Un anticipo di futuro

Intervista a Roberto Cicutto, Presidente de La Biennale di Venezia
di Massimo Bran
trasparente960

Costruire incroci, fertili connessioni tra i diversi linguaggi della contemporaneità, questo in sintesi l’obiettivo del Presidente Roberto Cicutto e della ‘sua’ Biennale di Venezia. Un’istituzione unica, costitutivamente votata alla poliedricità del fare arte, che nonostante l’incredibile periodo storico dominato da incertezza e preoccupazione continua a immaginare mondi nuovi, aperti, contaminati.

La Biennale di Venezia, epicentro del dibattito culturale internazionale, si pone domande e offre risposte, possibili direzioni attraverso le quali incidere con i linguaggi dell’arte, della musica, della danza, del teatro e dell’architettura nel nostro presente e nel nostro vivo divenire. Cecilia Alemani in questa 59. Esposizione Internazionale d’Arte si chiede e ci chiede: «Come sta cambiando la definizione di umano?». La sua mostra Il latte dei sogni immagina nuove armonie, convivenze finora impensabili e soluzioni sorprendenti. La Biennale configura nuove geografie e nuove alleanze generate dal dialogo. Metodo e mentalità che continuano ad essere vincenti.

Se lo scorso anno è stata una Biennale coraggiosa, questa si prospetta come un’edizione di tenace rilancio, abbracciando con rinnovato vigore l’universo mondo. Quale segnale può lanciare in un momento storico cruciale come questo una manifestazione che mantiene la formula delle partecipazioni nazionali sapendole declinare in un linguaggio universale, trasformando un’idea di confini e nazioni, anche se purtroppo attualissima, in una rivoluzione di pensiero sovranazionale?
La Biennale fin da quando è stata concepita da Riccardo Selvatico ha avuto sempre la prospettiva di essere un luogo d’incontro. Come ha ricordato bene la mostra Le muse inquiete. La Biennale di fronte alla storia, la storia ha impedito solo in alcuni drammatici momenti del secolo scorso che questo incontro avvenisse. Tuttavia la storia ci pone ancora una volta davanti a una lezione e a un’esperienza che non avremmo mai potuto immaginare di rivivere, così diretta, dolorosa e tragica, soprattutto per chi ne è coinvolto in prima persona, naturalmente. La posizione della Biennale è ovviamente quella di garantire la partecipazione dell’Ucraina alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Il Padiglione russo, dopo le dimissioni del curatore e degli artisti, successivamente comunicato dalla commissaria, rimarrà chiuso. Ci sono disposizioni dettate da una scelta politica del nostro Governo, assunta in piena condivisione con tutti gli altri governi dell’Unione Europea, di non interloquire con istituzioni prettamente governative. Ciò disposto e recepito, la nostra posizione è di non precludere la possibilità ad artisti russi di essere presenti nelle nostre manifestazioni e festival. Credo sia necessario produrre sempre una netta distinzione fra chi ha le responsabilità politiche di un atto d’aggressione e il popolo, nel nostro caso gli artisti. Il nostro compito è quello di mantenere vivo e aperto il dialogo sul piano culturale, mettendo sempre al centro del nostro lavoro gli artisti affinché possano esprimere appieno la propria creatività.

