I direttori del settore Teatro della Biennale di Venezia, Stefano Ricci e Gianni Forte, hanno scelto di assegnare all’autrice e regista brasiliana Christiane Jatahy il premio alla Carriera, che riceverà nel corso della cerimonia domenica 26 giugno, alle ore 12, a Ca’ Giustian.
Impietosa e acuta osservatrice della violenta crudeltà del nostro mondo – scrivono nella motivazione Stefano Ricci e Gianni Forte – l’autrice e regista brasiliana Christiane Jatahy potenzia un linguaggio originale interstiziale che unisce la forza radicale della sua dimensione poetica con il contrappunto di un mordace pensiero politico, sempre attraversato da un intrepido spirito di ricerca tra presente e passato (Ricci/Forte)
Curioso come a distanza di duecento anni i temi poetici degli artisti della nuova America Latina non siano poi di tanto cambiati. Nel 1884 Eduardo Gutiérrez scrisse una celebre pantomima, poi pezzo teatrale, un sainete, che con grande successo mise in rilievo i contrasti tra popolazione locale preesistente e nuovi immigrati. «Un patio di un conventillo/un italiano affittavolo/uno spagnolo sornione/una donna, un uomo/due bulli dal coltello facile». Gaucho, indio, immigrati e una rappresentazione artistica che non aveva confini, mescolando letteratura, poesia, teatro, danza, racconto orale. Anche allora dai musei di New York alla selva dell’Orinoco (Passi perduti, 1953 di Alejo Carpentier). Christiane Jatahy non rinnega nulla di queste radici, muovendosi con disinvoltura tra cinema, saggi, spettacoli teatrali, installazioni. Il suo riferimento, il suo punto focale è il mondo: Jean Renoir, Omero, Shakespeare, Čechov, Strindberg sono appigli per misurarsi con i grandi temi che affliggono l’umanità. In Ithaca – Our Odyssey (2018) mescola eroi omerici con odierni fuggitivi da guerre, carestie, soprusi, alla ricerca di una terra che sembra promessa attraverso il Mediterraneo.
A Venezia ne porterà la seconda parte, The Lingering Now (2019), nel quale la componente filmica è stata girata nei luoghi di nuova sofferenza inattesa causa pandemia, che ben si offre come rinnovata occasione di dittatura e repressione, passando tra Palestina, Libano, Sudafrica, Amazzonia.
Un altro suo lavoro recente di grande rilievo è Entre chien et loup (2021), con un rimando a Dogville di Lars von Trier, prima parte di una trilogia dedicata al totalitarismo, al machismo (Before the Sky), alla schiavitù e al razzismo (After the Silence).
Con lei la parola “teatro” abbandona definitivamente non solo gli ambienti all’italiana, ma rende indefinibile la definizione stessa di teatro, in qualche modo tornando alle sue origini, prima ancora dei grandi drammaturghi greci, prima di Eschilo, cantore della potenza e della democrazia della gloriosa Atene. Recupera un teatro che è per gli attori un prendersi gioco di sé stessi, per gli spettatori un rinunciare al confortevole buio dei palchi scendendo in lizza, un teatro in cui la parola si fa frammentaria, un cinema che si auto-riprende e, riprendendosi, diviene esso stesso attore, e con esso tecnici, elettricisti o cameramen, figure solitamente anonime e invisibili, salvo un formale ringraziamento finale del capo compagnia, che invece sono ora costretti ad entrare nella mischia.
Il gioco dello specchio tra figure viventi – chiamiamolo per comodità “teatro” in attesa di una nuova definizione – e cinema è particolarmente evidente in What if they went to Moscow (2014), dove servendosi del montaggio in diretta le scene girate vengono integrate istantaneamente nello spazio teatrale.
Stili differenti caratterizzano le tre sorelle protagoniste con un continuo andirivieni di tecnici delle luci e incursioni tra il pubblico, che in parte è posto direttamente nello spazio deputato all’azione degli attori. In Dogville (film, Christiane ci tiene a rilevarlo, ispirato da Brecht) la sfida di Lars von Trier era far vivere il teatro nel cinema. Jatahy capovolge la ricerca, ovvero come far vivere il cinema nel teatro, con l’idea di fondo di far emergere i temi sotterranei della nascita del capitalismo. Christiane Jatahy è già stata a Venezia nel 2015 con La signorina Julia, segnando il passaggio dalla società puritana e classista di fine ‘800 al Brasile di oggi, e nel 2016 con What if they went to Moscow. Nata a Rio e innamorata del suo Paese, ma nient’affatto dei suoi politici, ha scelto la Francia come sua patria d’adozione. Eletta dai direttori Stefano Ricci e Gianni Forte Leone d’Oro 2022, è attesissima da tutti noi alla 50. Biennale Teatro con la prima nazionale di The Lingering Now.