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Il latte dei sogni
In questa intervista il compositore ci ha parlato del suo coinvolgimento nella Biennale di Carlo Ratti, del concerto che terrà in Piazza San Marco il 3 luglio e del suo rapporto con Venezia.
Se Vivaldi vivesse nel nostro presente, sarebbe sicuramente un membro dei Metallica
“Pioniere”. Questo è il titolo che spesso si attribuisce a un musicista iconico, un precursore, anticipatore di stili e tendenze, personaggio capace di oltrepassare i confini musicali e abbattere le barriere culturali, artistiche e politiche tra le nazioni. Perché anche l’arte e la cultura, e quindi la musica, possono avere una funzione politica e sociale molto importante. Questo è Jean-Michel Jarre, un avanguardista dell’epoca del pop, un artista multisensoriale. Jarre ritorna in Italia in grande stile, annunciando una stagione concepita come un’opera totale nel senso più ampio del termine: un viaggio attraverso suono, immagine e intelligenza artificiale a 360 gradi. Il suo percorso si snoderà partendo dalla 19. Biennale Architettura, dove è stato invitato da Carlo Ratti tra i partecipanti della mostra Intelligens, per poi passare a Milano a giugno, con la sua mostra Promptitude al MEET Digital Culture Center (12 giugno-7 settembre), e per infine arrivare in Piazza San Marco a Venezia il 3 luglio e a Pompei il 5 luglio per due esibizioni live. Una sequenza integrata di installazioni, mostre e concerti per un’esperienza immersiva di sicura presa ed altrettanta suggestione. L’esibizione live a Venezia, organizzata da Veneto Jazz, rappresenta per Jean-Michel Jarre un punto culminante del suo percorso artistico, in cui confluiscono le sue profonde ispirazioni legate all’arte, all’architettura e alla storia italiana, il suo instancabile desiderio di innovazione attraverso la tecnologia e la sua capacità di creare esperienze musicali uniche in luoghi iconici. È un modo per celebrare la tradizione guardando al futuro, in linea con la sua visione di artista e di ambasciatore culturale, come lui stesso qui di seguito ci racconta.
Il concerto del 3 luglio in Piazza San Marco è uno tra gli eventi più attesi dell’estate musicale italiana. Che rapporto ha con Venezia?
Venezia è sempre stata una grossa fonte di ispirazione per me; posso dire di subire la sua influenza da molto, molto tempo sotto diversi punti di vista. Penso al cinema, in particolare a Morte a Venezia di Luchino Visconti, che di sicuro mi ha ispirato moltissimo. Antonio Vivaldi poi, davvero un riferimento costante e irrinunciabile, così come tantissime altre forme d’arte che a Venezia hanno trovato terreno ideale per esprimersi. Esibirmi in Piazza San Marco era uno dei miei sogni, come chiunque si trovi a fare il mio mestiere può affermare senza timore di essere smentito. Poter realizzare finalmente il sogno di una vita mi fa sentire molto, molto fortunato.
Venezia per lei vuol dire oggi anche Biennale, con il suo coinvolgimento in un’installazione alla 19. Biennale Architettura diretta da Carlo Ratti intitolata Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva. Oxyville il titolo di questo suo intervento. Ci racconti un po’ di che cosa si tratta in concreto.
Sono un grande fan della Biennale di Venezia, credo di non essermene persa una dalla fine degli anni ’80. Considero queste straordinarie mostre degli appuntamenti irrinunciabili per capire quali siano le dinamiche che governano l’universo artistico contemporaneo nelle diverse latitudini del nostro pianeta. La chiamata di Carlo Ratti mi ha perciò onorato profondamente, facendomi cambiare la prospettiva stessa in termini di fruizione di questo happening culturale. Il progetto che portiamo a Venezia crea un ponte concreto e tangibile tra musica e architettura attraverso lo spazio e il tempo, elementi che queste due discipline condividono intimamente e indissolubilmente.
Oxyville, entrando brevemente nello specifico del progetto, è un’installazione nata dalla volontà di creare un brano della durata di 10 minuti che invitasse i visitatori a chiudere gli occhi per immaginare, guidati dalla musica e dalla propria inventiva, la propria città ideale. Un immaginario da costruire attraverso la musica. Progettata in suono spazializzato a 360°, l’opera esplora la connessione tra audio 3D e spazio architettonico, dove il suono diventa il materiale primario per costruire una città immaginaria. L’esperienza in Biennale culminerà a novembre con un evento conclusivo al MEET Digital Culture Center di Milano, dove verrà presentato l’esito di ciò che i visitatori di Oxyville avranno sperimentato durante la Biennale, in un dialogo audio-visivo in cui sia l’artista che il pubblico sono protagonisti. Una volta usciti dalla stanza in cui ascolteranno la musica, i visitatori saranno infatti invitati a scansionare un QR code e a lasciare un commento sull’esperienza appena vissuta. Commenti che verranno poi raccolti e diventeranno prompt, stimoli che andranno a nutrire un’intelligenza artificiale chiamata a creare l’immagine di questa città ideale, per certi versi certamente utopica. Alla fine della Biennale sarà rivelata una selezione delle immagini più originali, spunti di riflessione per un futuro sempre più vicino che ci riguarda tutti indistintamente.