La mostra Il latte dei sogni si prospetta come un viaggio attraverso le diverse trasformazioni del nostro presente. L’istituzione Biennale si dimostra capace di alimentare la propria trasformazione con nuove progettualità, con nuovi percorsi strutturali, vedi l’intrigante progetto del Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee. Cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova scommessa e come questa sfida si inserisce nella visione progettuale concentrica della Biennale che lei sta disegnando in questi complicatissimi anni?
La Biennale, espressione di molteplici contemporaneità, deve essere più contemporanea delle arti che rappresenta. Deve per questo saper coniugare ciò che è custodito all’interno dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee con il domani, innescando processi di rivitalizzazione di quanto accumulato nel tempo al fine di disegnare scenari futuri. Dare sviluppo concreto attraverso il Centro Internazionale della Ricerca a quelle che erano già le attività dell’Archivio Storico, rappresenta un passaggio di cruciale rilevanza per almeno due ordini di ragioni: primo, per sdoganare i contenuti delle mostre e dei festival dalla temporalità della durata delle manifestazioni inserendoli in una sorta di circuito continuo a disposizione di studenti, studiosi o anche semplici curiosi che ne vogliano sapere di più; secondo, per far dialogare maggiormente le discipline e le arti fra loro. Abbiamo lanciato una ricerca in stretta collaborazione con Università Ca’ Foscari Venezia, Università IUAV di Venezia, IULM – Libera Università di Lingue e Comunicazione, Sapienza Università di Roma, Accademia di Belle Arti di Venezia e Conservatorio di Musica Benedetto Marcello Venezia, coinvolgendo 120 studenti impegnati a indagare e ricostruire la mappa geopolitica dei luoghi di provenienza degli artisti che negli ultimi venti anni hanno lavorato con noi. Luoghi di provenienza descritti non solo in chiave geografica, ma anche politica, economica e dei processi evolutivi dei vari Paesi a cui questi stessi artisti appartengono. Siamo al terzo gruppo di studenti coinvolti nella ricerca e ogni volta che li incontriamo per tirare le somme del loro lavoro ci restituiscono sempre qualcosa di sorprendente, facendoci capire che dai dati che raccolgono e che continueranno a raccogliere nasceranno nuovi punti di vista per immaginare il futuro delle arti contemporanee. Sono gruppi di lavoro davvero eterogenei per provenienza, esperienza e lingua. Si tratta di esperimenti entusiasmanti per la loro vocazione naturale a contaminare, confrontare, condividere: è la cifra costitutivamente internazionale che informa questi progetti a permettere tutto ciò.
Si tratta solo di un primo passo, un prototipo da cui capiremo presto quali saranno i modelli di indagine da proporre a chi si affaccerà all’Archivio Storico per i propri studi. Da un punto di vista sistemico, della visione che informa il senso primo di questo ambizioso progetto, va sottolineato fortemente l’impianto collaborativo tra diverse istituzioni della città che sta alla base di esso. Se ciascuno procedesse da solo si perderebbe come minimo la metà del potenziale risultato finale. Così come dobbiamo essere capaci, tutti noi che in questa città operiamo nel campo della cultura, istituzioni ed enti formativi, a metterci assieme per creare un’offerta unica al mondo a vantaggio di chi, studiando il contemporaneo, possa avere accesso alla conoscenza del passato.

La Biennale, espressione di molteplici contemporaneità, deve essere più contemporanea delle arti che rappresenta. Deve per questo saper coniugare ciò che è custodito all’interno dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee con il domani, innescando processi di rivitalizzazione di quanto accumulato nel tempo al fine di disegnare scenari futuri.

