Il Fondaco dei Tedeschi ha affidato al collettivo Sbagliato, progetto artistico fondato nel 2011 da tre architetti e designer romani, l’ideazione Radials, due installazioni “visionarie” sulla facciata e al quarto piano dell’edificio.
Il progetto nasce dal desiderio di generare un’interferenza, di creare ‘varchi’ all’interno dell’ordine composto dalle architetture del Fondaco. Nella Loggia sul Canal Grande, infatti, la moltiplicazione dell’arco all’esterno crea una prospettiva ‘infinita’. L’intervento nello Spazio Eventi estrapola invece una porzione della Corte interna ricollocandola, decontestualizzata, sulle quattro pareti. Gli archi colorati di blu si muovono sinuosi come sommersi in un dialogo tra l’architettura e l’acqua. Una sinergia tra architettura, grafica, fotografia e collage attraverso la quale gli elementi architettonici possono essere “campionati”, elaborati e riproposti nel contesto urbano in modo eterogeneo ma non casuale. Siamo andati a scoprire la genesi di questo collettivo e la loro idea di architettura.
Come nasce il vostro collettivo? E perché la scelta del nome “Sbagliato”, che in qualche misura tende a orientare da subito la vostra identità creativa?
Sbagliato nasce nel 2011. In quegli anni ci incontravamo spesso all’interno di un piccolo spazio per studiare; c’era chi studiava grafica e chi architettura, corsi differenti ma appartenenti alla stessa famiglia di linguaggi. Il nostro progetto nasce dall’intenzione comune di interagire con il tessuto urbano. Iniziammo subito ad attaccare a muri esterni poster che raffiguravano elementi architettonici. Dopo questi primi esperimenti, ci siamo resi conto che i nostri lavori oltre ad avere un forte impatto visivo, riuscivano a introdurre una componente di finzione arricchente, quindi sbagliata, a volte ironica e paradossale, all’architettura su cui decidevamo di agire. Con il nome “Sbagliato” abbiamo quindi indicato un processo artistico innovativo attraverso il quale vogliamo trasmettere questi aspetti costitutivamente intrinsechi alla nostra ricerca.
La città e le sue architetture sono il vostro territorio di progettazione. Quali suggestioni iniziali, idee, luoghi, scopi, sviluppi, insomma, quale processo creativo produce i vostri progetti?
Sarebbe molto bello poter individuare nitidamente una metodologia creativa nei nostri progetti, ma purtroppo o per fortuna ogni lavoro ha un percorso creativo diverso che è spesso determinato dal contesto in cui decidiamo di proporre il nostro immaginario.
I nostri lavori oltre ad avere un forte impatto visivo riescono a introdurre una componente di finzione arricchente, quindi sbagliata, a volte ironica e paradossale, all’architettura su cui decidiamo di agire
I vostri progetti sono una sintesi di linguaggi e discipline diverse: architettura, grafica, fotografia utilizzate in maniera originale per creare interventi diretti di arte pubblica. In che modo il vostro approccio specifico trasforma lo spazio pubblico in una gigantesca dichiarazione visiva? Che tipo di reazione o azione cercate e vi aspettate dal pubblico, vostro diretto interlocutore?
Una delle nostre caratteristiche comunicative è quella di aggiungere elementi che provengono dallo stesso tessuto urbano. Questa volontà scaturisce dalla consapevolezza di vivere in un’epoca dove siamo sottoposti continuamente a una intensa pioggia di informazioni. Utilizzando elementi che provengono dal tessuto urbano stesso andiamo a modificare lo stato di fatto della città. Quest’azione, se notata dall’osservatore, avrà come effetto di farlo riflettere su quanto labile sia la realtà che vive quotidianamente.
La prospettiva ‘accelerata’, lo spazio reale e quello apparente, sono i fondamentali dell’architettura barocca, mi riferisco in particolare alla finta prospettiva del Borromini di Palazzo Spada. Come questi elementi fondamentali sono divenuti base della vostra idea progettuale?
In passato ci è stato detto che nelle nostre illusioni prospettiche realizziamo degli effetti speciali non digitali ma analogici. Ecco, forse questa è una visione che ci avvicina a quel periodo storico-architettonico. Sicuramente ci sono altri punti di contatto, in particolare nell’approccio così teatrale nei confronti dell’architettura e nella volontà di sorprendere l’osservatore.
L’intervento sul Fondaco dei Tedeschi e la genesi dell’idea di Radials. Qual è stata l’interazione con l’edificio, con la sua particolare ubicazione e, più in generale, con Venezia?
In occasione dell’apertura di Biennale Architettura 2023 il Fondaco dei Tedeschi ci ha chiesto di ideare due installazioni artistiche in altrettanti luoghi iconici dell’edificio: la prima sulla facciata esterna che guarda il Canal Grande antistante al Ponte di Rialto, la seconda, interna, situata all’ultimo piano dell’edificio, nello Spazio Eventi. Conosciamo Venezia da tanto tempo ma ogni volta che veniamo qui ciò che ci cattura è l’acqua e la sua costante presenza: nei canali, nell’aria e nelle pareti dei suoi edifici. E’ per questo motivo che abbiamo deciso di farla diventare l’anima dei due interventi. Il primo intervento è posizionato nella Loggia d’Acqua fronte Canal Grande: abbiamo campionato l’arco del prospetto esterno moltiplicandolo diverse volte con un effetto radiale al fine di creare una prospettiva ‘infinita’. Abbiamo voluto evidenziare così un elemento caratterizzante dell’edificio modificandone la dimensione e la percezione; il corridoio infinito rappresenta l’unicità di Venezia, una città che, con la sua conformazione, regala a chi la visita sensazioni oniriche. Camminare per le sue calli ti proietta in un’altra dimensione. Abbiamo deciso di dare una tonalità di blu all’installazione così da collegarla cromaticamente all’acqua e all’installazione del quarto piano. Il secondo intervento si concentra sul campionamento della corte interna del Fondaco dei Tedeschi. Estrapolandone una porzione l’abbiamo ricollocata sulle quattro pareti dell’ultimo piano. Gli archi colorati di blu si muovono sinuosi come fossero sommersi, scrivendo un dialogo tra l’architettura e l’elemento più significativo della città descritto prima: l’acqua. Anche le vetrate superiori e il pavimento vi contribuiscono attraverso una sintonia cromatica che disorienta il visitatore. Inoltre, per raggiungere una totale immersione, abbiamo chiesto al duo di musicisti LF58 di trasformare la dimensione visiva e concettuale dell’installazione in un’esperienza sonora multisensoriale, amplificando ulteriormente l’impatto emotivo e concettuale complessivo. Tutto questo è stato possibile grazie a una sonorizzazione del quarto piano durante tutto il periodo della mostra. La creazione di questo nuovo piano “trasparente” progettato da Rem Koolhaas, di fatto la copertura centrale dell’edificio, che diventa spazio onirico e atemporale, con varchi apparenti che invitano alla riflessione e alla scelta, aggiunge strati di significato e coinvolgimento emotivo al nostro progetto. Da qui nasce l’idea del duo LF58 di tradurre tutto ciò in suono attraverso un concerto in quadrifonia, quattro canali audio distinti utilizzati per immergere il pubblico nell’esperienza sonora, creando una correlazione diretta con gli elementi visivi e concettuali dell’installazione. L’evento di finissage della mostra, il 28 ottobre alle ore 18.30, non poteva quindi che essere il loro concerto al quarto piano.