Scultura viva

La scultrice tedesca Katharina Fritsch riceve il Leone d'Oro alla carriera
di Francesco Santaniello
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Katharina Fritsch, insieme all’artista cilena Cecilia Vicuña,  riceve il il Leone d’Oro alla carriera della 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia – Il latte dei sogni curata da Cecilia Alemani. L’artista tedesca, già ospite della Biennale nel 1995, nel 1999 e nel 2011, riceve quest’anno il premio alla carriera per il suo immenso contributo nel campo dell’arte contemporanea e della scultura in particolare.

Il contributo di Fritsch nel campo dell’arte contemporanea e, in particolare, in quello della scultura non ha paragoni. Il suo lavoro si distingue per opere figurative al contempo iperrealistiche e fantastiche: copie di oggetti, animali e persone rese nei più minuscoli dettagli ma trasformate in apparizioni perturbanti (Cecilia Alemani)

Katharina Fritsch ha avviato la sua ricerca nel clima post-moderno segnato dal ritorno all’immagine e dalla ripresa nomadica di taluni aspetti delle avanguardie, proponendo una riflessione di matrice Neo-pop sugli oggetti, lavorando sulla ripetizione e la manipolazione delle proporzioni. Tra la fine degli anni ‘70 e nel corso del decennio successivo, infatti, ha realizzato delle minuziose riproduzioni, nella maggior parte dei casi ingrandite, di articoli comuni (vasi, candelieri, statuette kitsch di santi e madonne) o animali (come ad esempio l’elefante, o più precisamente l’elefantessa, esposta ora al Padiglione Centrale) colorati con vivaci tinte monocrome e presentati in differenti combinazioni formali (isolati, in serie o sovrapposti a formare alte colonne). Con Tischgesellschaft (Company at Table), del 1988, ha esteso il suo discorso a situazione di narrazione-comunicazione: ai lati di un lungo tavolo siedono e si fronteggiano due file di trentadue manichini raffiguranti uomini vestiti di nero con 
le mani appoggiate su una tovaglia rossa e bianca in silente attesa di un pasto che non sarà mai servito. Da allora l’artista ha dimostrato una propensione al monumentale, realizzando anche installazioni complesse di ampio respiro, come nel caso del modello di museo ideale proposto presso il Padiglione tedesco alla Biennale del 1995.

Iconiche e perturbanti, le sculture di Katharina Fritsch si impongono all’attenzione degli spettatori non soltanto per le dimensioni abnormi dei soggetti e i colori dalle tonalità accese e squillanti, ma soprattutto per il cortocircuito che innescano a livello di percezione sensoriale-intellettiva-mnemonica. I suoi lavori si configurano pertanto come meccanismi capaci di innescare un processo di destabilizzazione delle certezze e delle consuetudini acquisite attraverso l’esperienza o la cultura. Sono certo che molti, sia tra gli abituali frequentatori della Biennale di Venezia per interesse professionale sia tra coloro che la visitano per curiosità, ricordano Rattenkönig (1991-‘93), presentato alla Mostra del 1999 curata da Harald Szeemann. Chi non si è sentito osservato come una sorta di cavia dai topi giganti messi in cerchio con le code intrecciate? Qualcun altro si sarà invece calato certamente nella parte de Il pifferaio magico. Visionaria, inquietante, sebbene temperata da una gelida ironia, e amplificata da echi surreali che evocano visioni oniriche, ricordi d’infanzia o paure ancestrali, la scultura di Katharina Fritsch si è imposta all’attenzione della critica e del pubblico internazionale poiché rispecchia alcuni aspetti del nostro problematico presente. Come ha dimostrato anche con la sua installazione Stilleben alla Biennale del 2011, o con la collocazione, nell’estate del 2013, di Hahn/Cock (statua di un galletto domestico da cortile alto quasi cinque metri di colore blu oltremare) in uno dei quattro plinti di Trafalgar Square a Londra.

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