Uno dei punti cardine della sua Presidenza pare essere quello di voler definitivamente abbattere le barriere tra i vari linguaggi artistici, tra i vari settori che costituiscono il corpo della vostra istituzione: arte, architettura, danza, teatro, musica, cinema. Un dialogo vivo, aperto, che ha acceso nuovi, fertili stimoli nel lavoro degli stessi direttori dei diversi settori, ma anche tra gli artisti e il pubblico. Cosa ci riserva in questa prospettiva la vostra programmazione nei prossimi mesi e, più estesamente, nei prossimi anni?
In questi due anni di Covid la frase che si sentiva pronunciare più sovente era la seguente: «da soli non si va da nessuna parte». Quando abbiamo immaginato questo percorso di dialogo tra linguaggi artistici non sapevamo ancora che avremmo avuto davanti due anni di pandemia e di limitazioni. Avevamo già deciso di percorrere questa strada del dialogo fra le arti, ed è per questo che abbiamo dato il via a nuovi progetti che sotto l’ombrello dell’Archivio Storico non ricadano sotto la responsabilità dei direttori artistici ma offrano nuovi spazi all’interazione. Mi riferisco all’esperienza Archèus. Labirinto Mozart, una installazione multidisciplinare di Damiano Michieletto con Oφcina, che abbiamo da poco inaugurato a Forte Marghera. È un lavoro che mette insieme tre diversi elementi: l’arte figurativa per i contenuti, la musica come filo conduttore senza il quale questo viaggio non sarebbe possibile, e il teatro. Teatro qui inteso non solo come mera rappresentazione drammaturgica, ma come insieme di tanti mestieri fondamentali per la buona riuscita di una rappresentazione, sia essa opera o prosa. Chi visita Archèus vede dei manufatti che sono capolavori di artigianalità. È il primo aspetto cruciale di questo progetto, che si inserisce pienamente nella direzione su cui ci siamo poc’anzi soffermati, ossia l’importanza e il significato per il futuro dell’attività del Centro e dell’Archivio. Il secondo dato fondamentale di questo lavoro, altrettanto importante perché attiene a una visione nuova, più aperta della fruizione del contemporaneo, sta nell’avere realizzato un ‘prodotto’ culturale più accessibile a quei pubblici non canonicamente “da Biennale”. L’installazione è stata precisamente pensata per Forte Marghera, straordinario sito di terraferma ma affacciato sulla laguna, quindi in piena relazione con la città-Biennale, che ospiterà anche una sezione della Biennale Arte di Cecilia Alemani, con una installazione di Elisa Giardina Papa alla Polveriera austriaca. L’installazione di Michieletto a Forte Marghera, al di là dell’indiscutibile valore intrinseco dell’opera in sé, assolve precisamente a questo nostro obiettivo direi prioritario, vale a dire avvicinare ancora di più a noi quel pubblico che ha affollato la Mostra di Architettura del 2021, e stabilire un legame nuovo e stabile con esso. Potremmo definirla un’esca questa installazione, un’espressione di alta divulgazione popolare che non faccia percepire le attività della Biennale come esclusivamente rivolte a delle élite. Archèus mette insieme tutte queste valenze.

Gaggiandre, Ph. Andrea Avezzù, Courtesy of La Biennale di Venezia

Parlando di direttori e ritornando a Il latte dei sogni, come è stato lavorare in questa lunga gestazione con il ‘ciclone’ Cecilia Alemani?
Non ho potuto incontrarla fisicamente per tutto il primo anno. Siamo poi riusciti finalmente a trovarci, ma subito dopo ci siamo dovuti tutti rinchiudere in casa… Ho questa immagine in mente di Cecilia: un’astronauta della cultura che navigava e scrutava gli atelier degli artisti di tutto il mondo e vedeva tutto attraverso l’oblò del computer. Un’esperienza straordinaria, direi unica! Che speriamo però non venga più imposta. Ciò detto, nonostante il ruolo fondamentale svolto dalle nuove tecnologie digitali nella costruzione di questa mostra, non abbiamo pensato nemmeno per un momento di allestirla in modalità virtuale, ben consapevoli di quale e quanta insostituibile emozione, di che genere di esperienza culturale, di confronto intellettuale assicuri l’esserci in prima persona al cospetto di opere e di lavori matericamente creativi.
Cecilia non si è mai nascosta. Abbiamo potuto, lavorandoci assieme, conoscerla molto bene sia per le sue grandi qualità in fatto di consapevolezza e di conoscenza della materia, sia per le sue incredibili capacità operative e organizzative. Avevamo già colto questi tratti, queste sue peculiari qualità nelle fasi di preparazione della mostra Le muse inquiete, per la cui realizzazione non a caso fu scelta come coordinatrice, in pieno accordo con i direttori dei sei settori artistici, tutti indistintamente coinvolti in quel progetto. Ha costruito una mostra così articolata e trasversale, parlando giorno per giorno dagli Stati Uniti, instancabilmente, con la sua assistente e con gli assistenti degli altri direttori. È una persona che sa con molta precisione che cosa vuole fare e come lo vuole fare.
L’ho apprezzata per questa sua febbrile ed efficiente pragmaticità fin dal primo momento che l’ho conosciuta. Al contempo ho capito però subito quanto questa sua capacità organizzativa, questa intensità nel concentrarsi sui segmenti operativi essenziali per la tenuta del disegno complessivo di un grande progetto espositivo quale non può che essere una Biennale Arte, non inficiassero minimamente la sua partecipazione emotiva, il suo coinvolgimento intellettuale nel processo di costruzione di un così profondo percorso curatoriale. Un coinvolgimento talmente pieno da farla palpitare letteralmente per la tensione della “prima”. Cecilia sta facendo il count-down ora dopo ora; ogni volta che la vediamo ci annuncia quanti giorni mancano all’apertura e si chiede: «Ce la faremo?».
Ritorno per riflesso condizionato alla mia antica professione di uomo di cinema e vedo nel curatore della Biennale, così come negli artisti coinvolti, seppure in modalità diverse, un’emozione anche superiore a quella che vive un regista che magari ha dedicato due anni a un progetto e che in un dato momento si trova a mostrarlo per la prima volta. La partecipazione di un curatore nella costruzione di un percorso di questo livello e di queste dimensioni è davvero totalizzante, dal momento che si trova a essere produttore in prima persona di quasi tutti i tracciati che nel loro complesso determinano il disegno finale della grande Mostra: coordinare un team, avere rapporti con oltre duecento artisti e con i responsabili dei padiglioni nazionali (anche se non sono di sua diretta competenza), cercare di dare uniformità alle diverse componenti di questo sterminato puzzle. Insomma, una grande regia, eccome! Penso infine che Cecilia abbia una grande qualità su tutte: prende tutto con il massimo livello di professionalità e non scorda mai che l’ironia serve a vivere meglio.

