisogno di focolari in cucina, di bracieri e di lumi negli appartamenti, lumi a olio, chiusi in fanali di lastre forse, ma che insomma ardevano. Se una parte veniva distrutta, bastava ricorrere all’arte contemporanea e ricostruire la parte distrutta con nuovi materiali forme.
Il Palazzo Monumento Nazionale serve ora anche la Biblioteca Marciana che vi aveva avuto nascimento nel secolo XV in Sala dello Scrutinio, ma che invase un po’ per volta quella del Maggior Consiglio, le Quarantie e i tribunali minori. Le sculture di un museo archeologico vennero fatte pesare su solai dell’appartamento del doge. L’Istituto Veneto, penetrando in Palazzo, trovò modo di dilatarsi dal Magistrato alle Acque al pianterreno fino alla Torricella del Consiglio dei X, coi suoi laboratori e un’esposizione industriale di cerini, carte da tappezzeria, occhiali, ecc… ».
Nel 1896 cominciarono finalmente i lavori di elettrificazione del palazzo, limitati ad alcune scale interne e alle aree della Stazione dei pompieri, della guardiania, degli uffici di Berchet, che fin dall’inizio suscitarono, tra la denuncia della profanazione dello storico edificio e il timore di nuovi disastrosi incendi, un’accanita reazione nelle pagine della stampa locale e in gran parte dell’opinione pubblica. Il 13 luglio di quell’anno, sulle colonne del quotidiano «L’Adriatico», compare un articolo titolato La luce elettrica nel Palazzo Ducale a firma di Antonio Vendrasco, il quale tuonava contro quella che agli occhi dell’autore era un’insensata innovazione: «Con un senso che più di meraviglia fu di disgusto abbiamo veduto in questi giorni un lavoro già abbastanza avanzato che a nostro avviso è un vero non senso poiché svisa la vera natura e toglie il carattere al più superbo edificio del mondo artistico, Palazzo Ducale. Intendiamo parlare della istallazione di luce elettrica che si sta ora con alacrità degna di causa migliore allestendo all’interno di Palazzo Ducale […] Si frenino i bollenti slanci di questi profanatori del tempio più bello dell’arte».
Nel 1904 si arrivò alla prima inaugurazione ufficiale della rete elettrica di illuminazione pubblica con lampioni in ghisa a terra e bracciali a muro che popolarono inizialmente Piazza San Marco e illuminarono da fuori e all’interno Palazzo ducale (Carlo Naya, Piazzetta San Marco).

Carlo Naya, Piazzetta San Marco (sinistra); Sala del Maggior Consiglio durante la Prima guerra mondiale, foto (destra)

Da allora, con la tragica interruzione delle due guerre, (Sala del Maggior Consiglio durante la Prima guerra mondiale, foto) l’articolazione di diversi percorsi espositivi, le nuove funzioni degli ambienti, l’ampliamento delle possibilità di visita oltre gli orari diurni, l’incremento di servizi necessari per accogliere masse di visitatori sempre più numerose, hanno richiesto alla complicata macchina del palazzo e a chi la dirige necessari adeguamenti per permettere che tutti i visitatori possano godere delle sue opere in ogni stagione e con ogni condizione di luce. Questa continua rincorsa all’innovazione tecnologica ha portato nel tempo soluzioni molto positive, come ad esempio la recente sostituzione delle lampadine ad incandescenza con i led – molto più economici – impiegati con mille attenzioni e altrettanta complessità in ambienti delicatissimi, di grandezza fuori misura ma utilizzati, a volte, nella moltiplicazione delle fonti luminose, con poco rispetto per il nobile monumento.
Nel frattempo è anche maturata una coscienza collettiva sulla sostenibilità ambientale dei processi di modernizzazione e, più di recente, una riduzione economica per lo strozzamento dovuto alla crisi energetica. Per il 16 di febbraio del 2023 è indetta la Giornata nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di vita sostenibili, promossa fin dal 2005 da una nota trasmissione radiofonica di Rai 2 in ottemperanza al trattato di Kyoto. In quel giorno il Palazzo Ducale di Venezia, che si propone come la città guida della sostenibilità, e tanti altri monumenti italiani e del resto del mondo per qualche ora s’illumineranno un poco di meno.

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