Più che un musicista, un’icona. Più di un cantante, un mito che non conosce crisi. Elvis Presley protagonista dell’ultimo film di Baz Luhrmann, per un film che non è semplicemente un film, ma una fotografia in movimento di un’epoca irripetibile e sempre viva.
Il genere del biopic musicale negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo mai avuto prima (solo negli ultimi tre anni sono usciti Rocketman dedicato ad Elton John, Bohemian Rhapsody sui Queen, Stardust sui primi anni di carriera di Bowie, The United States vs Billie Holiday, Respect su Aretha Franklin). Dall’originaria impostazione documentaria basata su accurate interviste ad amici e conoscenti di una data rock star, che poco o nulla aggiungono al ‘senso’ del corpus artistico di una band o di un singolo interprete che siano, si è arrivati per fortuna ad una dimensione fiction che lascia comunque libera la fantasia cercando di rappresentare e di restituire l’artista nella sua complessità. E qui lasciateci ricordare due gemme del genere: Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli e Io non sono qui di Todd Haynes su Bob Dylan.
Si aggiunge ora Elvis, attesissimo film di Baz Luhrmann su Elvis Presley, che ha appena avuto la sua première a Cannes e che verrà distribuito in Italia a partire dal 22 giugno. Va detto che la carismatica figura di Elvis finora aveva ricevuto dal cinema le attenzioni che meritava: un film tv di John Carpenter del 1979, Elvis il re del rock, un diligente biopic documentario del 1981, This is Elvis – osannato da uno dei più grandi fan di Elvis, Nick Cave – ed Elvis e Nixon del 2016, un delizioso film sull’incontro nel dicembre del 1970 tra Elvis e Nixon per l’appunto, nel corso del quale il cantante sottopose al Presidente degli USA la sua candidatura a diventare un agente aggiunto dell’antidroga per aiutare l’America a sconfiggere il complotto ordito da comunisti ed afroamericani contro di lei. Il film di Luhrmann è focalizzato invece sul rapporto tra il cantante e il suo manager, il misterioso ed ambiguo Colonnello Parker, qui impersonato da Tom Hanks, che ne diresse i percorsi artistici e di business per 20 anni, fino alla morte di Elvis il 16 agosto 1977. Chissà se lo stile imperial pop di Baz Luhrmann, così veloce, così montato, così post-moderno, potrà essere la chiave favorevole ad entrare nel cono d’ombra e di mistero, davvero bigger than life, che l’icona di Elvis ha sempre proiettato fuori di sé. Dalle recensioni provenienti da Cannes sembrerebbe proprio di sì. È ovvio e prevedibile che il regista, questo regista!, abbia sacrificato l’approccio documentaristico per inseguire la pista dell’immaginario erotico e debordante di Presley, dove vita e scena si confondono, esattamente come in Moulin Rouge!…