Cecilia non si è mai nascosta. Abbiamo potuto, lavorandoci assieme, conoscerla molto bene sia per le sue grandi qualità in fatto di consapevolezza e di conoscenza della materia, sia per le sue incredibili capacità operative e organizzative. Ha costruito una mostra così articolata e trasversale, parlando giorno per giorno dagli Stati Uniti, instancabilmente, con la sua assistente e con gli assistenti degli altri direttori.

Il ruolo delle nuove generazioni nel futuro dell’istituzione La Biennale di Venezia e, più in generale, nel mondo della cultura. Dopo cinema, teatro, danza e musica, quest’anno inaugurerete il nuovo Biennale College dedicato alle arti visive. I quattro giovani artisti selezionati entreranno di diritto nella Biennale Arte 2022, fuori concorso, a fianco degli artisti protagonisti della mostra principale di Cecilia Alemani. Quali gli obiettivi prioritari che vi prefiggete con questo nuovo College?
L’esperienza dei College, attiva da tempo nei settori teatro, musica, danza e cinema, negli anni si è dimostrato un progetto di altissima qualità, nonché un’attività di straordinario successo. Sarebbero troppi i risultati sin qui conseguiti da poter essere pienamente restituiti in queste pagine. Rimanendo alle ultime esperienze, basti solo ricordare che tra i finalisti di College Danza dell’anno scorso almeno quattro sono stati assunti da importanti compagnie internazionali. Per non parlare poi dei film di College Cinema, molti dei quali ormai entrano regolarmente ogni anno nelle selezioni di importanti festival in tutto il mondo.
Al di là dei successi riscossi sulle platee internazionali, il dato più significativo di questa esperienza è che i College costituiscono una fetta importantissima del futuro della Biennale. Rappresentano un’attività fondamentale, un obbligo per un’istituzione come la nostra, che di conseguenza incrementeremo sempre di più. Il prossimo sarà il College Architettura: abbiamo chiesto alla prossima curatrice della Biennale Architettura, Lesley Lokko, di pensare a un college anche per questo settore. Tra tutte le discipline di cui ci occupiamo questa è forse quella più difficile in cui progettare un College, anche perché in tutto il mondo per l’architettura vi sono già moltissime e ottime scuole di formazione. L’architetto viene visto più come un professionista legato a una disciplina molto tecnica; tuttavia il nostro tempo ha dimostrato quanto l’architettura svolga un ruolo connettivo nodale da un punto di vista sociale, essendo per definizione la disciplina con cui praticamente tutte le attività umane hanno necessariamente a che fare. L’architettura accompagna tutti i momenti del nostro vivere quotidiano, essendo quindi per ciò stesso un terreno di indagine ideale per analizzare le trasformazioni del mondo in cui viviamo. In quest’ottica sono certo che Lesley Lokko troverà un modo per poter avere un occhio originale su ciò che significa fare architettura anche e in particolare in chiave formativa, nel coinvolgimento di giovani talenti ancora esperienzialmente acerbi.

