Colpevole di plagio

Il caso Braibanti, una storia dell’Italia oscurantista nel nuovo Amelio
di F.D.S.
  • martedì, 6 settembre 2022

La figura di Aldo Braibanti come intellettuale radicale di molteplici interessi tiene insieme alcune delle figure cardine della creatività artistica e intellettuale italiana: furono suoi amici, sodali o allievi Carmelo Bene, Sylvano Bussotti, Piergiorgio e Marco Bellocchio, Alberto Grifi, Lou Castel. Bene lo definisce «un genio straordinario e uno dei suoi tanti padri».
Questo intellettuale anti-fascista, partigiano, filosofo, poeta, artista, scrittore di teatro, regista vive sulla propria pelle, negli anni ’50, l’abbandono della militanza comunista e l’ingresso in una esistenza in cui l’esperienza estetica multi-disciplinare si identifica, per un certo periodo, con una esperienza di vita comunitaria nel laboratorio artistico del torrione Farnese di Castell’Arquato. Nello stesso tempo, a conferma di un ingegno lucidissimo e senza confini, diventava uno dei principali mirmecologi (studiosi di formiche) europei e numerose sono le testimonianze della cura maniacale con cui curava i formicai all’interno della sua casa.
Il processo per plagio (l’unico che si ebbe in Italia) che gli fu intentato nel 1968 dal padre del suo compagno, Giovanni Sanfratello, fu una tragedia processuale dietro alla quale si giocò una tremenda partita tra l’Italia regressiva e oscurantista e quella libertaria. Non è un caso che il suo più strenuo difensore fu Marco Pannella, che durante il processo mise in opera una vera e propria opera di contro-informazione per screditare le ignobili accuse lanciate contro Braibanti. Ma, al di là del gioco delle parti e della relativa discesa in campo della politica, della magistratura e dei servizi segreti da un lato e degli intellettuali italiani dall’altro (Pasolini, Morante, Moravia, Eco, Maraini), il processo fu il solito tritacarne mediatico (succedeva anche allora!) dal quale non si salvò nessuno.
Braibanti fu condannato a nove anni, anche se poi la pena fu scontata a due, e il suo compagno, con la complicità della propria famiglia, fu trasferito al manicomio di Verona dove verrà sottoposto a 40 elettroshock. Perché allora l’omosessualità si curava così. E Braibanti e Sanfratello diventarono i capri espiatori che l’Italia conservatrice e di regime sacrificò sull’altare della paura del cambiamento sociale agitato dal Sessantotto.

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