Autrice teatrale, regista, sceneggiatrice e musicista cilena di fama internazionale, Manuela Infante da anni indaga i confini tra l’umano e il non umano per poterli abbattere in un teatro non-antropocentrico. Con il KVS di Bruxelles ha prodotto Metamorphoses, uno spettacolo che parte da Ovidio e si chiede se la voce sia una prerogativa esclusivamente umana.
Scritto duemila anni fa, le Metamorfosi è un capolavoro pieno di mistero, ma allo stesso tempo anche un libro in cui donne e ninfe vengono inseguite dagli uomini, perdono la voce e si trasformano in pietre, acqua, animali… Il punto di partenza del pezzo di Manuela Infante è una domanda: come si produce il concetto di “umano” in queste storie?
Perché la natura è un territorio separato e perché le donne sono così facilmente espulse in questa alterità o natura selvaggia? Inventando un’alterità e associandovi le donne, l’“umano” viene delimitato come un luogo privilegiato per gli uomini. Queste stesse distinzioni non sono forse alla base delle argomentazioni degli uomini per permettere di categorizzare e quindi colonizzare per sfruttare o appropriarsi?
Infante crea un paesaggio sonoro incantato in cui la voce è una materia più che umana: è cosa presa in prestito dal vento, che intreccia esseri umani e non-umani in infiniti ventriloquismi, ritornelli ed echi interminabili, senza mai appartenere completamente a nessuno.