Sembra mancare in Biennale solo un settore dedicato specificamente alla letteratura, al lavoro di scrittura e sceneggiatura, che potrebbe portare a sviluppi interessanti sempre in un’ottica di dialogo e interazione con tutte le altre discipline artistiche. Vi sono dei progetti in cantiere in questa direzione?
In realtà La Biennale da anni ha un College che si chiama Scrivere in residenza, in cui dei giovani vengono formati alla scrittura pura, a quella cronachistica e alla scrittura critica. Tuttavia non vi è alcuna intenzione di creare una specifica Biennale di scrittura o letteratura, così come non ce ne sarà mai una dedicata al design o alla fotografia. Sono tutte discipline che già si intersecano inevitabilmente con quelle proprie della Biennale. Siamo molto orgogliosi della nostra originalità; tutti ci hanno copiato il nome, eppure credo e spero che quello che facciamo rimanga ancora abbastanza unico. La Biennale è un contenitore aperto che si focalizza sulle sei discipline artistiche principali e storicamente consolidate, almeno fin quando non percepiremo che vi sono effettivamente altre e diverse necessità da dover assolvere.

Il ruolo della Biennale e Venezia. È indubbio che la città trovi nella Biennale il suo prioritario motore propulsivo sia da un punto di vista culturale che economico. Come è possibile fare in modo che l’astronave che scende a Venezia da aprile a novembre diventi un sistema di costante alimentazione delle risorse umane, culturali ed economiche migliori della città, capace di farsi motore principe del rilancio di un organismo urbano che su molti fronti risulta oggettivamente paralizzato da troppo tempo?
Venezia è una città unica e insieme epicentrica a livello internazionale, però deve cominciare a capire che non è fatta di tante isole, ma di un insieme che deve essere il frutto di un dialogo vivo e virtuoso tra tutte le sue componenti. Solo creando un programma comune tra le istituzioni possiamo arrivare a proporre il più ricco cartellone di offerta di attività culturali che si possa immaginare. Cos’altro possiamo fare noi in questa direzione? La pandemia ha creato tanti guai, ma ha reso evidente alle persone che la cultura è anche un comparto dell’economia e del lavoro dove sono impiegate centinaia, migliaia di persone. Il settore della cultura nel suo versante professionale non può continuare a essere visto e rappresentato quasi esclusivamente dalle sue punte apicali, gli attori, i registi, i pittori, i musicisti, ecc. C’è un insieme articolatissimo di mestieri, funzioni, servizi con professionalità tecniche specifiche che nel loro insieme compongono questo nodale settore industriale della nostra economia. L’idea del Centro Internazionale per la Ricerca punta anche a questo, ossia a offrire stanzialità, ospitalità, permanenza a decine, centinaia, speriamo migliaia di persone che vengono qui a lavorare sempre meno in modalità “mordi e fuggi”. L’idea di partire con delle residenze legate ad attività che La Biennale svolgerà soprattutto all’Arsenale, oggetto come è noto di un importante finanziamento e di una vivace discussione in città, ha questo fine: ripopolare in maniera permanente dei luoghi fondamentali di Venezia. Sono contrario alle cattedrali nel deserto. Non ha senso mettere in sicurezza meravigliosi edifici senza prima aver deciso quale sarà la loro destinazione attiva. Il progetto, che abbiamo presentato e che ci è stato finanziato, punta proprio a questo. È sufficiente a riguardo analizzare attentamente il piano che abbiamo elaborato, che prevede il consolidamento delle parti già operative e il recupero e risanamento dell’intero comprensorio storico-monumentale dell’Arsenale. Si tratta di un piano importantissimo per una destinazione non solo espositiva, turistica o ludica, ma anche produttiva di questo straordinario sito di archeologia industriale.

Sede centrale La Biennale di Venezia