Rocío Molina, coreografa e bailaora cui va il merito di aver ricalibrato il flamenco tradizionale, rispettandone sempre l’essenza e al contempo accogliendo ciò che è autenticamente nuovo, riceve il Leone d’Argento per la Danza, insieme al Leone d’Oro Saburo Teshigawara, sabato 23 luglio alle ore 12 al Teatro Piccolo Arsenale.
Sembra divorare il libro delle ‘regole’ classiche per costruire i propri volumi, ispirandoci e sollecitando un nuovo sguardo, un nuovo sentire […] Passando dal selvaggio al sensuale, al verticale, al parallelo, al violento, al tenero in una straordinaria esplosione di energia fisica e creativa, Rocío Molina è una forza con cui fare i conti, nell’arte e nella vita (Wayne McGregor)
Non posso scrivere di Flamenco senza menzionare García Lorca. In una conferenza a Buenos Aires nel 1933 il poeta diede a questo ballo, ritenuto sino ad allora un genere di manifestazione “popolare”, un posto nell’estetica moderna. Sostenne che esiste un legame genetico tra questa forma artistica e uno stato d’animo dell’artista di invasamento dionisiaco, scomodando Socrate, Cartesio e la filosofia di Nietzsche. García Lorca la definì “duende”, che il nostro Treccani spiega come «fascino ammaliatore, venato di tristezza e inquietudine, estro ispiratore, creativo». Ma è già del 1921 lo scritto Poema del Cante Jondo e l’istituzione di un Concurso de Cante Jondo per accrescere prestigio e raffinatezza al flamenco. Va chiarito che gli schemi musicali del flamenco non sono i nostri abituali della musica occidentale, ad iniziare dalla tecnicalità della voce del cantaor, gutturale ed emessa dal naso. Gli “ole” non sono improvvisati e dettati dall’entusiasmo del pubblico, ma parte integrante del flamenco nella sua origine di danza rituale, rappresentando l’adesione al rito dei partecipanti. Anche il battere dei tacchi, il taconéo, ha un probabile riferimento alla terra e al carattere nomade dei gitani, primi importatori del flamenco dalla madre India.
Un suo primo apparire nella storia ufficiale il flamenco lo deve a José Cadalso, che lo elevò a soggetto letterario nel 1774. Subì un declino nella Spagna franchista, dove veniva venduto nei bar di periferia ad uso dei turisti alternativamente con il bolero, ritornando poi in auge nell’elettrica età del ritorno alla democrazia anche grazie a Pedro Almodóvar, che con il suo film Volver rende omaggio alla famosa Estrella Morente.
Rocío Molina, alla quale è stato assegnato il Leone d’Argento per le nuove realtà della danza, è di qualche anno più giovane ed è lei a portare avanti il rinnovamento del flamenco sui palcoscenici, anzi, per essere più precisi, sui tablaos internazionali. Tentiamo di individuare le caratteristiche innovative e di successo di questo profondo lavoro di “svecchiamento”. Certamente nella danza di Molina c’è l’inserimento di vasti tratti di pura danza, con una cura particolare per i movimenti minimali, una forte attenzione all’equilibrio e alle cadute del corpo, l’introduzione di ostacoli, maschere che impediscono una piena visione, forse ripresa dal teatro nō giapponese o, come alla Flamenco Biennale di Utrecht, quando danza su un manifesto cartaceo che progressivamente viene distrutto e che sembra inibire anche i movimenti più semplici. Rocío ha ideato anche vere e proprie forme di performance, tra queste lo scorrere su un tavolato ripieno di vernice. Di tutte queste tecniche Molina è maestra assoluta, ai massimi vertici della danza, e i pezzi di flamenco puro tradizionale ne esaltano la plasticità. Ma non dimentichiamo che Molina è anche un’esperta e accorta coreografa. Cinema (da non perdere almeno Impulso del regista Emilio Belmonte, con protagonista Rocío – la locandina della versione tedesca la cita come colei che ha portato il flamenco nella modernità), letteratura, pittura sono tutti linguaggi che rappresentano fonti di ispirazione e di virtuosa contaminazione per il suo lavoro. Le scenografie dei suoi spettacoli ricordano talvolta muri diroccati à la West Side Story o intere pareti formate da sedie alla Pina Bausch; in alcuni addirittura indossa un kimono Karaori danzando in uno spazio minimalista come per un ballo in un atelier giapponese. Ma quando è flamenco, flamenco è e flamenco rimane.
Il coreografo e performer Saburo Teshigawara riceve il Leone d'Oro alla carriera della 16. Biennale Danza