La sua partecipazione alla Biennale Architettura aggiunge un altro capitolo alle sue numerosissime collaborazioni e fa sorgere una domanda inevitabile: che ruolo riveste lo spazio nella sua musica?
La mia musica è sempre stata legatissima allo spazio in cui è stata di volta in volta suonata. Nel 1986 ho tenuto un concerto a Houston in occasione del suo 150° anniversario e del 25° anniversario della NASA: l’intero skyline della città ha fatto da sfondo al gigantesco spettacolo. Enormi teli hanno ricoperto i grattacieli e sono stati utilizzati come schermi per proiezioni laser e luminose sincronizzate con la musica e i fuochi d’artificio. Il concerto ha attirato un pubblico di circa 1,3 milioni di persone. Mi sono poi esibito in Russia e anche in quel caso il riferimento era allo spazio e agli astronauti, anche se già da Oxygen ho sempre considerato la mia musica come collegata allo spazio immediatamente circostante, senza spingermi a chilometri di altitudine. Sono appassionato di science fiction, anche se non arriverei a definirla la mia principale fonte di ispirazione. L’idea di spazio al centro del mio interesse è sempre stata la seguente: lo spazio che da musicista occupo e che la mia musica percorre per arrivare all’orecchio e all’occhio dello spettatore, al fine di permettergli di vivere un’esperienza piena e diretta di quello che suono. Questo è lo spazio che mi interessa di più, il fulcro autentico della mia ricerca artistica.
A che concerto ha pensato per Piazza San Marco dal punto di vista spaziale e sonoro?
Ho sempre pensato che la musica fosse indissolubilmente e intimamente legata all’architettura. Se non fossi diventato un musicista, sono convinto che avrei fatto l’architetto. Per me è quindi stato sempre di fondamentale importanza realizzare i miei concerti all’aperto.
Penso a qualcosa di taylor made, cucito su misura per un luogo tanto speciale, unico al mondo. Ci saranno diversi elementi della scenografia che saranno realizzati con l’intelligenza artificiale, diverse cose create per Promptitude, la mia prima mostra di opere visive al MEET Digital Culture Center di Milano. Si tratterà di una scenografia 3D e immersiva, che spero possa esaltare gli spazi di Piazza San Marco. La scaletta musicale sarà certamente innovativa, dal momento che vedrà affiancati pezzi storici del mio repertorio e brani nuovi, offerti al pubblico per la prima volta dal vivo. Una piazza così innovativa e rivoluzionaria per come era stata pensata sin dalla sua fase progettuale originaria credo vada celebrata approcciandosi ad essa in modo altrettanto innovativo e rivoluzionario, attraverso un suono immersivo, ricorrendo all’intelligenza artificiale e utilizzando led anch’essi di nuova generazione. Rivoluzione e bellezza si celebrano con altrettanta rivoluzione e bellezza: mi sento privilegiato nel poter celebrare il legame di Venezia con il romanticismo attraverso tool tecnologici che possano esaltare le infinite suggestioni che questa Piazza è capace, come pochi altri siti al mondo, di suscitare. Credo di avere la possibilità di dimostrare quanto si possa essere romantici ricorrendo alla tecnologia più moderna.
Il concerto presenterà reminescenze vivaldiane o di altri musicisti classici?
Anche se non suonerò stralci de Le quattro stagioni, considero l’intero concerto come un tributo alle origini più radicali della musica italiana, di cui ovviamente Vivaldi è elemento imprescindibile. Sono fermamente convinto di una cosa: se Vivaldi vivesse oggi, nel nostro presente, sarebbe sicuramente un membro dei Metallica… Credo che un concerto di musica elettronica come il mio sia molto più legato a Venezia di quanto si possa immaginare. È doveroso ricordare, infatti, che la musica elettronica è nata in Europa e che ha ben poco a che fare, se non nulla, con l’America blues, rock e jazz. Si può dire che la nascita della musica elettronica passi proprio dal territorio veneziano, visto che il compositore di Portogruaro Luigi Russolo fu tra i firmatari nel 1930 del documento L’arte dei rumori, manifesto programmatico del rumorismo, precursore della musica concreta e di quella elettronica. Spero, quindi, che il concerto di Venezia possa essere un tributo al ruolo centrale che la musica italiana ha avuto nello sviluppo del suono elettronico, un sistema espressivo che ha reso i sound designer, quale io mi considero, capaci di creare musica prescindendo dall’utilizzo di un determinato strumento, utilizzando gli elementi a disposizione nell’immediato, come i rumori, per l’appunto.
