Gli strati dell’acqua

Al Goldoni van der Aa firma una nuova commissione per Biennale Musica
di Andrea Oddone Martin
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Tra gli appuntamenti più attesi di questa Biennale Musica troviamo The Book of Water, commissione che la Biennale ha affidato al compositore olandese Michel van der Aa e che andrà in scena il 19 settembre al Teatro Goldoni. Un lavoro incentrato sul fenomeno dell’erosione idrica dei territori di tutto il mondo, che trova a Venezia habitat naturale per la propria messa in scena. Scopriamo il compositore e la sua poetica.

Le sue partiture si caratterizzano per la compresenza di immagini, campionamenti, parti recitate, strumenti tradizionali ed elettronica. Quali sono le problematiche che si generano nel riunire in un’unica performance grammatiche e contesti linguistici così differenti?
Quando lavoro a un’opera teatrale o un melodramma non compongo solo la musica; in parallelo penso anche al copione e alla messa in scena. Sono strati diversi che creo allo stesso momento – partitura, indicazioni di scena, più in generale il contesto visivo della rappresentazione. In questo modo posso creare una diversa prospettiva per ciascuno di questi strati e posso decidere quale di essi è più in vista o è più importante, riuscendo anche a capire come ciascuna componente interagisca con le altre.

In quale di questi ambiti espressivi si sente più a proprio agio?
È la combinazione di strati, presi assieme, a formare il vocabolario di cui ho bisogno per veicolare il giusto messaggio al pubblico. Parto dalla musica, ma sono altrettanto a mio agio nella regia. Diciamo che trovo il mio ruolo nella ricerca della combinazione perfetta tra i diversi componenti dell’opera.

Quale sarebbe il miglior profilo di ascoltatore per i suoi lavori, lo spettatore ideale insomma?
Il mio pubblico ideale è vario in termini di età e formazione; fondamentale che sia di mentalità aperta. La cosa interessante è che usando media differenti riesco a intercettare spettatori con gusti ed estrazioni diversi, non necessariamente tutti amanti della musica contemporanea, ma anche persone più interessate al teatro o ai film d’arte. Il che porta ad avere un pubblico misto e molto stimolante.

Quali, a suo parere, le differenze tra un compositore, un librettista e un regista?
Credo che vi siano molte sovrapposizioni tra questi ruoli che comodamente, tradizionalmente fermiamo in istantanee fisse. Sono tutti i ruoli che hanno a che fare col tempo. Se sto scrivendo un testo, questo deve formare una fabula nel tempo, e lo stesso dicasi per la musica e per il film. Penso che ci siano molte cose in comune tra questi vari strati. Ciò che a me viene naturale è trovare il modo giusto di combinarli.

Uno dei suoi più importanti maestri è stato Louis Andriessen, suo connazionale recentemente mancato. Qual è stato, per lei, il suo principale insegnamento?
Ho studiato con lui nel mio ultimo anno di Conservatorio. Mi ha insegnato moltissimo. Da lui ho imparato in particolare a far sì che un pezzo di un’ora o di due ore fosse lineare e ben costruito in termini di ritmo e tensione. In questo Andriessen è stato un vero, straordinario maestro. Era anche un caro amico e ho lavorato con lui in due sue opere. Mi aveva chiesto di comporre dei pezzi di musica elettronica per il suo Writing to Vermeer del 1999; fu la mia prima avventura nel mondo dell’opera e una grande occasione per lavorare in bellissimi festival e teatri d’opera. Fu in quei momenti che mi innamorai di questo genere teatrale e sono gratissimo ad Andriessen anche per questo.

Quali doti richiede l’interpretazione della sua musica? Ne esiste un interprete ideale?
Quando scrivo un pezzo per solista lo scrivo per lo specifico strumentista, non per lo strumento. Prendiamo, per esempio, la mia opera per violino scritta per Janine Jansen. È stata lei a ispirarmi, come musicista. Se avesse suonato il flauto avrei scritto un pezzo per flauto. Questa è la cosa che più mi ispira: ho bisogno di una musa per scrivere pezzi da solista. In generale penso che chi interpreta i miei pezzi debba anche capire il gioco di combinazioni che sta al di sotto di essi, il modo che ho di mettere insieme video, messinscena, elettronica. Devono capire che il loro ruolo è anche parte di un rito. Nel mio pezzo per quartetto d’archi The Book of Water, per esempio, i musicisti sono anche parti integranti della messinscena.

Ph. Sarah Wijzenbeek

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