La caratterista di Dino Risi: cogliere lo Zeitgeist, lo spirito dell’epoca, con fulminea precisione satirica e inserirvi le (dis)avventure di personaggi guardati con un’oggettività antropologica che non esclude tocchi di complicità («Nel Gassman del Sorpasso io mi riconosco in pieno»). La marcia su Roma, poco apprezzato dalla critica superciliosa del 1962 (ma anche Risi, a torto o a ragione, espresse qualche riserva), s’inserisce in una grande stagione della commedia italiana che, a partire dal capolavoro di Monicelli La grande guerra, ripercorreva una storia recente d’Italia rimossa o sepolta sotto la retorica, e la iscriveva nei volti e nei corpi di antieroi popolari scaraventati dal destino nei nodi tragici delle vicende nazionali.
A La grande guerra occhieggia chiaramente La marcia su Roma, con la sua coppia di ‘lavativi’ (Gassman e Tognazzi) che aderiscono al fascismo per un misto di ingenuità e furbizia mal applicata, prendendo per buone le promesse demagogiche del programma fascista del 1919. Ed ecco allora la trovata vagamente brechtiana del manifesto del programma, con Tognazzi che cancella a uno a uno i suoi punti via via che la realtà li smentisce – e con un grande gesto plebeo di entrambi alla fine. Due sempliciotti opportunisti persi (molto alla Dino Risi, gran cantore degli irresponsabili) dentro una tragedia più grande di loro. Li circonda una serie di ‘tipi didattici’ sommariamente ma abilmente abbozzati, dal capitano (Roger Hanin) che rappresenta la frustrazione degli ex ufficiali al marchese proprietario agrario (Carlo Kechler), al caporione squadrista (Mario Brega) che concretizza l’aspetto più bestiale e sanguinario del fascismo.
Scritto da Maccari, Scola, Age, Scarpelli, De Chiara e Continenza, il film traccia a piccoli tocchi il quadro dell’insipienza di un governo pre-fascista che non vuole difendersi e altresì di un’incapacità delle forze popolari, adombrata nella divisione della famiglia stessa di Tognazzi. Lo stile fluido di Dino Risi (la sarcastica rivelazione in tre momenti del fallimento del comizio fascista!) presenta alcuni passaggi memorabili, come la pagina inquietante del risveglio dei due, abbandonati dai camerati, nella città notturna, quasi metafisica (ma non saranno metafisiche le botte che li aspettano). Con la fotografia di Alfio Contini (sette film con Dino Risi), vanno menzionati l’ottimo montaggio di Alberto Gallitti (il gioco fra diegesi e filmati storici è delizioso) e la bella score di Marcello Giobini giocata sulla contaminazione.
Risi, grazie alla sceneggiatura di Age, Scarpelli, Maccari, Scola, Continenza e De Chiara, e alle interpretazioni di Gassman e Tognazzi, esce vincente dalla rappresentazione di uno dei periodi più complessi della storia italiana ricorrendo al registro picaresco giÃ...