A proposito di intelligenza artificiale, quale crede possa e debba essere l’approccio al problema del copyright al cospetto di questa autentica rivoluzione mediatica in atto? Come crede ci si debba comportare a riguardo in ambito più strettamente musicale?
Premessa necessaria: non dobbiamo avere paura dell’innovazione. Al momento, tutto quello che riguarda l’intelligenza artificiale rappresenta il Far West, un contesto cioè privo di regole e che per forza di cose ispira diffidenza e paura. È necessario stabilire delle regole precise, che mettano bene in chiaro cosa è lecito o non lecito fare con uno strumento tanto potente. E dobbiamo anche combattere contro l’idea che stabilire delle regole voglia dire limitare la libertà delle persone: dobbiamo far capire bene quanto le regole siano importanti in questo ambito, e non solo, per gestire al meglio l’utilizzo di questi innovativi strumenti mediatici senza frustrarne il potenziale espressivo.
Sono convinto che la tecnologia sia sempre ‘neutrale’; anche l’intelligenza artificiale credo lo sia. È come un pennello, una matita: a fare la differenza è colui che li muove questi strumenti. Non credo che in questo momento sia possibile risolvere il problema del copyright con le stesse modalità attraverso le quali in passato abbiamo trattato il tema della proprietà intellettuale nella musica o nella letteratura. La ragione prima di questa impossibilità è semplice e chiara: al momento non siamo in grado di capire quale sia la risorsa di riferimento a cui l’algoritmo dell’intelligenza artificiale fa riferimento. I nostri contenuti sono alla base del repertorio da cui l’intelligenza artificiale può attingere; senza di noi tutte le società che si stanno lanciando in questo business non potrebbero avere potere o valore. La cosa da fare è quindi sedersi intorno a un tavolo e perseguire accordi commerciali che tengano in considerazione l’importanza dell’aspetto umano nelle nuove logiche di utilizzo dell’intelligenza artificiale. Stare lì a dibattere inutilmente su diritto d’autore o proprietà intellettuale non porterebbe a niente, a nessun risultato concreto.
Compositore, performer, produttore, ambasciatore culturale: la sua carriera è espressione di un intersecarsi di influenze provenienti dai media più disparati, che trovano nella musica un terreno comune. Quanto è stimolante oggi avere a che fare con la quantità infinita di suggestioni a cui veniamo sottoposti?
Mi sono sempre considerato un artista molto privilegiato. Lo stesso essere io qui, ora, a rispondere a domande sulla mia attività lo testimonia. Mi onora sapere che c’è interesse intorno a ciò che faccio, ai sentimenti che metto nella mia arte. Ho sempre pensato che, dopo aver ricevuto così tanto dal pubblico di tutto il mondo, sarebbe arrivato il momento di dover restituirgli altrettanto, perlomeno di provarci.
In maniera se vogliamo più egoistica, entrare in contatto con tutte queste suggestioni mi permette di essere il più aggiornato possibile come artista, dandomi la possibilità di trovare ispirazione per i miei prossimi progetti, quelli di cui ancora non posso ipotizzare i tratti, i contenuti. Essere vigili verso quello che succede nella vita di tutti i giorni ci permette di poter poi farci tramite delle nostre esperienze con le nuove generazioni, non imponendo il nostro vissuto, ma confrontandoci con i giovani, abitanti di questo mondo in perenne movimento. Credo rappresenti una precisa responsabilità di noi artisti quella di trasmettere alle giovani generazioni tutta la mole di informazioni e contenuti a cui possiamo accedere, mettendo la nostra esperienza al loro servizio per poterli così aiutare a crescere.
I Pink Floyd hanno suonato a Pompei nel 1971 e poi a Venezia nel 1989; lei può farlo a pochissimi giorni di distanza. Come vive questa sorta di assonanza a considerevole distanza temporale?
Il parallelo non può ovviamente che onorarmi e stimolarmi. Sono stato per anni artisticamente geloso dei Pink Floyd; il loro è stato un concerto destinato a rimanere inimitabile e impareggiabile dal punto di vista musicale ma non solo. Sono davvero grato di poter prendermi questa rivincita con me stesso e di poter raccontare di aver suonato in Piazza San Marco.