La scalata di un monte può trasformarsi in un percorso spirituale? Una possibile risposta a questo interrogativo, come alcune volte accade, la possiamo cercare a teatro. C’è infatti un monte che non rispetta le leggi della geometria euclidea: il Monte Analogo, narrato dallo scrittore francese René Daumal nel romanzo omonimo. A questa montagna si ispira lo spettacolo La vaga grazia di Eva Geatti, in programma il 27 settembre nell’Atrio di Palazzo Grassi, nell’ambito della seconda edizione di Asteroide Amor, rassegna nata dal progetto Giovani a Teatro della Fondazione di Venezia, e curata da Susanne Franco, Delegata della Rettrice alle Attività teatrali di Università Ca’ Foscari, e Annalisa Sacchi, Direttrice del corso di laurea in Teatro e Arti performative presso lo IUAV.
La vaga grazia narra un viaggio e s’interrompe proprio mentre gli alpinisti intravedono il primo campo base, appena intrapreso il vero e proprio percorso spirituale; non sappiamo quindi come si conclude la ricerca che per ognuno sarà unica, non riducibile, un movimento del tutto intimo e solitario. Il tentativo è quello di far affiorare la particolare forma di confidenza dei corpi e delle menti occupate in difficili imprese, lavorando una forma di libertà che permetta alla zona del verosimile di essere intravista. Il salto laterale che il poeta decide di compiere è quello verso la ricerca di sé stessi, verso l’infinitesimo; è il tentativo di cambiare qualcosa di radicale, il desiderio di percorrere un tracciato geografico verso l’interno.
La performer ed artista visiva Eva Geatti ha iniziato a lavorare a questo progetto nell’aprile 2021 con cinque giovani attori.
In scena, è presente un concerto di sintetizzatori, realizzato dal vivo da Dario Moroldo che guida gli attori in un’escursione che avviene nel mondo, ma che in verità fa inabissare lo spettatore, come ricerca totalizzante, calma e fervente. Un viaggio iniziatico e difficile verso l’autenticità dell’essere. La vaga grazia cerca una risposta ad una domanda che è molto difficile riuscire a formulare, eppure viene percepita come essenziale e concreta; un posto necessario da incontrare ma che rende le persone (spettatori) piccoli e spaesati di fronte all’universo e all’esistenza.