Leone d’Oro alla carriera, Elizabeth LeCompte è una delle voci più influenti e provocatorie del teatro sperimentale contemporaneo. Anima e fondatrice con Spalding Gray del Wooster Group, collettivo newyorkese che dagli anni Settanta a oggi ha riscritto i codici della scena, mescolando media, performance e cultura pop, LeCompte ha fatto del montaggio un linguaggio e del palco uno spazio di resistenza.
Secondo LeCompte, il teatro è un’azione fisica, da fare orgogliosamente e ostinatamente fuori dal sistema produttivo americano, in una continua battaglia per l’indipendenza creativa, individuale e collettiva
Willem Dafoe
Willem Dafoe, che con lei ha militato in quella straordinaria compagine creativa, scrive nella motivazione del premio: «LeCompte ha saputo influenzare la creazione teatrale aprendola al dibattito politico e culturale, in un percorso coerente e caparbio, frutto di studio approfondito, di tecnica innovativa – sempre incentrata sull’integrazione della tecnologia moderna con l’arte fisica dell’attore».
Il Wooster Group di Elizabeth LeCompte inaugura la 53. Biennale Teatro con la prima europea di Symphony of Rats, spettacolo del 2021 firmato con Kate Valk, storica interprete del cult originale del 1988 nato dalla mente del “maestro del disorientamento” Richard Foreman, scomparso lo scorso gennaio. Un sentito omaggio che si affianca idealmente a quello di Dafoe con la sua performance No Title.
Tra roditori, presidenze in crisi, pastiglie lisergiche e frammenti da Il grande dittatore, Symphony of Rats torna oggi in scena come una giostra ipertecnologica e stratificata che non cerca coerenza, ma spaesamento. Una sinfonia dell’assurdo che smantella l’autorità, scompone la logica e rimonta il caos con l’allegria di un’intelligenza artificiale sotto acido.
Il suo teatro ha spesso attraversato momenti cruciali della storia americana. L.S.D. del 1982 si ispirava a Il crogiuolo di Arthur Miller, utilizzando la caccia alle streghe come metafora del maccartismo degli anni Cinquanta, mentre Symphony of Rats nacque nel 1988 in un altro periodo di forti tensioni politiche. Quanto del portato di quelle epoche sopravvive ancora nel mondo di oggi?
Quando abbiamo prodotto L.S.D. stavamo estraendo tutto il possibile da Il crogiuolo, lo sguardo non era rivolto esclusivamente agli anni Cinquanta. Stavamo riflettendo su come tutte quelle dinamiche di paura, accusa, e isteria collettiva fossero ancora vive nell’America di Ronald Reagan. In Symphony of Rats la riflessione è sostanzialmente simile: è un lavoro che indaga su come il potere distorce la lingua, su come la verità si fa sfuggente, su come il teatrino della politica divori sé stesso. Cosa sopravvive? I nomi cambiano, le tecnologie accelerano, ma i modelli restano: il potere che si consolida creando nemici, i media che distorcono la realtà, le persone che si trovano intrappolate in sistemi che non comprendono appieno. Questi schemi sono ancora presenti, forse anche più amplificati di quanto non fossero anni fa.
Il rapporto ravvicinato tra pubblico e scena è sempre stato un elemento centrale della sua pratica teatrale. Tuttavia, la struttura dei teatri all’italiana rende più difficile questa interazione. Ma, alla fine, il pubblico ama davvero essere coinvolto?
Al pubblico piace essere coinvolto? Non credo sia esattamente questo il punto su cui dover riflettere. È troppo semplice parlare di ciò che può piacere o non piacere. Ritengo che uno degli obiettivi più intriganti da perseguire in questo lavoro sia piuttosto quello di andare a creare un certo disagio, o smarrimento, a volte una specie di tensione elettrica, suscitando la sensazione che qualsiasi cosa potrebbe accadere da un momento all’altro. Il proscenio di norma può sembrare a una certa distanza di sicurezza da noi, come se stessimo guardando un sogno. Rompendo questo codice canonico e trascinando il pubblico nel cuore della creazione della performance, gli ricordi: è dal vivo. È adesso. Ci sei dentro. Ne fai parte.
Vorremmo due pensieri da lei: uno felice, legato a ciò che ha potuto realizzare con il teatro, e uno più malinconico, un rimpianto se così si può dire, qualcosa che avrebbe voluto fare ma che, per qualche ragione, è rimasto irrealizzato.
Felicemente: cosa abbiamo realizzato? La pura persistenza del lavoro è la cosa che mi dà gioia. Il Wooster Group è un laboratorio vivente da quasi cinquant’anni, è un luogo dove si possono smontare e analizzare testi, tecnologie e tradizioni e riassemblarli in qualcosa di totalmente nuovo. Abbiamo fatto del teatro una specie di alchimia, una miscela di alta cultura e di pop, di sacro e di profano, di passato e presente. Così facendo abbiamo creato un linguaggio che prima non esisteva. E poi c’è la gente: i nostri collaboratori e il pubblico che continua a seguirci, che si sono scontrati col nostro lavoro e l’hanno fatto proprio.
Lì sta il vero risultato: non solo le produzioni, ma la costruzione di una comunità che si è formata intorno ad esse.
Melaconicamente: le persone che abbiamo perso lungo la strada. Il teatro è effimero per natura, tuttavia quando un collega o un collaboratore scompare, non è solo la sua performance a svanire, ma sparisce tutto un modo di vedere le cose, una voce che non può essere sostituita.
Roland Barthes scriveva che un’opera d’arte non è mai finita. Quali cambiamenti ha apportato in questa ultima versione di Symphony of Rats?
Nel 2021, quando io e Kate Valk chiedemmo a Richard Foreman se il Wooster Group potesse produrre una nuova versione del suo Symphony of Rats, lui ci rispose: «Potete fare quello che volete! E spero che sarà totalmente irriconoscibile».
Ho ideato il nostro spettacolo come se avesse luogo in una sorta di palestra per artisti, uno spazio per lo sport fisico e il gioco mentale. Siamo partiti lavorando sul linguaggio teatrale altamente inventivo di Foreman cercando poi di tradurlo in una metrica poetica. Eravamo convinti di dover mettere in musica tutta l’opera (d’altra parte Foreman stesso l’ha chiamata sinfonia) e così abbiamo fatto. Abbiamo poi creato una messa in scena capace di riflettere il fermento e la topografia della nostra immaginazione collettiva: balli, canzoni, video, film, dipinti, vecchi oggetti di scena riciclati dalle nostre opere passate e nuovi strumenti generati dall’intelligenza artificiale.
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